ARTICOLIDIRITTO PENALE

La Cassazione sul rapporto tra utilizzazione fraudolenta di fatture per operazioni inesistenti e omessa dichiarazione.

[a cura di Lorenzo Roccatagliata]

Cass. pen, Sez. III, Sent. 9 aprile 2021 (ud. 5 marzo 2021), n. 13275
Presidente Liberati, Relatore Scarcella

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione, Sezione terza, si è pronunciata in merito al reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti (art. 2, D. lgs. n. 74/2000) e ai rapporti fra tale fattispecie e quella di omessa dichiarazione (art. 5, D. lgs. cit.).

Con riguardo al reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti, la Corte ha affermato che esso “è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’IVA, esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura. La condotta di dichiarazione fraudolenta mediante fatture o documenti per operazioni inesistenti (…) presenta una ‘struttura bifasica’, in cui la dichiarazione, quale momento conclusivo, integra un falso contenutistico, mentre la condotta preparatoria, cioè la registrazione o detenzione a fini di prova dei documenti che costituiranno il supporto della dichiarazione, si riferisce ai documenti falsi (cioè contraffatti o alterati) emessi da altri in favore dell’utilizzatore. La falsità può cadere sul contenuto della fattura o del documento contabile rilevante, attestandosi che è stata eseguita una operazione in realtà non eseguita oppure che l’importo dell’operazione è superiore a quello reale, ma può cadere anche sulla indicazione dei soggetti tra cui è intercorsa l’operazione. A tale riguardo ‘soggetti diversi da quelli effettivi’ sono quei soggetti che, in realtà, non hanno preso parte all’operazione e sono invece indicati nel documento”.

Inoltre, ha ritenuto il Collegio, “non vi è alcun fondamento razionale nell’affermare che l’ipotesi non ricorre quando i soggetti che appaiono emittenti del documento siano addirittura inesistenti (trattandosi, ad esempio, di nomi di fantasia) o siano soggetti che nessun rapporto abbiano mai avuto con il contribuente che utilizza il documento medesimo. Anche in tal modo, infatti, il contribuente fa apparire di avere speso somme in realtà non sborsate e pone così in essere una lesione del bene giuridico protetto, costituito dal patrimonio erariale, con la conseguenza, dunque, che nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (…) la falsità può essere riferita anche all’indicazione dei soggetti con cui è intercorsa l’operazione, intendendosi per ‘soggetti diversi da quelli effettivi’, ai sensi dell’art. 1 lett. a), del citato D. Lgs., coloro che, pur avendo apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione, sono irreali, come nel caso di nomi di fantasia, o non hanno avuto alcun rapporto con il contribuente finale”.

La Corte ha poi affrontato il tema del rapporto tra la fattispecie in discorso e il reato di omessa dichiarazione. Sul punto i Giudici hanno ritenuto “infondato qualsiasi dubbio sulla natura di detti reati, in particolare se trattasi di un unico delitto, ovvero, se, considerata la formulazione normativa, possano considerarsi coesistenti nella medesima disciplina due distinti reati connessi ai distinti obblighi dichiarativi ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva, potendo nella seconda eventualità contestarsi anche l’art. 81 del codice penale per la continuazione, con conseguente aumento della pena

Infatti, ha concluso il Collegio, “è possibile ritenere che in consimili ipotesi sia applicabile l’istituto della continuazione. Indiretta conferma di tale assunto si rinviene in quella giurisprudenza che ha affermato che, ai fini della configurabilità del reato di omessa dichiarazione, ex art. 5 D. lgs. n. 74 del 2000, come modificato dal D.lgs. n. 158 del 2015, è necessario e sufficiente che l’imposta evasa, con riferimento a ciascuna delle distinte imposte considerate, sia superiore a 50.000 euro, non potendosi sommare, ai fini della determinazione dell’imposta evasa, le imposte sui redditi e quelle sull’Iva”.

Redazione Giurisprudenza Penale

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