La Cassazione sulla abnormità del provvedimento di imputazione coatta per reati diversi da quelli oggetto della richiesta di archiviazione.
[a cura di Lorenzo Roccatagliata]
Cass. pen., Sez. II, Sent. 12 maggio 2021 (ud. 20 aprile 2021), n. 18650
Presidente Gallo, Relatore Cianfrocca
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione, Sezione seconda, si è pronunciata in merito ai poteri del giudice per le indagini preliminari rispetto alla richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero.
Nell’ambito di un procedimento iscritto per il reato di truffa aggravata (art. 640, comma 2, c.p.), per il quale l’accusa aveva domandato l’archiviazione, il Giudice aveva ordinato l’imputazione coatta in termini alternativi, per il reato di truffa aggravata ovvero per il reato di indebito utilizzo di carte di credito (art. 493 ter c.p.). Il pubblico ministero ricorreva per Cassazione, deducendo l’abnormità del provvedimento.
Il Collegio ha preliminarmente ripercorso i principi dettati dalla Corte costituzionale in materia. La Consulta aveva affermato che “il giudice non può sostituirsi al pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale, non potendo ordinare la formulazione dell’imputazione nei confronti di soggetti mai iscritti nel registro delle notizie di reato o, se iscritti, non può ordinare l’imputazione coatta in ordine a reati diversi da quelli iscritti nel registro ex art. 335 cod. proc. pen. perché ciò significherebbe esautorare il pubblico ministero dai suoi compiti istituzionali (esercizio obbligatorio dell’azione penale); ha tuttavia riconosciuto in capo al giudice il controllo di legalità sull’esercizio dell’azione penale con la conseguente possibilità in capo a questi porre in essere di atti di impulso in modo che il controllo di legalità sull’esercizio dell’azione penale si svolga in conformità al principio dell’obbligatorietà che la regge (art. 112 Cost.), senza essere vincolato dalle differenze qualitative sottese ai diversi tipi di archiviazione e senza essere vincolato né dal petitum né dalla causa petendi, potendo esercitare i poteri di impulso con riferimento all’indagine nella sua integralità, così come risulta dal fascicolo del pubblico ministero, potendo richiedere l’espletamento di ulteriori indagini non solo con riferimento ai soggetti iscritti nel registro ex art. 335 cod. proc. pen. e non soltanto in ordine ai reati per i quali si procede, pure essi iscritti, ma anche con riguardo ad altri reati e ad altri soggetti”.
Sulla base di queste indicazioni, ha ricordato la Corte, la giurisprudenza di legittimità si è consolidata nel ritenere che “nel procedimento di archiviazione costituisce atto abnorme, in quanto esorbita dai poteri del giudice per le indagini preliminari, sia l’ordine d’imputazione coatta emesso nei confronti di persona non indagata, sia anche quello emesso nei confronti dell’indagato per reati diversi da quelli per i quali il pubblico ministero aveva richiesto l’archiviazione”, e che “l’unico potere di intervento modificativo dell’imputazione che la giurisprudenza sembra lasciare in capo al giudice è costituito dalla possibilità di riqualificazione del fatto, che del resto, costituendo corretta applicazione della legge, ius dicere e, pertanto, attuazione del principio di legalità, si deve estendere a tutte le fasi del processo”.
La Corte ha ritenuto di dover “abbracciare una lettura della nozione di ‘diversità del fatto’ che coinvolga non soltanto gli elementi della condotta materiale (nel caso di specie la consegna della carta di pagamento da parte del titolare ad un terzo) ma, anche, del contesto e delle finalità (dirette o indirette) in cui tale condotta si inscriva e che contribuisce, come è pacifico, ad integrare gli elementi propri di un reato diverso”.
Ed ha, conseguentemente, ritenuto che “nel caso di specie, in definitiva, non si può ritenere che si sia in presenza di un medesimo fatto ancorché diversamente qualificato in quanto, tra le condotte riconducibili nella fattispecie della truffa o in quella dell’uso indebito di carta di credito esiste effettivamente un ‘nucleo’ comune nella sua consegna da parte del titolare a terzi che ne faccia uso; e, tuttavia, mentre nella truffa quel che rileva è la finalità perseguita o accettata di consentire ad altri di porre in essere condotte decettive in danno di terzi indotti ad accreditare somme sulla carta, nel delitto di cui all’art. 493 ter cod. pen., indipendentemente dalla percorribilità della interpretazione proposta dal GIP nel provvedimento impugnato, la specificità della condotta risiede proprio nel fatto di utilizzare (ovvero di far utilizzare ad altri) la carta in maniera ‘indebita’”.