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Recensione a “Produzione e traffico di sostanze stupefacenti” (di Michele Toriello)

La contrapposizione tra ratio quomodo del diritto è il riflesso della distinzione tradizionale tra dottrina e giurisprudenza, tra teoria e prassi, il cui punto di incontro è il diritto vivente, ovvero l’espressione realistica della norma che offre significato alla regola nel tessuto sociale.

Il libro di Michele Toriello – oggi pubblicato in una seconda edizione interamente rinnovata e ampliata rispetto alla prima del 2015 – non ha, come modestamente indicato dall’Autore, «un taglio squisitamente pratico», ma ha la capacità di offrire all’operatore del diritto, come allo studioso più attento, una chiara cartina orientativa del reato di cui all’art.73 d.P.R. 309/1990, posto al centro di una fondamentale lotta al crimine organizzato (anche) internazionale ed oggetto, come noto, negli ultimi anni, di opposti interventi legislativi (L. 49/2006, DL 146/2013, DL 36/2014, L. 79/2014) e decisioni fondamentali della Corte costituzionale (32/2014, 23/2016, 40/2019), a cui hanno fatto seguito importanti dibattiti dottrinali e soluzioni giurisprudenziali volti a restituire, di volta in volta, coerenza alla disciplina in questione rispetto ai principi che reggono la materia penale.

L’opera, suddivisa in dieci capitoli, descrive il «nuovo volto del reato», così come emerge all’esito di questo travagliato percorso normativo e giurisprudenziale, che l’A. delinea puntualmente, soffermandosi sulle relative rationes fondamentali (Capp. 1, 2). La metodologia di analisi è rigorosa e tradizionale: la scomposizione della fattispecie (avente natura di reato di pericolo) nei singoli elementi costitutivi consente di esaminarli «atomisticamente» in relazione all’evoluzione «vorticosa e disordinata» a cui, come detto, è sottoposta la normativa in questione, al fine di coglierne il relativo significato. Successivamente, l’A. ricompone la fattispecie, così forgiando la nuova fisionomia incriminatrice nel panorama di lotta al traffico delle sostanze stupefacenti, e ponendo una chiara «linea di demarcazione rispetto alle condotte sanzionate solo in via amministrativa» (Cap.3).

Toriello dedica particolare attenzione all’ipotesi di coltivazione di piante da stupefacenti, rimarcando la compatibilità della natura di reato di pericolo astratto con il principio di offensività, onde consentire di darne un’interpretazione costituzionalmente conforme, «che ne precluda l’applicazione a fatti che siano in concreto privi di qualsiasi idoneità a cagionare una lesione anche solo potenziale ai beni giuridici protetti [salute pubblica, ordine e sicurezza pubblici]». In tale lettura, il punto distintivo è colto nella capacità prospettica della pianta di produrre principio attivo: se assente, il fatto non sarà (formalmente) tipico; se esigue, tale «da essere radicalmente insufficiente a produrre nell’assuntore gli effetti di alterazione neuropsichica tipici della sostanza stupefacente coltivata», il fatto sarà inoffensivo (e, dunque, sostanzialmente non tipico). L’A., poi, si sofferma, con taglio critico, sulla distinzione tra coltivazione domestica e coltivazione imprenditoriale operata dalle Sezioni Unite (Caruso, 12348/2020), salvo rimarcare l’importanza applicativa del principio di offensività in concreto che potrebbe rendere effettivamente innocua la coltura domestica (Cap. 4).

Per concludere l’analisi puntuale della condotta di coltivazione, Toriello esamina le «asimmetrie normative» introdotte con la legge 2 dicembre 2016, n.242, che ha consentito la coltivazione a fini agro-industriali di numerose varietà della cannabis sativa L (Cap. 5). Si sofferma sulla contrastante lettura giurisprudenziale, recentemente, ricomposta dalle solide argomentazioni delle Sezioni Unite (Castignani, 30475/2019), tuttavia, indicando alcune aporie applicative tali da imporre un intervento normativo (ovvero la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art.14 d.P.R. 309/1990), «onde espungere dalle tabelle delle sostanze stupefacenti tutti i prodotti ottenuti dalla coltivazione della cannabis light».

Dopo la descrizione dell’ipotesi delittuosa di consumo di gruppo (Cap. 6), Toriello analizza le condotte lievi di cui all’art.73, co.5, d.P.R. 309/1990, elevate a dignità di reato autonomo con decreto-legge 24 dicembre 2013, n.146, soffermandosi, con puntuale approccio scientifico, sulle diverse questioni giuridiche che la disposizione ha posto, soprattutto rispetto alla sua descrizione eccessivamente indeterminata (Cap. 7). Da qui, si rende ancora più necessaria – e, certamente, più difficile – la definizione di ogni elemento costitutivo del reato lieve (quantità e qualità delle sostanze, mezzi, modalità e altre circostanze dell’azione), che l’A. propone con metodo critico, puntualizzando la doverosità di «una valutazione non atomistica della singola condotta che, invece, deve essere contestualizzata e considerata (…) nel suo concreto divenire e non quale fotogramma estraneo alla realtà nella quale si è manifestata».

All’analisi delle circostanze speciali ad effetto speciale di cui agli artt.73, co.7, e 80, co.2, d.P.R. 309/1990 (Cap. 8) seguono le soluzioni adottate sugli aspetti sostanziali e processuali più di frequente poste nei procedimenti per i reati di produzione e traffico di sostante stupefacenti: prescrizione, operazioni di agenti provocatori, arresto ritardato, individuazione del giudice competente, regime di ascolto dell’acquirente della droga, perizie fonica e tossicologica ed, infine, pena, pene accessorie e misura di sicurezza (Cap. 9).

Nell’ultimo capitolo (Cap. 10), Toriello affronta i complessi effetti delle sentenze di incostituzionalità e dei successivi interventi legislativi sui procedimenti pendenti e su quelli definiti in relazione al «mutamento in senso favorevole all’imputato delle cornici edittali di quasi tutti i reati in materia di sostanze stupefacenti» e, dunque, la necessità di ragguagliare le pene applicate a quelle (in concreto) più miti «risultanti all’indomani delle due pronunce di incostituzionalità». Ma non solo. Gli interrogativi e le relative soluzioni giurisprudenziali riguardano la sproporzione della pena applicata alla condotta più lieve dovuta al nuovo delta punitivo, ma anche gli effetti indiretti della sentenza del 2014 della Corte costituzionale sul regime delle misure cautelari. Il necessario intervento (anche) in executivis del giudice, per rimodulare la pena applicata al nuovo assetto sanzionatorio, incide – osserva l’A. – sull’intangibilità dello stare decisis in favore della libertà personale, investendo tutto «il procedimento di determinazione della pena, effettuato sulla base di cornici edittali che mai avrebbero dovuto fare ingresso nell’ordinamento».

In definitiva, si tratta di un lavoro corposo ed assolutamente aggiornato che, affrontando un’evoluzione normativa «vorticosa e disordinata», delinea un quadro completo dell’esegesi della previsione incriminatrice di cui all’art.73 d.P.R. 309/1990, così fornendo indicatori estremamente utili agli studiosi della materia e ai pratici per orientarsi nel diritto vivente del microsistema di contrasto al traffico di sostanze stupefacenti.