La Corte di Giustizia UE sulla legittimità del MAE alla luce del diritto ad un ricorso effettivo ex art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
[a cura di Stefania Carrer]
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sezione Terza
Causa C-414/20, Sentenza 13 gennaio 2021
Il 13 gennaio 2021 la Terza Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha depositato la sentenza sulla domanda di pronuncia pregiudiziale effettuato dal Tribunale speciale per i procedimenti penali bulgaro vertente sull’interpretazione dell’art. 6, para. 1 (nozione di “autorità giudiziaria emittente”), e dell’art. 8, para. 1, lett. c) (nozione di “sentenza esecutiva, di un mandato d’arresto o di qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva”), della Decisione Quadro 2002/584/GAI del Consiglio, relativa al mandato d’arresto europeo (MAE) e alle procedure di consegna tra Stati membri, nonché dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE).
La domanda di pronuncia pregiudiziale veniva presentata nell’ambito di un procedimento di riesame promosso da MM, sottoposto alla misura di custodia cautelare, in occasione del quale veniva contestata la validità del mandato d’arresto europeo emesso nei suoi confronti.
1. I fatti oggetto del rinvio pregiudiziale.
Il caso di specie trova origine nel procedimento penale per partecipazione a un’organizzazione criminale dedita al traffico di stupefacenti avviato in Bulgaria nei confronti di quarantuno persone. Sedici di queste persone, tra cui MM, si erano rese latitanti.
L’8 agosto 2019, il servizio di polizia inquirente emetteva un ordine di accompagnamento ai sensi dell’articolo 71 del codice di procedura penale bulgaro, diramando un avviso di ricerca di MM affinché fosse condotto coattivamente presso i servizi di polizia. Si specifica che in tale sede non era intervenuta alcuna autorità giudiziaria (pubblico ministero o giudice) e che l’ordine non era mai stato eseguito.
Con provvedimento del 9 agosto 2019 l’organo inquirente, con l’autorizzazione del pubblico ministero, emanava un atto di imputazione, contestando a MM la partecipazione ad un’organizzazione criminale dedita al traffico di stupefacenti. Poiché MM si era reso latitante, il provvedimento veniva notificato soltanto al suo avvocato nominato d’ufficio. Il giudice di rinvio precisava che tale disposizione non aveva come effetto giuridico il collocamento in detenzione dell’imputato, producendo unicamente l’effetto giuridico di notificare ad una persona le accuse a suo carico e di darle la possibilità di difendersi fornendo spiegazioni o proponendo offerte di prove.
Il 16 gennaio 2020 il pubblico ministero emetteva un mandato d’arresto europeo nei confronti di MM, giustificandolo unicamente in base all’atto di imputazione del 9 agosto 2019 redatto dall’organo inquirente, con il quale era stata formulata l’imputazione a carico di MM. Tale provvedimento veniva quindi indicato quale “decisione sulla quale si basa il mandato di arresto europeo”, ossia un “mandato d’arresto o … qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva che abbia la stessa forza” richiesto ai sensi dell’art. 8 paragrafo 1, lettera c), della decisione quadro 2002/584/GAI.
Il 5 luglio 2020, in esecuzione del mandato d’arresto europeo, MM veniva arrestato in Spagna. Il 28 luglio MM veniva consegnato alle autorità giudiziarie bulgare e il pubblico ministero presentava domanda di collocamento in custodia cautelare dell’imputato, che veniva in seguito disposto dal giudice del rinvio.
Successivamente MM presentava al giudice del rinvio un’istanza volta a far controllare la legittimità della misura di custodia cautelare disposta nei suoi confronti, invocando in particolare l’illegittimità del mandato d’arresto europeo. La difesa affermava che l’eccezione sull’illegittimità del MAE non era stata presa in considerazione dall’autorità giudiziaria spagnola che lo aveva eseguito, avendo l’imputato acconsentito ad essere consegnato alle autorità bulgare.
Nella decisione di rinvio pregiudiziale, il giudice bulgaro si chiedeva in primo luogo se il mandato d’arresto europeo di cui trattasi fosse stato emesso da un’autorità incompetente, in quanto emesso unicamente dal pubblico ministero, senza l’intervento di un organo giurisdizionale. Egli eccepiva inoltre che tale mandato d’arresto europeo fosse stato emesso senza la previa sussistenza di un provvedimento valido di collocamento in detenzione, ma con la mera menzione dell’atto di imputazione del 9 agosto 2019, che non prevedeva come effetto giuridico la detenzione di MM.
Alla luce di tali elementi, il giudice del rinvio giungeva alla conclusione che il mandato d’arresto europeo di cui trattasi fosse illegittimo. Tuttavia, il medesimo giudice esprimeva dubbi in ordine alla questione se, in tale fase del procedimento, egli potesse dichiarare l’illegittimità di detto mandato d’arresto europeo. Invero, da una parte, la procedura di emissione e di esecuzione del MAE si era già definitivamente conclusa e, dall’altra, egli avrebbe esercitato in tal modo un controllo indiretto sulla decisione del pubblico ministero, controllo vietato dal diritto bulgaro.
Il giudice del rinvio riteneva altresì che tale controllo lo avrebbe portato a valutare la legittimità della decisione adottata dall’autorità giudiziaria spagnola di eseguire il mandato d’arresto europeo e di consegnare MM alle autorità giudiziarie bulgare. Esprimeva inoltre riserve sulla questione se, e fino a che punto, tale vizio del mandato d’arresto europeo, ove fosse validamente accertato, potesse ripercuotersi sulla possibilità di collocare MM in custodia cautelare.
Il Tribunale speciale per i procedimenti penali bulgaro sottoponeva quindi alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se sia conforme all’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584 una legge nazionale secondo cui il mandato d’arresto europeo e la decisione nazionale sulla cui base quest’ultimo è stato emesso sono adottati dal solo pubblico ministero, senza possibilità per il giudice di parteciparvi o di esercitare un controllo previo o a posteriori.
2) Se sia conforme all’articolo 8, paragrafo 1, lettera c), della decisione quadro 2002/584 un mandato d’arresto europeo emesso sulla base dell’atto di imputazione nei confronti della persona ricercata, senza che tale atto riguardi il collocamento in detenzione di quest’ultima.
3) In caso di risposta negativa: se, nel caso in cui un giudice non abbia partecipato all’emissione del mandato d’arresto europeo, né al controllo della sua legittimità e detto mandato sia stato emesso sulla base di un provvedimento nazionale che non prevede il collocamento in detenzione della persona ricercata, tale mandato d’arresto europeo sia stato effettivamente eseguito e la persona ricercata sia stata consegnata, si debba riconoscere alla persona ricercata un diritto di ricorso effettivo nell’ambito del medesimo procedimento penale in cui è stato emesso detto mandato d’arresto europeo. Se il diritto a un ricorso effettivo implichi che la persona ricercata sia messa nella posizione in cui si sarebbe trovata se la violazione non si fosse verificata».
2. La decisione della Corte.
Con riferimento alla prima questione pregiudiziale la Corte ha osservato che il giudice del rinvio non sembra mettere in dubbio la qualificazione del pubblico ministero bulgaro come “autorità giudiziaria emittente”, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584. Invero, la Corte ha ritenuto condivisibile tale qualificazione alla luce della partecipazione del PM all’amministrazione della giustizia penale e della sua indipendenza nell’esercizio delle funzioni inerenti l’emissione del MAE.
La Corte ha altresì precisato che l’esistenza di un sindacato giurisdizionale sulla decisione di emettere un mandato d’arresto europeo adottata da un’autorità diversa da un organo giurisdizionale non rappresenta una condizione affinché tale autorità possa essere qualificata come “autorità giudiziaria emittente”, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584. Un siffatto requisito non rientra nelle norme statutarie e organizzative della suddetta autorità, bensì riguarda la procedura di emissione del MAE, come già chiarito in precedenti pronunce.
In relazione alla seconda questione pregiudiziale la Corte ha richiamato il principio di riconoscimento reciproco sul quale si fonda il sistema del MAE, secondo cui tra gli Stati Membri vige una fiducia reciproca sul fatto che i sistemi giuridici nazionali siano in grado di fornire una protezione equivalente ed efficace dei diritti fondamentali riconosciuti a livello dell’Unione ed in particolare dalla Carta di Nizza.
Secondo la giurisprudenza della Corte sopra richiamata, il sistema del mandato d’arresto europeo comporta “una tutela su due livelli dei diritti in materia procedurale e dei diritti fondamentali di cui deve beneficiare la persona ricercata, in quanto alla tutela giudiziaria prevista al primo livello, in sede di adozione di una decisione nazionale, come un mandato d’arresto nazionale, si aggiunge quella che deve essere garantita al secondo livello, in sede di emissione del mandato d’arresto europeo, la quale può eventualmente intervenire in tempi brevi, dopo l’adozione della suddetta decisione giudiziaria nazionale” [1].
Uno dei presupposti di tale tutela è che il mandato d’arresto europeo sia emesso in conformità dei requisiti minimi da cui dipende la sua validità, tra cui quello previsto dall’articolo 8, paragrafo 1, lettera c) della decisione quadro 2002/584. Di conseguenza, la tutela giurisdizionale a due livelli è carente, in linea di principio, nei casi in cui una procedura di emissione del mandato d’arresto europeo sia applicata senza che la decisione nazionale su cui il provvedimento si innesta sia stata previamente adottata da un’autorità giudiziaria nazionale (v., in tal senso, sentenza del 1° giugno 2016, Bob-Dogi, C-241/15, punto 57).
Sul punto la Corte ha richiamato le Conclusioni dell’Avvocato Generale secondo il quale, al fine di rientrare nella nozione di “mandato d’arresto [nazionale] o di qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva che abbia la stessa forza”, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera c), della decisione quadro 2002/584, un atto nazionale che serve da fondamento per un MAE, quand’anche non sia designato con la denominazione di “mandato d’arresto nazionale” dalla legislazione dello Stato membro emittente, deve produrre effetti giuridici equivalenti.
La Corte ha quindi concluso affermando che un MAE emesso sulla base di un atto di imputazione, come quella contenuta nell’atto del 9 agosto 2019 – il quale, secondo il giudice del rinvio, produce unicamente l’effetto giuridico di notificare ad una persona le accuse a suo carico e di darle la possibilità di difendersi fornendo spiegazioni o proponendo offerte di prove, senza costituire un ordine di ricerca e di arresto di tale persona –, non è conforme a quanto previsto dall’articolo 8, paragrafo 1, lettera c), della decisione quadro 2002/584 e di conseguenza pregiudica la validità del mandato d’arresto europeo.
La terza questione pregiudiziale è stata esaminata dalla Corte su due livelli. In primo luogo, la Corte ha affrontato la questione della competenza del giudice di rinvio di esaminare la validità del MAE. Il giudice del rinvio si chiedeva infatti se, trovandosi di fronte alle conseguenze dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo nell’ambito di un ricorso diretto a revocare la custodia cautelare di MM, egli fosse tenuto ad accordare la tutela giurisdizionale effettiva richiesta dall’articolo 47 della Carta di Nizza oppure se, al contrario, dovesse dichiarare la propria incompetenza sulla questione relativa alla validità del mandato d’arresto europeo accordando a MM la possibilità di proporre un nuovo ricorso al fine di ottenere un risarcimento pecuniario. Come chiarito dal giudice nazionale, la legislazione bulgara non prevede la possibilità di proporre ricorso dinanzi a un giudice al fine di far controllare le condizioni per l’emissione di un mandato d’arresto nazionale o europeo.
In proposito la Corte ha richiamato l’importanza del summenzionato doppio livello di tutela dei diritti istituito dal sistema MAE e ha ribadito che, sebbene non sia espressamente menzionato nella decisione quadro 2002/584, lo Stato membro emittente ha l’obbligo di predisporre uno o più mezzi di ricorso effettivi al fine di consentire un controllo giurisdizionale delle condizioni per l’emissione di un MAE emesso da un’autorità che, come nel caso di specie, pur partecipando all’amministrazione della giustizia di tale Stato membro, non è essa stessa un organo giurisdizionale. Tale obbligo deriva dal sistema istituito da tale decisione quadro conformemente ai requisiti dell’articolo 47 della Carta di Nizza.
Pertanto, ha continuato la Corte, se il diritto processuale dello Stato membro emittente non prevede un ricorso distinto che consenta il controllo giurisdizionale delle condizioni di emissione del mandato d’arresto europeo e della sua proporzionalità, prima o contemporaneamente alla sua adozione o successivamente, la decisione quadro 2002/584, letta alla luce del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, deve essere interpretata nel senso che un giudice chiamato a pronunciarsi in una fase del procedimento penale successiva alla consegna della persona ricercata deve poter controllare, in via incidentale, le condizioni di emissione di tale mandato quando la validità di quest’ultimo è contestata dinanzi ad esso.
In secondo luogo la Corte ha affrontato la questione della revoca della detenzione preventiva di MM in conseguenza della contestazione della validità del MAE. Sul punto i giudici di Lussemburgo hanno osservato, da un lato, che una volta che la persona ricercata sia stata arrestata e consegnata allo Stato membro emittente, il mandato d’arresto europeo ha, in linea di principio, esaurito i suoi effetti giuridici, fatti salvi gli effetti della consegna. Dall’altro, hanno rilevato che in assenza di armonizzazione delle condizioni alle quali una misura di custodia cautelare può essere disposta e mantenuta nei confronti di una persona sottoposta a procedimento penale, è solo alle condizioni previste dal suo diritto nazionale che il giudice competente può decidere su tale misura ed, eventualmente, interrompere l’esecuzione se constata che tali condizioni non sussistono più.
I giudici affermano quindi che né la decisione quadro 2002/584 né l’art. 47 della Carta impongono al giudice nazionale di liberare la persona oggetto di una misura di sicurezza qualora constati l’invalidità del mandato d’arresto europeo che ha portato alla sua consegna.
Di conseguenza, spetta unicamente al giudice nazionale competente verificare se una misura nazionale che comporta una privazione della libertà sia stata adottata nei confronti della persona perseguita, conformemente al diritto nazionale dello Stato membro di emissione. Inoltre, spetta a tale giudice determinare, alla luce del diritto nazionale dello Stato membro emittente, quali conseguenze possa avere l’assenza di un valido mandato d’arresto nazionale sulla decisione di custodia cautelare e, successivamente, di mantenimento in custodia di una persona sottoposta a procedimento penale.
[1] Vedansi, in particolare, le sentenze Openbaar Ministerie (Procura, Svezia) (punto 38 e giurisprudenza ivi citata) e Parquet général du Grand-Duché de Luxembourg e Openbaar Ministerie (Procuratori di Lione e di Tours) (punto59 e giurisprudenza ivi citata).