Recensione a “Appunti di diritto penale europeo” di Antonella Massaro (Giappichelli, Torino, 2020)
Assistiamo da tempo ad un «disordine delle fonti del diritto»[1] che qualifica non solo l’ordinamento giuridico italiano ma che rappresenta oramai una tendenza costante della moderna e più complessa struttura del diritto internazionale, sia esso consuetudinario o pattizio, e del diritto positivo dei singoli Paesi europei. Disordine delle fonti che, se da un lato, semplifica il confronto tra sistemi, dall’altro accentua inevitabilmente il ruolo ricoperto dalle supreme autorità giudiziali nell’interpretazione delle disposizioni e nell’applicazione delle norme in ragione di quel principio di certezza del diritto, trasversale ad ogni settore della regolamentazione legislativa, che nel tempo ha assunto molteplici significati[2] ma che sostanzialmente può essere inteso, ad oggi, anzitutto come la possibilità di (ri)conoscere ex ante la regola (im)posta dall’ordinamento e come la capacità di calcolare in anticipo le conseguenze giuridiche dei propri comportamenti[3].
Si tratta di un confronto che, il più delle volte, assume la veste formale di un “dialogo” prettamente democratico, altre, invece, di una autentica “guerra” che cela, tra le righe, problemi di fondo legati al contenuto disciplinato dalle Costituzioni moderne e, soprattutto, ai rapporti di forza tra le diverse istituzioni, il tutto dipendendo ancora una volta da una percezione non abbastanza chiara della sistemazione delle fonti del diritto, con inevitabili ripercussioni anche nel diritto penale come settore dell’ordinamento funzionale alla minimizzazione del conflitto sociale tramite l’uso esclusivo della forza da parte delle autorità statali.
Se, come ha recentemente scritto Marcello Gallo, badare al linguaggio agevola la rotta[4], in questo variegato e disordinato panorama normativo si apprezzano in tutta la loro portata gli Appunti di diritto penale europeo della Professoressa Antonella Massaro, per i tipi della Giappichelli.
Il senso di fondo che si cela dietro la categoria editoriale degli “Appunti” è rispettato con profonda consapevolezza critica dalla prima all’ultima pagina.
Siamo di fronte ad un’opera densa di significato non solo per le giovani generazioni di studenti che approcciano per la prima volta, durante il percorso universitario, al diritto penale e al diritto penale europeo in particolare ma, soprattutto, per coloro i quali, per le più disparate esigenze professionali, si trovano necessitati ad operare all’interno dell’ordinamento penale italiano in qualità di avvocati, professori, giudici e per i quali il bisogno di conoscere, più di quanto già non sappiano, la concreta regolamentazione della materia penale in tutte le sue articolazioni interne ed internazionali non è certamente secondario o ad ogni modo meno degno della più alta considerazione.
Per questo gli Appunti di diritto penale europeo rappresentano un ottimo vademecum, riassuntivo di tutte le principali questioni che pongono i rapporti tra diritto penale nazionale e diritto europeo, presentate con una singolare attenzione alla chiarezza del linguaggio che qualifica oramai da tempo l’opera intellettuale della Professoressa Massaro.
Non è forse azzardato considerare gli Appunti di diritto penale europeo come un’opera di realismo analitico applicato al diritto penale. Realismo perché la Professoressa Massaro utilizza, con piena padronanza e capacità esplicativa, le categorie della più moderna teoria generale del diritto, decisamente apprezzabile per quella integrazione dei saperi che dovrebbe contraddistinguere il mondo accademico nella sua totalità, evitando chiusure circoscritte al proprio ed esclusivo ambito di competenza e che ha fatto dire, con la consueta incisività, ad uno dei più autorevoli teorici del diritto italiani e internazionali, Riccardo Guastini, che «los juristas y los jueces que no estudian la teoría general del Derecho son ignorantes, y permanecen ignorantes, inconscientemente felices de su ignorancia»[5]. Basti a tal proposito richiamare il paragrafo sulla nozione autonoma di “legge” di cui all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali per rendersene conto: la distinzione, per l’appunto di origine realista, tra disposizione e norma viene utilizzata da Antonella Massaro per riempire di contenuto l’oggetto del giudizio di accessibilità e quello del giudizio di prevedibilità e, dunque, per circoscrivere nel modo più analitico possibile il campo di applicazione della legalità penale convenzionale[6].
Distinzione tra disposizione e norma che, ancora, consente all’Autrice di commentare l’importante sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015, che ha chiuso per il momento alcuni punti fondamentali del capitolo relativo alla c.d. confisca senza condanna, in ordine al concetto di “diritto consolidato” con passaggi argomentativi in grado di presentare le reali novità della pronuncia o, per contro, di mistificare approdi affatto rivoluzionari se calati nel più ampio contesto della teoria dell’interpretazione[7].
Inoltre, opera analitica perché rispondente ai canoni dell’indirizzo analitico che, nonostante l’eterogeneità delle correnti che in un modo o nell’altro si rifanno ad un comune e generico sentire analitico, risulta qualificato soprattutto dall’attenzione per l’analisi logica del linguaggio, per la precisione dei significati e nell’esigere che, una volta stabiliti i criteri di significanza, vi si resti fedeli per tutto il discorso[8]. Pensiamo ad esempio alla proposta di classificazione avanzata dalla Professoressa Massaro in ordine ai concetti di «diritto europeo penale», che indicherebbe le norme di diritto derivato approvate sulla base dei nuovi artt. 83 e 86 TUE e, sebbene a costo di qualche forzatura, anche gli obblighi di tutela convenzionale contenuti nelle sentenze della Corte di Strasburgo, di «diritto europeo ad effetto penale eventuale», nel quale confluirebbero anzitutto le norme del diritto eurounitario che, non qualificabili di per sé come penali, sono in grado di produrre effetti sugli ordinamenti dei singoli Stati membri e, infine, di «diritto penale europeizzato», che sintetizzerebbe il risultato che il diritto europeo penale e il diritto europeo ad effetto penale eventuale producono sul piano dell’ordinamento interno[9]. O, ancora, alla distinzione tra antinomie e lacune, più precisamente tra antinomia apparente, antinomia reale “propria” e “impropria” e tra lacuna sostanziale “propria” e “impropria” come argine necessario al fine di meglio qualificare le ipotesi di c.d. normazione mascherata e per evitare «fraintendimenti nelle indagini dei rapporti tra diritto penale e diritto europeo»[10].
Con il primo capitolo vengono poste le basi per una chiara presentazione delle relazioni sistematiche tra il diritto penale italiano e le fonti internazionali, più precisamente le norme di diritto eurounitario e le norme CEDU.
Le “ragioni della refrattarietà del diritto penale a superare i confini dello Stato-nazione”[11] sono limpidamente delineate con una puntualizzazione della massima importanza sul piano strettamente dogmatico. Come sostiene Antonella Massaro, infatti, «indipendentemente da come si intenda risolvere la vexata quaestio sull’impostazione monista o dualista nei rapporti tra diritto europeo e diritto interno, è innegabile che l’attuale Unione europea si fondi proprio sul presupposto della cessione di quote di sovranità da parte dei singoli Stati membri e, quindi, su una limitazione della sovranità nazionale in riferimento a determinati settori o materie. Il diritto penale, semplicemente, rientrava tra le quote di sovranità non cedibili»[12]. Qui, in riferimento al diritto dell’Unione europea, e in tutta l’opera, “pregiudiziali” concettualistiche sono completamente e giustamente accantonate, dal momento che l’analisi del diritto positivo non viene intaccata da una visione monista o dualista dei rapporti tra ordinamento giuridico italiano e ordinamento giuridico dell’Unione europea, che al massimo dovrebbe seguire e non già precedere qualunque argomentazione che abbia come primo interesse l’indagine sulla struttura e sul funzionamento dei sistemi, italiano e dell’Unione europea. Con la precisazione che il discorso risulta meno perentorio se riferito al sistema CEDU, per il quale «il nodo irrisolto atteneva anzitutto a una più “solida” collocazione della Convenzione nel sistema delle fonti»[13].
Proprio in ordine alla CEDU comincia l’analisi della giurisprudenza costituzionale sin dalle prime sentenze gemelle nn. 348 e 349 del 2007 e l’articolazione argomentativa della Corte risalta con particolare attenzione e cura nell’esposizione complessiva in cui, ad una prima parte dedicata alle specificità della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali rispetto agli altri trattati internazionali, come ad esempio l’oggetto di disciplina e cioè i diritti fondamentali dell’individuo e il meccanismo di controllo giurisdizionale da parte della Corte di Strasburgo, segue una decisa e lodevole esposizione delle ragioni che hanno indotto la Consulta, sin dal 2007, ad escludere che la fonte o la base normativa di diritto interno per le norme CEDU potessero essere l’art. 10 Cost. o l’art. 11 Cost., “riconoscendo” invece nell’art. 117, primo comma Cost. la norma giuridica in grado di dare ingresso alle norme CEDU: «La riforma costituzionale del 2001, tuttavia, consente di superare l’orientamento in precedenza maggioritario, secondo il quale la Convenzione assumeva nel sistema delle fonti lo stesso rango della legge ordinaria. Il nuovo primo comma dell’art. 117 Cost., in particolare, rende inconfutabile la maggior forza di resistenza delle norme CEDU rispetto alle leggi successive e a questo risultato si perviene applicando il collaudato schema delle norme interposte: le norme CEDU, per il tramite dell’art. 117 Cost., integrano il parametro di legittimità costituzionale, concretizzando il generale riferimento agli obblighi internazionali dello Stato cui proprio l’art. 117 Cost. fa riferimento»[14].
In questo passaggio è possibile apprezzare con tutta evidenza l’approccio metodologico che sta alla base della categoria editoriale degli “Appunti” e degli Appunti di diritto penale europeo della Professoressa Massaro: l’esigenza di semplificare, senza per questo banalizzarla, la complessità degli argomenti suggerisce, in questo come in altri passi dell’opera, di presentare le diverse tesi interpretative che si contendono il campo di gioco senza abbandonare incisi di natura critica ma le considerazioni critiche vengono sempre calibrate e ponderate con meticolosa ragionevolezza. Basti a tal proposito pensare che, proprio in relazione alla giurisprudenza costituzionale delle “prime gemelle”, Antonella Massaro ha dedicato pagine di notevole rilievo in un’altra monografia, Determinatezza della norma penale e calcolabilità giuridica, ES, Napoli, 2020, riprendendo e portando alle dovute conclusioni alcune riflessioni della dottrina di Stefano Maria Cicconetti sulle norme interposte, giustamente sottolineando che in ordine alle norme CEDU bisognerebbe tenere distinte «le questioni relative alla funzione delle norme interposte da quelle che attengono al grado gerarchico delle stesse»[15], per concludere che, probabilmente, le norme CEDU appartengono allo stesso grado gerarchico della legge ordinaria, anche se dotate di particolare resistenza.
Tutto questo per sottolineare cosa? Proprio quella scelta meticolosa e ragionevole di un approccio critico degli Appunti di diritto penale europeo che caratterizza lo stile della Professoressa Massaro. Mai luogo più adatto per “affondare il colpo” ad una tesi a tratti debole, quella della collocazione delle norme CEDU per come sviluppata della Consulta, potevano essere gli Appunti di diritto penale europeo ma, qui, appunto, la scelta di non affondare il colpo è tutt’altro che irragionevole e si sposa proprio con la filosofia e l’essenza degli “Appunti” di non appesantire al di là del necessario un discorso che meriterebbe un approfondimento analitico che esula dai parametri della suddetta scelta editoriale.
L’analisi delle prime sentenze gemelle si chiude con uno schema riassuntivo dei punti sviluppati dalla Corte costituzionale: (a) la collocazione del diritto eurounitario e della CEDU nel sistema delle fonti resta distinta; (b) l’antinomia tra il diritto eurounitario e il diritto interno si risolve attraverso la non applicazione della norma nazionale, con il correttivo dei controlimiti; (c) l’antinomia tra le norme CEDU e il diritto interno si risolve attraverso il “tradizionale” sindacato di legittimità costituzionale (c.1) la norma CEDU “vincolante” è quella che si ricava dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la quale non può essere sindacata né dai giudici comuni né dalla Corte costituzionale[16].
Il progressivo temperamento delle “prime gemelle” viene sottolineato con il riferimento che la sentenza n. 319 del 2009 della Consulta opera in ordine al c.d. margine di apprezzamento nazionale, nel senso che «Il confronto tra la tutela convenzionale e la tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie» e, quindi, l’incidenza della singola norma CEDU sulla legislazione italiana deve essere tale da comportare un plus di tutela per l’intero sistema dei diritti fondamentali. Massima espansione che potrebbe richiedere un bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti; bilanciamento che trova nel legislatore e nella Corte costituzionale i propri riferimenti[17]. In altre parole, «il margine di apprezzamento assolve alla medesima funzione di garantire il necessario grado di flessibilità nei rapporti tra l’ordinamento nazionale e il sistema convenzionale»[18].
Il passaggio più recente di questo temperamento è segnato poi dalla sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015 laddove si precisa che non tutte le pronunce della Corte EDU possono considerarsi vincolanti per il giudice interno ma solo quelle che presentano la forma della sentenza pilota o del diritto consolidato. Qui, l’analisi di Antonella Massaro giustamente sottolinea che la categoria del diritto consolidato e/o del diritto vivente non è affatto rivoluzionaria nel senso che, nel caso di specie, non è servita alla Consulta come «lo strumento di difesa […] per resistere all’avanzata dell’europeizzazione del diritto (penale)», rappresentando piuttosto «l’esito fisiologico di una teoria dell’interpretazione sempre più focalizzata non sulle disposizioni ma sulle norme, intendendo queste ultime come il significato attribuito al segno linguistico attraverso l’attività “qualificata” dell’interprete»[19].
Sul versante del diritto dell’Unione europea, invece, gli eventi storici che hanno portato all’attuale assetto di competenze in materia penale vengono chiaramente ripercorsi con la massima puntualità, specificando come prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona le Istituzioni europee non fossero titolari di una competenza diretta in materia penale sia perché mancava una base giuridica sufficientemente univoca che valesse a fondare una qualche competenza penale delle Istituzioni europee sia per il principio di riserva di legge in materia penale[20].
Con il Trattato di Lisbona sembra invece che «si inauguri un nuovo corso nei rapporti tra il diritto penale e l’Unione europea», in relazione al quale la Professoressa Massaro dedica importanti riflessioni, soprattutto sulla struttura dell’art. 83 TUE, nella Sezione III del secondo capitolo.
Il secondo capitolo risulta articolato in tre Sezioni: la prima affronta le questioni poste dal fondamentale obbligo di interpretazione conforme; la seconda guarda al principio di prevalenza del diritto eurounitario sul diritto nazionale; la terza, infine, analizza gli obblighi comunitari e convenzionali di tutela penale, con importanti puntualizzazioni sulla c.d. competenza penale indiretta dell’Unione europea.
La Sezione I si apre con una riflessione generale sui c.d. effetti riflessi, riprendendo fondamentali intuizioni di Giovanni Grasso: gli effetti riflessi indicano «quelle interferenze sui sistemi penali che, pur non rappresentando il diretto obiettivo delle fonti non nazionali, si producono in conseguenza della generale operatività dei principi che regolano il rapporto tra ordinamento europeo e singoli ordinamenti nazionali»[21].
Le pagine sull’interpretazione conforme esaltano quella convergenza di saperi di cui si parlava in apertura: emerge chiaramente la sicura padronanza del linguaggio e della portata delle moderne correnti della teoria generale del diritto italiana e internazionale.
Una volta collocata l’interpretazione conforme entro la categoria giuridica dei “rimedi” che «il giudice nazionale deve esperire in via preliminare quando ipotizzi un contrasto tra norma interna e norma europea, giungendo solo come extrema ratio alla disapplicazione (versante UE) o alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma di diritto interno (versante CEDU)»[22], l’approfondimento segue un percorso ricostruttivo che passa, trasversalmente, dall’interpretazione conforme a Costituzione, che rappresenta «lo strumento preliminare cui il giudice ha il potere-dovere di ricorrere prima di sollevare questione di legittimità costituzionale e al quale anche la Consulta deve affidarsi prima di giungere alla soluzione estrema della dichiarazione di incostituzionalità», per approdare in seguito all’interpretazione conforme al diritto “europeo”, con una precisazione rilevante anzitutto sul piano strettamente metodologico: «Se ciò che importa nell’interpretazione giuridica è un’adeguata valorizzazione del “contesto” di riferimento, inteso come l’intero ordinamento giuridico orientato a un canone di coerenza e la cui fisionomia è mutata in maniera significativa dall’entrata in vigore della Costituzione, è necessario che nel contesto trovi il suo posto anche il diritto “europeo”, sia pur in un variegato livello intermedio tra la legge ordinaria e la Carta fondamentale»[23]. Interpretazione conforme che, ad oggi, rappresenta un autentico principio generale del diritto europeo e, in quanto tale, deve necessariamente misurarsi con il ruolo delle Corti europee nella determinazione del parametro di conformità.
A questo riguardo, gli Appunti di diritto penale europeo distinguono in modo più che opportuno: «nel caso in cui la norma eurounitaria sia dotata di efficacia diretta, l’interpretazione conforme rappresenta lo strumento preliminare che, qualora fallisca nel suo “tentativo di conciliazione”, cede il passo alla disapplicazione della norma di diritto interno contrastante con quella sovranazionale. Qualora per contro la norma eurounitaria sia provvista di efficacia diretta, la via dell’interpretazione conforme resterebbe la sola percorribile: se infatti l’adeguamento per via ermeneutica non risulti praticabile, il solo rimedio esperibile resta quello risarcitorio»[24]. Con la specificazione che, sul versante della Convenzione, nel caso in cui l’esperimento relativo alla conformità tanto a Costituzione quanto al sistema CEDU dovesse concludersi con un esito negativo, l’antinomia tra norme può essere risolta solo percorrendo la via del sindacato di legittimità costituzionale. Con una chiosa sul ruolo di chiusura del sistema che rimane pur sempre affidato alla Corte costituzionale, sulla quale Antonella Massaro ha speso una riflessione fondamentale, sia per la modernità dell’approccio sia per la mistificazione di alcuni e autentici dogmi del diritto contemporaneo, nella monografia Determinatezza della norma penale e calcolabilità giuridica[25].
La Sezione I si chiude infine con l’analisi dei limiti all’interpretazione conforme, rappresentati dalla lettera della legge, e dunque dal divieto di interpretazioni contra legem, e dal divieto di applicazioni in malam partem. In quest’ultimo caso emerge l’attenzione dell’Autrice per la sistematica dei principi fondamentali del diritto penale italiano tanto che «I principi di certezza del diritto e di garanzia o, rectius, i principi del diritto penale nazionale ai quali è sottesa una ratio di certezza e/o di garanzia, si atteggiano dunque a granitico controlimite a fronte del quale deve arrestarsi non solo il principio di prevalenza, ma, ancor prima, quello di interpretazione conforme»[26].
Limiti all’interpretazione conforme che mostrano con tutta evidenza i profili di criticità del divieto di normazione mascherata in riferimento al quale l’interesse di Antonella Massaro poggia anzitutto sulla necessità di distinguere antinomie e lacune, con le sottodistinzioni già viste in precedenza, per poi concludere l’indagine con una panoramica sui casi forse più determinanti e qualificanti di questa oscillazione giurisprudenziale tra interpretazione e creazione di nuove discipline, con riferimenti puntuali alla sentenza Pupino, alla confisca per equivalente e alla nozione di pedopornografia.
La Sezione II, invece, è interamente dedicata al principio di prevalenza del diritto eurounitario sul diritto nazionale e, con notevole chiarezza espositiva, la Professoressa Antonella Massaro riesce ad offrire al lettore una chiave risolutiva per districarsi tra i casi giurisprudenziali più problematici degli ultimi anni, da quelli che presentano sullo sfondo una questione di incompatibilità totale tra una norma europea e una norma penale nazionale, come ad esempio i casi El Dridi e Berlusconi, da quelli caratterizzati per contro da una incompatibilità parziale, come i casi Trinca e Taricco. “Caso Taricco” che rappresenta, ancora una volta, una mirabile sintesi tra sapere tecnico-giuridico e cultura extra-giuridica, in particolare cinematografica, che consente ad Antonella Massaro di definire i passaggi più complicati presentandoli nella veste di una autentica “Saga”, con tanto di “Episodi”, in grado di regalare al lettore una felice parentesi di respiro tra le righe di una vicenda decisamente intricata sul piano sistematico.
Ma è l’incipit della Sezione II che rileva soprattutto per quanto Antonella Massaro sostiene in merito alla necessità di dare il giusto peso alla coppia concettuale “effetti in bonam partem/effetti in malam partem”. «Per molto tempo […] si è ritenuto che gli esatti contorni del principio di prevalenza del diritto europeo in materia penale andassero definiti affidandosi alla coppia concettuale “effetti in bonam partem/effetti in malam partem. Il principio di prevalenza, in altri termini, potrebbe trovare applicazione solo se e nella misura in cui dall’applicazione della norma sovranazionale derivino effetti favorevoli per il reo. In caso contrario dovrebbero entrare in funzione i “controlimiti” rappresentati dai principi generali in materia penale, impedendo che dalla non applicazione della norma italiana derivi un ampliamento della sfera del penalmente rilevante»[27]. Coppia concettuale che, per l’Autrice, rappresenta, ancora oggi, uno degli strumenti probabilmente più utili al penalista per delimitare l’effettivo ambito applicativo del principio di prevalenza.
La Sezione III, infine, si occupa degli obblighi comunitari e convenzionali di tutela penale.
Sul versante del diritto dell’Unione europea, ad una prima ricognizione dei modelli di tutela dei beni giuridici europei, con la distinzione tra beni giuridici europei in senso stretto, strutturalmente legati al funzionamento dell’Unione europea, e beni giuridici di rilevanza europea, che si articola in una tutela diretta attraverso sanzioni amministrative e una tutela che attinge alle risorse sanzionatorie dei singoli Stati membri[28], con ampie digressioni sulla categoria formale degli obblighi di tutela e sulla sua particolare evoluzione giurisprudenziale della Corte di Giustizia con il caso del mais greco (1989) e con la sentenza sui reati ambientali (2005), segue un approfondimento analitico della struttura degli artt. 83 e 86 TUE.
Dense di significato sono le pagine dedicate all’art. 83 TUE soprattutto in ordine al paragrafo 2 in relazione a quella che, nel tempo, è stata definita come competenza penale accessoria dell’Unione europea. L’attenzione poggia sul filtro selettivo della clausola di “indispensabilità” dell’intervento dell’Unione che, secondo alcuni, rischierebbe di porsi in contrasto con i principi del diritto penale interno: la valutazione relativa alla criminalizzazione di certe offese, si dice, dovrebbe attenere al bene giuridico tutelato e non agli obiettivi delle politiche dell’Unione europea, con l’inevitabile passaggio dalla tutela dei beni alla mera tutela di norme[29]. Qui, per contro, Antonella Massaro, riprendendo una autorevole corrente di pensiero, supera chiaramente la questione sottolineando come il giudizio di indispensabilità «dovrebbe intendersi riferito al ravvicinamento delle disposizioni dei singoli Stati membri in materia penale e una valutazione di questo tipo non potrebbe prescindere dal principio di extrema ratio del diritto penale […] Il giudizio in questione chiamerebbe necessariamente in causa la gravità oggettiva e soggettiva dell’illecito, con risultati assai prossimi a quelli cui si perverrebbe muovendo dall’ottica del bene giuridico»[30].
La descrizione del diritto positivo dell’Unione europea sul tema in esame termina con un passaggio nel quale viene riportato il caso del mancato adempimento di un obbligo imposto mediante direttiva: qui l’unica strada percorribile sarebbe l’avvio di una procedura di infrazione, non già l’introduzione diretta di nuove fattispecie all’interno dell’ordinamento nazionale, posto che «le indicazioni “punitive” derivanti dall’ordinamento europeo, specie qualora si risolvano in obbligo di criminalizzazione di certi comportamenti, determinino un’ingerenza significativa nella discrezionalità del legislatore nazionale»[31].
Sul versante degli obblighi convenzionali di tutela, invece, l’analisi viene articolata ponendo l’accento, rispettivamente, sugli obblighi positivi, che indicano l’esigenza, da parte degli Stati nazionali, di adottare le misure idonee a rendere effettiva la tutela dei diritti fondamentali previsti dalla Convenzione, con l’ulteriore distinzione tra obblighi sostanziali e obblighi procedurali, con tutto ciò che una simile alternativa comporta sul piano interno della regolamentazione legislativa.
Fondamentale quanto poi scrive infine l’Autrice, che offre l’occasione per esaltare ancora una volta l’approccio metodologico analitico seguito a tal fine: «A fronte di una lacuna di tutela si renderà pur sempre necessario un intervento del legislatore […] In presenza, invece, di un adempimento solo parziale o imperfetto, che non sia superabile per via di interpretazione conforme, la necessaria chiusura del sistema resta affidata, ancora una volta, alla Corte costituzionale. Questo schema, ovviamente, muove dal presupposto per cui la Corte costituzionale, rivolgendo il proprio sindacato a una legge o a un atto avente forza di legge, può intervenire a fronte di un’antinomia, non già di una lacuna dell’ordinamento»[32].
Il terzo capitolo si interessa dell’art. 7 CEDU e, precisamente, delle nozioni autonome di “legge” e di “materia penale”.
Il lettore può sensibilmente apprezzare lo stile ricostruttivo scelto, grazie al quale le complesse vicende storiche e le argomentazioni giurisprudenziali che hanno portato la Corte di Strasburgo ad elaborare concetti autonomi rilevanti anche per il diritto penale vengono presentati con mirabile lucidità.
Preme anzitutto evidenziare le notevoli e per certi aspetti rivoluzionarie pagine dedicate all’oggettivizzazione del parametro della prevedibilità, sul versante della nozione autonoma di “legge” per come intesa dalla Corte EDU. Qui Antonella Massaro riprende e sviluppa quanto già sostenuto nella monografia Determinatezza della norma penale e calcolabilità giuridica: «il concetto di prevedibilità che emerge dalla (sebbene eterogenea) giurisprudenza della Corte EDU sembra ispirato a un modello prevalentemente oggettivo»[33]. Parametro o modello essenzialmente oggettivo che ha portato la Professoressa Massaro ad operare una (ri)lettura dell’art. 5 c.p. non già in chiave di colpevolezza normativa quanto, piuttosto, di limite alla validità e all’efficacia della norma penale.
Degno della massima attenzione è, come già detto in precedenza, il paragrafo in cui si distingue tra l’oggetto del giudizio di accessibilità e quello del giudizio di prevedibilità condotto sulla coppia concettuale disposizione e norma: «potrebbe ritenersi che la carenza di accessibilità riguardi la stessa difficoltà di individuare la disposizione da interpretare e da “trasformare” in norma, per difetti di formulazione radicali e non emendabili in via interpretativa. Le due ipotesi più evidenti sono quelle dell’errore materiale nella pubblicazione della legge e il fenomeno della legge oscura […] Il giudizio di prevedibilità riguarderebbe invece disposizioni riconoscibili nella loro portata testuale, ma il cui raggio applicativo (norma) risulta incerto per significative oscillazioni riscontrabili sul versante applicativo-giurisprudenziale»[34].
Innovazioni sul piano dogmatico emergono, inoltre, in ordine alle articolazioni della “materia penale”, più precisamente in merito alla identificazione delle sanzioni penali. Una volta delimitata la portata degli ormai tradizionali criteri Engel, Antonella Massaro propone un criterio alternativo in grado di superare le incertezze derivanti dall’ambiguità degli stessi e che poggia in modo sicuro sugli effetti della sanzione e cioè un criterio che «valorizzando gli effetti della sanzione e ponendosi per certi aspetti a mezza via tra quelli attinenti al contenuto e quelli che enfatizzano anche (o solo) lo scopo, sembra in grado di assicurare un sufficiente grado si controllabilità, è rappresentato dalla nota distinzione tra sanzioni esecutive e sanzioni punitive»[35]. Ritorna e si rende pressante quell’esigenza di certezza che per l’Autrice non solo deve caratterizzare la struttura della fattispecie condizionante della norma penale, cioè l’illecito in senso stretto, quanto, piuttosto, anche la conseguenza condizionata, cioè la sanzione, in tutta la sua portata.
L’indagine prosegue poi con un articolato approfondimento delle più importanti questioni che hanno accompagnato la tematica dei doppi binari sanzionatori, intesi in senso stretto come la coesistenza tra pene e misure di sicurezza, e in senso lato, per riferirsi ai settori della legislazione penale caratterizzati dalla presenza tanto di sanzioni penali quanto di sanzioni amministrative e della successione di leggi penali nel tempo, in particolare le vicende che hanno interessato il principio di retroattività della legge penale favorevole, dal caso Scoppola per concludere infine con l’annoso problema dei c.d. fratelli minori di Scoppola.
Il quarto ed ultimo capitolo affronta il delicato tema della tutela dei diritti umani nel diritto “europeo”.
L’analisi segue ancora una volta, con rigore metodologico, la doppia strada del diritto dell’Unione europea e della CEDU.
Per quanto riguarda il diritto dell’Unione europea, individuato il “momento di svolta” nella sentenza Stauder del 1969 con la quale la Corte europea afferma che i diritti fondamentali della persona fanno parte dei principi generali del diritto comunitario e che, quindi, la Corte ne garantisce l’osservanza, Antonella Massaro presenta al lettore il quadro normativo al riguardo, con singolare attenzione all’evoluzione storica dello stesso, “conclusasi” con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Qui, il cambio di passo è evidente dal momento che il nuovo art. 6 TFUE si muove in una duplice direzione: a) la CDFUE si vede attribuita lo stesso valore giuridico dei trattati; b) l’Unione si impegna ad aderire formalmente alla CEDU[36].
Sul piano della CEDU, l’Autrice, dopo aver sottolineato come la Convenzione abbia ad oggetto esclusivo proprio la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, sviluppa una doppia coppia concettuale come «ulteriore bussola per orientarsi nella affollata cartina dei rapporti tra diritto interno e sistema CEDU», cioè quella che distingue tra diritti posti a tutela del reo e diritti posti a tutela della vittima e, ancora, quella che prende in considerazione gli effetti, in bonam o in malam partem, sull’ordinamento nazionale[37].
L’indagine, anche in questo passo, viene compiuta con profonda analisi, tanto che ad esempio, in riferimento ai diritti posti a tutela del reo, Antonella Massaro riscontra almeno tre diverse tipologie di violazione: (a) violazione di principi generali che individuano un deficit o un gap di tutela potenzialmente ripetibili, suscettibili cioè di manifestarsi in termini analoghi anche per soggetti diversi dal ricorrente; (b) violazione di diritti individuali, che trova la propria ragione in una lacuna dell’ordinamento; (c) violazioni di diritti individuali che, pur adeguatamente tutelati dall’ordinamento in astratto, non hanno ricevuto adeguata “concretizzazione” nel caso singolo[38].
Il capitolo si chiude infine con un approfondimento dettagliato delle questioni poste dall’ergastolo ostativo e dall’art. 3 CEDU, con una singolare attenzione ai particolari normativi che hanno interessato l’ordinamento italiano in seguito ad alcune fondamentali e storiche pronunce della Corte di Strasburgo.
L’opera rappresenta dunque un contributo sistematico alla teoria del diritto penale moderno, rimanendo un punto di riferimento obbligato nello studio delle interazioni tra ordinamenti giuridici, in generale, e tra ordinamento penale italiano e diritto “europeo” in particolare.
L’auspicio è che l’attuale disordine del panorama normativo nazionale e internazionale possa effettivamente essere superato grazie anche, e soprattutto, a quanto le future generazioni di studiosi e di operatori del diritto sapranno ricavare dagli insegnamenti degli Appunti di diritto penale europeo, sia sul piano strettamente metodologico sia in ordine alle riflessioni interpretative sviluppate dalla Professoressa Antonella Massaro con notevole e invidiabile rigore argomentativo.
[1] Riprendo qui la terminologia utilizzata da T. Mazzarese, Le fonti del diritto e il loro (dis)ordine, in Lo Stato, n. 12, 2019, p. 416 ss..
[2] A. Massaro, Determinatezza della norma penale e calcolabilità giuridica, ES, Napoli, 2020, p. 118.
[3] Così, letteralmente, A. Massaro, Determinatezza della norma penale e calcolabilità giuridica, cit., p. 121.
[4] M. Gallo, La piccola frase di Mortara, Giappichelli, Torino, 2014, p. 34.
[5] M. Atienza, Entrevista a Riccardo Guastini, in DOXA, n. 27, 2004, p. 467.
[6] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, Giappichelli, Torino, 2020, pp. 100-101.
[7] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 14: «Le cadenze della pronuncia in questione, in realtà, non risultano così eccentriche, se collocate nel più ampio contesto della giurisprudenza costituzionale. Il riferimento è soprattutto alla c.d. dottrina del diritto vivente, alla quale è stato affidato negli ultimi decenni il gravoso compito di meglio definire il rapporto tra la Corte costituzionale e i giudici comuni […] Così come il diritto consolidato, anche la categoria del diritto vivente presenta una serie di criticità evidenti, dovute anzitutto alla flessibilità di una formula pronta a trasformarsi in malleabile argilla a seconda delle esigenze che di volta in volta vengono in considerazione. Si tratta però, questo è il punto, di approdi affatto rivoluzionari che, lungi dal rappresentare lo strumento di difesa messo in campo dalla Corte costituzionale per resistere all’avanzata dell’europeizzazione del diritto (penale), individuano piuttosto l’esito fisiologico di una teoria dell’interpretazione sempre più focalizzata non sulle disposizioni ma sulle norme, intendendo queste ultime come il significato attribuito al segno linguistico attraverso l’attività “qualificata” dell’interprete».
[8] Cfr. U. Scarpelli, Il problema della definizione e il concetto di diritto, Istituto Editoriale Cisalpino, Milano, 1955, p. 51.
[9] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., pp. 21-22.
[10] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., pp. 35-36 per l’analisi dei significati di cui al testo.
[11] Questo il titolo del paragrafo 2.
[12] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 4.
[13] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 4.
[14] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 8.
[15] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 44.
[16] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 10.
[17] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., pp. 11-12.
[18] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 12.
[19] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 14.
[20] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 15.
[21] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 24.
[22] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 25.
[23] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 27.
[24] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., pp. 29-30.
[25] A. Massaro, Determinatezza della norma penale e calcolabilità giuridica, cit., pp. 46-50.
[26] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 33.
[27] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 46.
[28] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., pp. 71-72.
[29] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 78.
[30] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 78.
[31] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 81.
[32] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., pp. 89-90.
[33] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 97.
[34] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 101.
[35] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 118.
[36] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 160.
[37] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 162.
[38] A. Massaro, Appunti di diritto penale europeo, cit., p. 162.