Pena detentiva per la diffamazione a mezzo stampa: il comunicato della Corte Costituzionale. Carcere solo nei casi di eccezionale gravità.
[a cura di Guido Stampanoni Bassi]
Come avevamo anticipato, era prevista per oggi l’udienza davanti alla Corte Costituzionale sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Salerno e Bari in merito alla legittimità della pena detentiva prevista per il caso di diffamazione a mezzo stampa.
Con ordinanza numero 132 del 2020, infatti, la Corte Costituzionale – dopo aver deciso di rinviare la trattazione delle questioni di circa un anno al fine di «consentire alle Camere di intervenire con una nuova disciplina della materia» – aveva osservato che «il bilanciamento espresso dalla normativa vigente è divenuto ormai inadeguato e richiede di essere rimeditato dal legislatore anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (…), che al di fuori di ipotesi eccezionali considera sproporzionata l’applicazione di pene detentive (…) nei confronti di giornalisti che abbiano pur illegittimamente offeso la reputazione altrui, e ciò anche in funzione dell’esigenza di non dissuadere i media dall’esercitare la propria cruciale funzione di controllo sull’operato dei pubblici poteri».
In data odierna, la Corte, preso atto del mancato intervento del legislatore, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 13 della legge sulla stampa (n. 47 del 1948) che fa scattare obbligatoriamente, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa.
Pubblichiamo, di seguito, il comunicato della Corte Costituzionale:
La Corte costituzionale ha esaminato oggi le questioni sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari sulla legittimità costituzionale della pena detentiva prevista per la diffamazione a mezzo stampa, per contrasto, tra l’altro, con l’articolo 21 della Costituzione e con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Le questioni sono tornate all’esame della Corte un anno dopo l’ordinanza n. 132 del 2020 che sollecitava il legislatore a una complessiva riforma della materia.
In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa fa sapere che la Corte, preso atto del mancato intervento del legislatore, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 13 della legge sulla stampa (n. 47 del 1948) che fa scattare obbligatoriamente, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa.
È stato invece ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595, terzo comma, del Codice penale, che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa. Quest’ultima norma consente infatti al giudice di sanzionare con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità.
Resta peraltro attuale la necessità di un complessivo intervento del legislatore, in grado di assicurare un più adeguato bilanciamento – che la Corte non ha gli strumenti per compiere – tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale, anche alla luce dei pericoli sempre maggiori connessi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione, già evidenziati nell’ordinanza 132.
La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.