41-bis e sottoposizione a visto di censura della corrispondenza indirizzata ai difensori: sollevata questione di legittimità costituzionale
[a cura di Guido Stampanoni Bassi]
Cassazione Penale, Sez. I, Ordinanza, 21 maggio 2021 (ud. 19 marzo 2021), n. 20338
Presidente Di Tomassi, Relatore Cappuccio
In merito al regime detentivo speciale del 41-bis, segnaliamo l’ordinanza con cui la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 15, 24, 111 e 117 Cost., anche in relazione all’art. 6 CEDU, questione di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera e), legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui prevede, per i detenuti sottoposti al regime di cui al comma 2 e seguenti, la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, senza escludere quella indirizzata ai difensori.
L’art. 41-bis – si legge nell’ordinanza – “sottrae al visto di censura la sola corrispondenza con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia“, con la conseguenza che “per i detenuti sottoposti al più rigoroso regime detentivo, il visto di censura deve essere apposto anche con riferimento alla corrispondenza intercorsa con i soggetti indicati all’art. 103, comma 5, cod. proc. pen. (difensori, investigatori privati, consulenti tecnici e loro ausiliari)“.
Secondo la Corte di Cassazione, “la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza in uscita con il proprio difensore si traduce, invero, in un vulnus non solo – e non tanto – alla libertà ed alla segretezza della corrispondenza, diritti dichiarati inviolabili dall’art. 15 Cost. e che spettano ad ogni individuo in quanto tale e, quindi, anche ai detenuti, ma anche e soprattutto del diritto alla difesa e di quello ad un equo processo, tutelati a livello costituzionale e sovranazionale“.
Il giudice delle leggi – prosegue la Corte – “ha, in proposito, già riconosciuto, con la sentenza n. 143 del 2013, il diritto a conferire con il proprio difensore e a farlo in maniera riservata, connaturato alla difesa tecnica che rientra nella garanzia ex art. 24 Cost. ed appartiene al novero dei requisiti basilari dell’equo processo, alla luce del disposto dell’art. 6, paragrafo 3, lettera c), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Ne deriva che una disposizione normativa che neghi la riservatezza delle comunicazioni con il difensore è in contrasto, oltre che con gli artt. 15 e 24 Cost, anche con l’art. 111, terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede, tra gli elementi del giusto processo, la facoltà di disporre delle condizioni necessarie per preparare la propria difesa, nonché con l’art. 117 Cost., in relazione all’art. 6 CEDU“.
Se, da un lato, “nel caso dei detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione, l’esigenza di neutralizzare la loro maggiore pericolosità e di difendere la società nei confronti delle criminalità organizzate determina e giustifica non solo la compressione di diritti fondamentali, ma anche maggiori limitazioni di trattamento rispetto alla generalità dei detenuti“, dall’altro – si precisa – “l’assoluta compressione del loro interesse a mantenere una corrispondenza riservata con il difensore, quand’anche ispirata all’esigenza di impedire i contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza, non può superare il vaglio di ragionevolezza e, quindi, ritenersi giustificata“.
La normativa in esame – conclude l’ordinanza – “appare ulteriormente carente, sotto il profilo della ragionevolezza, se confrontata con quella dettata per i colloqui visivi e telefonici con i difensori, sottratti, per espressa previsione dell’art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, all’applicazione delle disposizioni che prescrivono il controllo auditivo e la videoregistrazione, valevoli, invece, per i colloqui con i familiari. Se si ammette l’ipotesi che un difensore venga meno ai suoi doveri deontologici e professionali, e tradisca, così, l’alta funzione che gli è assegnata dall’ordinamento, anche in questo caso, cioè in relazione alle comunicazioni che avvengono di persona o per telefono, non può escludersi in astratto il rischio che lo stesso si presti a fungere da illecito canale di comunicazione: al cospetto del quale, nondimeno, il legislatore – evidentemente a ciò indotto dalla considerazione dell’inviolabilità del diritto di difesa e della natura assolutamente remota dell’ipotesi in predicato – ha scelto di dare piena tutela al diritto ad avere comunicazioni difensive riservate. Sicché, la censura sulle missive indirizzate al difensore, e il conseguente loro eventuale trattenimento, finiscono per penalizzare irragionevolmente e inutilmente il diritto di difesa – anche solo attraverso l’irrimediabile ritardo che la sottoposizione a censura imprime all’inoltro e alla consegna della missiva – e quello ad un equo processo, ma non servono a neutralizzare l’astratto pericolo che un ipotetico scambio di direttive e informazioni per mezzo del difensore avvenga con altro mezzo, nel corso di colloqui sottratti a controllo, con conseguente violazione del principio, a più riprese enunciato dalla Corte Costituzionale, secondo cui, nelle operazioni di bilanciamento, il decremento di tutela di un diritto fondamentale postula, per necessità, il corrispondente incremento di tutela di altro interesse di pari rango”.