Impugnazioni a mezzo PEC (art. 24 d.l. 137/2020): la normativa emergenziale – prorogata, allo stato, sino al 31 luglio – si riferisce unicamente ai difensori e non anche al Pubblico Ministero
[a cura di Guido Stampanoni Bassi]
Cassazione Penale, Sez. VI, 24 giugno 2021 (ud. 11 maggio 2021), n. 24714
Presidente Fidelbo, Relatore Paternò Raddusa
1. In tema di impugnazioni a mezzo pec (art. 24 del d.l. n. 137 del 2020 come convertito dalla legge n. 176 del 2020), segnaliamo la sentenza con cui la sesta sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata – escludendo dubbi di legittimità costituzionale – sulle differenze previste dalla normativa emergenziale (prorogata, da ultimo, fino al 31 luglio) tra parte pubblica e parti private.
La Corte prende le mosse osservando come, dopo le modifiche apportate, in sede di conversione, all’art. 24 del d.l. n. 137 del 2020, dalla legge n. 176 del 2020, non vi siano dubbi circa la possibilità di procedere al deposito di qualsivoglia atto di impugnazione, anche cautelare, tramite l’invio dell’atto mediante pec.
Ciò chiarito, il tema oggetto di scrutinio attiene alla possibilità di interpretare il contenuto delle richiamate previsioni in termini tali da ritenere che l’alternativa forma di deposito dell’atto di impugnazione (ossia tramite posta elettronica certificata) possa considerarsi consentita, oltre che alle parti private, anche al Pubblico Ministero.
Una tale soluzione interpretativa – si legge nella sentenza – «non trova conforto nel dato normativo offerto dall’attuale tenore dell’art. 24 del d.l. n. 137 del 2020: in particolare non colgono nel segno, e per più concorrenti ragioni, i tentativi della Procura ricorrente di forzarne l’interpretazione alla luce di una rivendicata lettura costituzionalmente orientata che, se non percorsa, darebbe corpo ai prospettati dubbi di tenuta costituzionale della disciplina in oggetto».
Le disposizioni dell’art. 24 – afferma la Corte – «prendono in considerazione unicamente i difensori delle parti private quali soggetti legittimati ad avvalersi della possibilità di tale alternativa forma di deposito dell’atto di impugnazione: ogni segmento di rilievo nello sviluppo complessivo di tale specifica disciplina, infatti, vede al centro, esclusivamente, la figura dei difensori».
2. I giudici di legittimità proseguono osservando come, tra i diversi momenti cui risulta subordinata, dalla legislazione speciale, l’utile proposizione dell’impugnazione trasmessa via pec, «assume rilievo centrale, anche per la definizione del presente giudizio, quello della imprescindibile sottoscrizione digitale del ricorso».
Nel caso di specie – prosegue la Corte – «è pacifico che l’impugnazione oggetto di scrutinio è stata trasmessa dalla casella di posta certificata assegnata all’ufficio ricorrente a quella del Tribunale del riesame di Milano, entrambe individuate in forza del provvedimento reso in data 9 novembre 2020 dal direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia a mente dell’art. 24, comma 4, DL n. 137 del 2020. Altrettanto pacificamente, il ricorso non risulta sottoscritto digitalmente dal pubblico ministero ricorrente secondo le modalità tecniche imposte dal medesimo decreto direttoriale. La stessa parte pubblica ricorrente si sofferma sul punto rimarcando “l’assenza di strumentazione tecnica che allo stato consenta” di ovviare a siffatto incombente, previsto dalla normativa di riferimento a pena di inammissibilità, essendo incontroverso che, allo stato attuale, gli uffici della Procura non sono muniti di una firma digitale che consenta loro di provvedere in linea con le citate disposizioni tecniche».
La firma digitale – si legge nella sentenza – «al pari della sottoscrizione del documento cartaceo, consente di riferire l’impugnazione all’autore della stessa. Assume, pertanto, un rilievo essenziale nell’intero complesso di norme che legittimano la possibilità, in alternativa alle forme ordinarie di deposito, di proporre l’impugnazione tramite pec. La sua assenza, a differenza di quanto rivendicato nel ricorso, non può ritenersi superata dalla sola certezza della provenienza dell’atto dall’ufficio di riferimento, nel caso garantita dall’uso della casella di posta certificata assegnata alla relativa segreteria: a ragionare diversamente si dovrebbe ritenere che un atto cartaceo non sottoscritto dal Pubblico Ministero che impugna varrebbe comunque a incardinare ritualmente l’impugnazione solo perchè consegnato dall’addetto di segreteria dell’ufficio di riferimento».
3. Per tali motivi – concludono i giudici di legittimità – non si ravvisano, nella disciplina sopra riportata, dubbi di legittimità costituzionale.
Anzitutto, deve essere tenuto in considerazione che «le disposizioni in questione, allo stato, hanno un limitato perimetro temporale di operatività (da ultimo prorogato a tutto il 31 luglio 2021 in forza di quanto previsto dall’art 6, comma 1, lett. d, n. 3 del d.l. 1 aprile 2021 n. 44), giustificato dall’intrecciarsi sinergico di diverse ragioni fondanti: per un verso, l’emergenza sanitaria legata al noto fenomeno pandemico, che ha imposto in termini immediati soluzioni dirette a ridurre drasticamente l’accesso del pubblico presso gli uffici giudiziari, garantendo, al contempo, l’utile esercizio delle essenziali prerogative processuali funzionali ad un continuativo esercizio dell’attività giurisdizionale; per altro verso, l’attuale stato di realizzazione del processo penale telematico, implementandone, ove possibile, gli strumenti di esecuzione, negli stringenti termini imposti dall’urgenza di intervenire».
In questa ottica, «le riscontrate difficoltà tecniche legate alla impossibilità per gli uffici del Pubblico ministero di sottoscrivere digitalmente gli atti di impugnazione hanno finito per imporre la scelta, unidirezionale, assunta con la normativa in disamina. Il tutto attraverso una ragionevole composizione dei valori in gioco, atteso che l’aver favorito le possibilità, alternative, di deposito telematico da parte dei difensori delle parti private ha consentito, nei limiti di quanto permesso dallo stato di attuazione del processo penale telematico, di realizzare l’obiettivo fondante l’intervento normativo in disamina, quello di (contribuire a) limitare, nel breve periodo, uno dei motivi di accesso agli uffici giudiziari. Obiettivo, questo, non messo in discussione dalla mancata estensione della detta facoltà anche alla parte pubblica, considerata l’evidente marginalità del relativo flusso di accesso peraltro, in genere, interno agli stessi uffici giudiziari».
In conclusione, l’asimmetria determinata dalle previsioni (ancor più considerando la limitatezza temporale che ne definisce il perimetro di operatività) – si conclude – «oltre a trovare una adeguata ragione giustificatrice nelle superiori indicazioni ostative ad una immediata integrale estensione delle possibilità di deposito telematico delle impugnazioni a tutte le parti del processo, non incide sulle prerogative di puntuale esercizio della relativa funzione in capo alla parte pubblica possibile ricorrente. Si risolve, infatti, in un più agevole esercizio dell’incombente per i difensori che non depotenzia la funzione contrapposta riservata all’ufficio del PM».