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Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai reati puniti con la pena dell’ergastolo: depositata la sentenza della Corte Costituzionale (numero 260/2020)

Corte Costituzionale, 3 dicembre 2020 (ud. 18 novembre 2020), sentenza n. 260
Presidente Coraggio, Relatore Viganò

Come avevamo anticipato, all’udienza del 18 novembre 2020 la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di La Spezia, Napoli e Piacenza sull’inapplicabilità del giudizio abbreviato ai reati punibili con la pena dell’ergastolo.

In data odierna sono state depositate le motivazioni.

Riportiamo, di seguito, il testo del comunicato stampa pubblicato dalla Corte:

Le finalità perseguite dal legislatore nell’escludere il rito abbreviato per gli imputati di reati punibili con l’ergastolo “possono essere o meno condivise; ma né le finalità in sé né i mezzi individuati dal legislatore per raggiungerle appaiono a questa Corte connotabili in termini di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà”.
È quanto si legge nella motivazione della sentenza n. 260, depositata oggi (redattore Francesco Viganò), che – come anticipato nel comunicato del 18 novembre scorso – ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate sulla legge n. 33 del 2019 dalla Corte d’assise di Napoli e dal Tribunale di Piacenza, nell’ambito di due processi a carico di imputati accusati di aver ucciso, rispettivamente, il padre e la moglie.
La Corte ha, in particolare, preso atto che con la legge esaminata il legislatore ha voluto assicurare, per i reati più gravi previsti dall’ordinamento, la celebrazione di un processo pubblico davanti a una corte d’assise e non a un giudice monocratico, nel quale anche le vittime hanno la possibilità di essere ascoltate.
Quest’obiettivo comporta certamente, spiega la sentenza, una dilatazione dei tempi di definizione dei processi per i reati punibili con l’ergastolo, e in particolare per gli omicidi aggravati. Tuttavia, l’individuazione delle soluzioni più idonee ad assicurare un processo in grado di raggiungere, in tempi ragionevoli, il suo scopo naturale – l’accertamento del fatto e delle relative responsabilità, nel rispetto dei diritti della difesa – rientra nella discrezionalità del legislatore, cui non può essere sovrapposta una diversa autonoma valutazione da parte della Corte costituzionale.
La Consulta ha inoltre affermato che la disciplina esaminata non viola il diritto costituzionale di difesa, ben potendo il legislatore escludere l’accesso a determinati riti alternativi agli imputati di reati particolarmente gravi, come quelli puniti con l’ergastolo.
D’altra parte, la Corte ha osservato che non esiste un diritto dell’imputato a ottenere la celebrazione del processo “a porte chiuse” a tutela della sua dignità e riservatezza. Il principio della pubblicità del processo, specialmente per i reati più gravi, costituisce infatti non solo una garanzia soggettiva per l’imputato, ma anche un connotato identitario dello Stato di diritto, a tutela dell’imparzialità e obiettività dell’amministrazione della giustizia, sotto il controllo dell’opinione pubblica.
Infine, la sentenza sottolinea che la riforma non comporta necessariamente l’effettiva condanna all’ergastolo dell’imputato giudicato colpevole in esito al dibattimento, dal momento che la corte d’assise ha sempre la possibilità di riconoscere in suo favore l’esistenza di circostanze attenuanti che possono comportare l’applicazione di una pena inferiore.
Roma, 3 dicembre 2020

Redazione Giurisprudenza Penale

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