Pubblicato il primo fascicolo di Giurisprudenza Penale Trimestrale 2021.
a cura di Lorenzo Roccatagliata
Pubblichiamo di seguito il fascicolo n. 1, 2021 di Giurisprudenza Penale Trimestrale.
Il fascicolo si trova anche nella sezione della Rivista dedicata all’edizione trimestrale. Per accedervi, clicca qui.
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Il sistema penale italiano è forse a una svolta?
Nonostante la persistente incombenza della pandemia, la vita quotidiana del sistema penale non si arresta: anche nei mesi appena trascorsi il “formante giurisprudenziale” ha prodotto significativi momenti di trasformazione o assestamento del nostro diritto penale. La Corte di cassazione, specie nel suo massimo organo di nomofilachia, è stata spesso chiamata a continuare l’opera del legislatore (come, ad esempio, in materia di attività di gestione del gioco lecito e peculato, su cui v. infra il contributo di Urciuoli e Politi sulla sentenza S.U. n. 6087/2021), ovvero a completarla e perfezionarla (come è accaduto, ad esempio, con la sentenza S.U. n. 10381/2021 sull’applicazione analogica dell’art. 384 c.p. al convivente more uxorio). E la Corte costituzionale, poi, sembra ormai avviata ad una più costante e penetrante opera di riallineamento del sistema a Costituzione, senza con ciò disconoscere le prerogative del legislatore (come, ad esempio, è avvenuto da ultimo con l’ordinanza con cui, accertata la incompatibilità costituzionale dell’ergastolo ostativo, ha dato termine al legislatore per adeguare la disciplina, secondo il nuovo modello di provvedimento di “incostituzionalità accertata e non dichiarata” o di incostituzionalità differita, inaugurato con il famoso caso Cappato: su tutto ciò, v. infra il contributo di Bellini e Procopio). Anche l’Europa continua a costituire un fattore di forte sollecitazione per il nostro ordinamento, sospingendolo verso forme sempre più strette di cooperazione implicanti spesso vere e proprie rivoluzioni ordinamentali e istituzionali (come è accaduto, in particolare, per l’istituzione del cosiddetto Pubblico ministero europeo, su cui v. infra il contributo di Guagliardi, ma anche in materia di contrasto al riciclaggio transnazionale e di mandato d’arresto europeo, su cui v. infra, rispettivamente, i contributi di Gianfelici e Siena e di Scollo).
Ma la vicenda forse più significativa dei mesi appena passati si colloca sul fronte del “formante legislativo” o, per meglio dire, sul fronte della progettazione politica che prelude – con fortuna non sempre certa – all’innovazione legislativa. Alludiamo al fatto che nel mese di marzo scorso, dopo la costituzione del nuovo governo Draghi, la ministra della giustizia Marta Cartabia ha tracciato delle linee programmatiche decisamente in discontinuità col recente passato, specialmente nel settore della giustizia penale che qui interessa. Se quelle linee trovassero attuazione, anche solo in parte, indubbiamente si potrebbe parlare di un “svolta” impressa al sistema. E la svolta sembrerebbe coinvolgere più il versante sostanziale, e segnatamente sanzionatorio, che quello processuale: e anche questo è un dato significativo. Anzi, raccogliendo i moniti ripetutamente formulati dalla dottrina, le linee programmatiche affermano espressamente che «una riforma del processo penale deve pure poggiare su meditati interventi di deflazione sostanziale, cui può giungersi, tra l’altro, intervenendo sui meccanismi di procedibilità, incrementando il rilievo delle condotte riparatorie ed ampliando l’operatività di istituti che si sono rivelati nella prassi particolarmente effettivi, come la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato e la non punibilità per particolare tenuità del fatto». Già queste indicazioni, oltre a porsi in chiara discontinuità con ancora recenti interventi legislativi tendenti ad esempio ad ampliare il novero dei reati esclusi dalla causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., sono tali da delineare un orizzonte di riforma decisamente ampio. Ma le linee programmatiche si proiettano ben oltre, verso traguardi realmente “di sistema”, quando s’impegnano in una «seria riflessione sul sistema sanzionatorio penale». E l’auspicio non può che essere che alla riflessione possano seguire i fatti, visto e considerato che da molti anni invero quella riflessione si protrae.
I punti di forza di questo programma di revisione del sistema sanzionatorio sono sostanzialmente tre. In primo luogo, in vista dell’obiettivo finale di ridurre l’incidenza complessiva della carcerazione, si prospetta la valorizzazione di alternative al carcere, già quali pene principali e, dunque, mediante un ampliamento del catalogo sanzionatorio oggi attestato nell’art. 17 c.p. unicamente sulla pena detentiva e su quella pecuniaria (oltre che sull’ergastolo). In secondo luogo, ci si impegna per «restituire effettività alle pene pecuniarie»: il che significa, ovviamente, trarre la pena pecuniaria dalla sua posizione ancillare nei confronti tanto della carcerazione quanto, dall’altro lato, della sanzione pecuniaria amministrativa. In terzo luogo, sulla scorta delle numerose sollecitazioni provenienti dalle istituzioni europee ed internazionali, si fa proprio l’impegno a dare ampio spazio alla giustizia riparativa, rendendo le relative pratiche e programmi «accessibili in ogni stato e grado del procedimento penale, sin dalla fase di cognizione». Tre indicazioni programmatiche di grande momento che da molti anni la cultura penalistica non si stanca di proporre al legislatore senza peraltro grande successo. Vale la pena di notare incidentalmente al riguardo come, in casuale ma significativa coincidenza con le dichiarazioni programmatiche della ministra, hanno visto la luce i risultati dei lavori di due gruppi di ricerca che, su sollecitazione dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale, hanno formulato proposte di riforma sugli istituti sospensivo-probatori e sulle pene alternative edittali [1] .
Grande dovrà essere l’impegno del legislatore per dare corpo alle riforme prospettate nel programma governativo. Quanto alle pene alternative, oltre alle scontate resistenze politiche alla riduzione della carcerazione, occorrerà affrontare preliminarmente la scelta di fondo se privilegiare soluzioni già in qualche modo conosciute dall’ordinamento come quella della detenzione domiciliare oppure avventurarsi su sentieri più impegnativi quali sono quelli delle pene prescrittive. Certamente queste ultime sono dotate di potenzialità rieducative maggiori della prima, ma sono anche più “impegnative” e onerose per l’ordinamento e per lo Stato: non è insensato chiedersi se sia più produttivo dispiegare questo sforzo rispetto a fasce di criminalità di modesta rilevanza criminologica, specie in tempi di risorse limitate. Oppure se convenga, piuttosto, concentrare l’investimento economico nel miglioramento profondo delle condizioni di vita penitenziaria, che sono oggetto delle «costanti preoccupazioni della ministra», come del resto è testimoniato dal suo precedente impegno come giudice e presidente della Corte costituzionale.
Quanto alla pena pecuniaria, generalizzato è ormai il consenso sul fatto che il recupero della sua effettività passa attraverso l’adozione del sistema c.d. per tassi o per quote (sulla falsariga di quanto già previsto dal modello della responsabilità degli enti, su cui v. infra i contributi di Vernero, Artusi e Vernero, nonché di Tebaldi): in effetti, attraverso la commisurazione per quote è relativamente facile proporzionare la pena pecuniaria tanto alla gravità del reato e della colpevolezza quanto alle condizioni economiche del reo. A fronte di ciò, dovrà però essere preliminarmente superato il dilemma posto da chi ritiene che il potenziamento della pena pecuniaria favorirebbe il processo di bagatellizzazione del diritto penale, dovendosi invece preferire la più radicale soluzione dell’assorbimento dell’area coperta dalla pena pecuniaria in quella dell’illecito punitivo amministrativo.
Quanto poi alla più ampia utilizzazione dei percorsi di giustizia riparativa, alle grandi suggestioni esercitate da questo modelloradicalmente ed ideologicamente alternativo di giustizia (da non confondere con le sanzioni meramente risarcitorie e ripristinatorie) si contrappongono non solo le difficoltà altrettanto ideologiche di concepire un altro modo di fare giustizia, ma anche quelle tecniche di riuscire a configurare normativamente un rapporto di irrinunciabile complementarietà e coesistenza tra il modello tradizionale punitivo e quello riparativo. Comunque, sarà indispensabile accompagnare la riforma con la previsione di un serio sistema di formazione pubblica –non burocratico – degli operatori chiamati ad intervenire nei programmi di giustizia riparativa.
Nessuna di queste difficoltà è insormontabile, tutte essendo invece per così dire connaturali ad una svolta del sistema in senso finalmente moderno e coerente con gli obiettivi di politica criminale ormai internazionalmente condivisi. Piuttosto sono altre le difficoltà più insidiose. In primo luogo, si profila una difficoltà di natura essenzialmente tecnica. Pare, infatti, che l’azione riformatrice del governo si concretizzerà in forma di emendamenti al disegno di legge AC 2435 (“Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari presso le corti d’appello”), attualmente in discussione alla Camera: questa scelta, indubbiamente comprensibile, fa però intravedere un carattere necessariamente “novellistico” della riforma, fatto di interventi molto puntuali e circoscritti, probabilmente non facilmente conciliabili con l’esistente e comunque lontani dal respiro sistematico caratterizzante invece le linee programmatiche formulate dalla ministra della giustizia. È anche vero, però, che – soprattutto per quanto concerne le modifiche del sistema sanzionatorio – molto probabilmente si procederà mediante delegazione legislativa: il che potrà rendere possibile il conferimento al governo di uno spazio di manovra adeguato a incidere in modo più ampio e coerente sul vecchio tessuto normativo.
La seconda difficoltà è, invece, di carattere più politico, legata molto alla prevedibile evoluzione della situazione politica italiana. Non c’è dubbio che siano stati impressi tempi molti stretti all’azione di riforma intrapresa, e non senza ragione. Non si tratta solo di sfruttare lo spirito di resilienza originato dalla pandemia, ma anche e soprattutto della consapevolezza che la scadenza della legislatura si avvicina, con tutte le incognite e le possibili cesure che essa potrebbe comportare. In tempi di elezioni, la competizione partitica non giova alla realizzazione di riforme in materia penale e sanzionatoria in particolare, da sempre naturalmente divisiva. O meglio: una materia, quella delle sanzioni penali, in cui le forze politiche, quasi indistintamente, osservano una grandissima cautela per la preoccupazione che qualunque presunto “allentamento” della repressione causi perdite di consenso elettorale. Dunque, mentre non c’è dubbio che questo governo “tecnico-politico” sia il più adatto a intervenire sul nostro terreno, è altrettanto indubbio che il tempo a disposizione per una riforma di sistema sia davvero poco.
C’è però da considerare un fattore che potrebbe – o dovrebbe – giocare a favore dell’ambizioso programma di riforme: il fattore europeo. E’ vero che del tutto comprensibilmente l’Europa guarda con speciale interesse alla giustizia civile, sulla quale in effetti dovranno essere concentrati i maggiori sforzi, ma non c’è dubbio che anche l’arretratezza di una giustizia penale non solo lenta, ma anche appesantita da un inveterato eccesso di penalizzazione e di carcerazione, contribuisce a dare all’Europa l’immagine di un Paese statico, incapace di stare al passo coi tempi e con gli altri partner europei. E, pertanto, un generale e profondo ammodernamento del sistema penale sarebbe la prova che finalmente l’Italia “s’è desta”.
[1] I documenti su La riforma del sistema sanzionatorio sono reperibili nel sito dell’Associazione www.aipdp.it