La Cassazione sul nesso di causa tra la condotta del datore di lavoro e l’insorgenza del mesotelioma pleurico in caso di plurima successione di posizioni di garanzia.
[a cura di Lorenzo Roccatagliata]
Cass. pen., Sez. IV, Sent. 3 dicembre 2020 (ud. 29 ottobre 2020), n. 34341
Presidente Di Salvo, Relatore Pavich
Con la sentenza qui allegata, la Corte di cassazione, Sezione quarta, si è pronunciata sulle vicende della Fibronit, azienda produttrice di manufatti in amianto sita in Broni (PV).
La pronuncia ha disposto l’annullamento della condanna pronunciata dalla Corte di appello di Milano, facendo applicazione dei consolidati principi giuridici in tema di nesso di causa tra la condotta del datore di lavoro ed il fatale insorgere del mesotelioma pleurico (da ultimo espressi da Cass., Sez. IV, n. 43665/19, cd. sentenza Olivetti, in questa Rivista, ivi, e da Cass., Sez. IV, n. 12151/20, in questa Rivista, ivi).
Anzitutto, giova riportare la ricostruzione operata dal Collegio in merito al sapere scientifico oggi raggiunto con riguardo alla patogenesi di tale malattia. Sul punto, ha rilevato la Corte che “sul piano della causalità generale dell’esposizione all’amianto, la teoria dose-correlata, prescelta e accreditata in particolare dalla III Consensus Conference (…), indica il susseguirsi di due fasi distinte: quella della c.d. induzione (a sua volta distinta in iniziazione e promozione) in cui ogni successiva esposizione è rilevante sul piano causale ai fini del prodursi del mesotelioma pleurico maligno; e la fase della c.d. progressione, o latenza in cui il processo carcinogenetico è irreversibile e ogni successiva esposizione all’amianto è ormai irrilevante. Lo spartiacque fra le due fasi – ossia il momento in cui termina la fase dell’induzione e quello dopo il quale si colloca la fase della progressione o latenza clinica – è costituito dal c.d failure time, che segna il momento a partire dal quale le ulteriori esposizioni all’amianto sono prive di rilevanza causale”.
Alla luce di tali approdi scientifici, la Corte ha rilevato che “nel caso in cui (…) le vittime siano state esposte all’amianto per periodi assai prolungati in cui si siano succeduti più titolari di posizioni di garanzia, all’interno dei quali si colloca quello in cui gli imputati avevano assunto la qualità di garanti, occorre stabilire se sia possibile affermare che quest’ultimo periodo fosse sovrapponibile in tutto o in parte con la fase dell’induzione: quesito alla cui risposta é legata, sul piano logico, la possibilità di attribuire rilievo eziologico alle condotte commissive od omissive attribuite agli imputati in quella fase. Per dare una risposta certa a tale quesito occorrerebbe in sostanza stabilire con ragionevole certezza che il failure time si sarebbe collocato o nel corso del periodo in cui [gli imputati] esercitarono funzioni di garanti, o successivamente a tale periodo”.
A questo punto, la Corte ha richiamato i principi generali in tema di valutazione della prova scientifica, secondo cui “il giudice di merito, tramite una documentata analisi della letteratura scientifica in materia, con l’ausilio di esperti qualificati ed indipendenti, è tenuto a valutare l’attendibilità di una determinata teoria attraverso la rigorosa verifica di una serie di parametri oggettivi, tra cui la validità degli studi che la sorreggono, le basi fattuali su cui gli stessi sono stati condotti, l’ampiezza e la serietà della ricerca, le sue finalità, il grado di consenso che raccoglie nella comunità scientifica e l’autorevolezza e l’indipendenza di chi ha elaborato detta tesi (…)”.
Il Collegio ha, conseguentemente, ripreso i principi in tema di nesso causale, enunciati:
– dalla sentenza Franzese (Sez. Un., n. 30328/2002), secondo la quale “il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio contro fattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata (…) la condotta doverosa impeditiva dell’evento “hic et nunc”, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva”;
– dalla sentenza Cozzini (Sez. IV, n. 43786/2010), secondo la quale “l’affermazione del rapporto di causalità tra le violazioni delle norme antinfortunistiche ascrivibili ai datori di lavoro e l’evento-morte (dovuta a mesotelioma pleurico) di un lavoratore reiteratamente esposto, nel corso della sua esperienza lavorativa, all’amianto, sostanza oggettivamente nociva, è condizionata all’accertamento: (a) se presso la comunità scientifica sia sufficientemente radicata, su solide e obiettive basi, una legge scientifica in ordine all’effetto acceleratore della protrazione dell’esposizione dopo l’iniziazione del processo carcinogenetico; (b) in caso affermativo, se si sia in presenza di una legge universale o solo probabilistica in senso statistico; (c) nel caso in cui la generalizzazione esplicativa sia solo probabilistica, se l’effetto acceleratore si sia determinato nel caso concreto, alla luce di definite e significative acquisizioni fattuali; (d) infine, per ciò che attiene alle condotte anteriori all’iniziazione e che hanno avuto durata inferiore all’arco di tempo compreso tra inizio dell’attività dannosa e l’iniziazione della stessa, se, alla luce del sapere scientifico, possa essere dimostrata una sicura relazione condizionalistica rapportata all’innesco del processo carcinogenetico”;
– dalla sentenza Cirocco (Sez. IV, n. 16715/2018), secondo la quale “in tema di accertamento del rapporto di causalità tra esposizione ad amianto e morte del lavoratore, per affermare la responsabilità dell’imputato fondata sull’effetto acceleratore sul mesotelioma della esposizione ad amianto anche nella fase successiva a quella dell’insorgenza della malattia, il giudice, avendo la relativa legge scientifica di copertura natura probabilistica, deve verificare se l’abbreviazione della latenza della malattia si sia verificata effettivamente nei singoli casi al suo esame, essendo a tal fine necessarie informazioni cronologiche che consentano di affermare che il processo patogenetico si è sviluppato in un periodo significativamente più breve rispetto a quello richiesto nei casi in cui all’iniziazione non segua un’ulteriore esposizione e dovendo altresì essere noti e presenti nella concreta vicenda processuale i fattori che nell’esposizione protratta accelerano il processo”.
Sulla base di tali consolidati principi, la Corte ha delineato il compito del Giudice, che consiste nell’acquisire “processualmente la certezza (dandone poi adeguatamente conto in motivazione) che, nel periodo di assunzione della posizione di garanzia da parte del soggetto chiamato a rispondere degli esiti letali dell’esposizione, quest’ultima fosse causalmente idonea ai fini della patogenesi e dell’accelerazione del decorso infausto della malattia”.
Nel caso di specie i Giudici del merito non sembrano aver fatto buon governo degli enunciati principi. Essi sono infatti pervenuti ad una sentenza di condanna, sebbene, “dando per scontato che tutte le vittime abbiano contratto il mesotelioma pleurico a causa delle polveri di amianto disperse nello (o dallo) stabilimento di Broni (con conseguente esclusione di decorsi causali alternativi), si rileva che l’arco temporale all’interno del quale si colloca, nei singoli casi, l’esposizione all’amianto è in tutti i casi assai ampio, e non è dato determinare con univoca certezza se il periodo 1981/1985 (in cui (…) gli imputati ricoprirono posizioni di garanzia) abbia o meno trovato collocazione all’interno della fase di induzione delle singole cancerogenesi”.