La Cassazione sul diritto alla traduzione degli atti anche per l’imputato alloglotto domiciliato presso il difensore di fiducia
[a cura di Riccardo Lucev]
Cassazione Penale, Sez. VI, 2 agosto 2021 (ud. 7 luglio 2021), n. 30143
Presidente Petruzzellis, Relatore Tripiccione
Segnaliamo ai lettori, in attesa di ospitare sulla Rivista un commento più approfondito, l’interessante sentenza in cui, decidendosi su un ricorso presentato da un imputato alloglotto di lingua cinese, domiciliato presso il suo difensore di fiducia e vistosi perciò negare la traduzione del decreto di citazione in appello, è stato affermato il principio di diritto secondo cui “l’obbligo di traduzione degli atti in favore dell’imputato alloglotta, non irreperibile né latitante, sussiste – a pena di nullità ex art. 178 lett. c) cod. proc. pen. – anche nel caso in cui egli abbia eletto domicilio presso il difensore, avendo quest’ultimo solo l’obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito, ma non anche quello di procedere alla loro traduzione”.
L’affermazione, che avrebbe potuto sembrare quasi ovvia avuto riguardo al chiaro dettato dell’art. 143 c.p.p., non lo è invece affatto, alla luce di una giurisprudenza, puntualmente richiamata nella sentenza, che si era in passato espressa sul tema in modo variegato e non sempre condivisibile.
Se, infatti, in due occasioni relative ad ipotesi di domiciliazione dell’imputato alloglotto presso il difensore d’ufficio, la Cassazione aveva affermato che “l’obbligo di traduzione degli atti in favore dell’imputato alloglotta sussiste – a pena di nullità ex art. 178 c.p.p., lett. c) – anche nel caso in cui egli abbia eletto domicilio presso il difensore, avendo quest’ultimo solo l’obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito, ma non anche quello di procedere alla loro traduzione” (Cass. Pen., Sez. I, n. 23347/2017; Sez. V, n. 48916/2016), la medesima S.C. aveva invece affermato che “l’obbligo di traduzione degli atti in favore dell’imputato alloglotta è escluso ove lo stesso abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia, non verificandosi in tale ipotesi alcuna lesione concreta dei suoi diritti” (Cass. Pen., Sez. V, n. 57740/2017; Sez. II, n. 31643/2017): un orientamento, il secondo, cui aveva prestato adesione anche la corte d’appello la cui sentenza aveva formato oggetto di impugnazione del ricorrente.
Il secondo orientamento sollevava (e solleva tuttora) plurime perplessità, dato che, in assenza di un substrato normativo, limita l’effettività della tutela del diritto alla traduzione degli atti in favore dell’imputato alloglotto (diritto, è superfluo ricordarlo, protetto a livello sia costituzionale – art. 111 comma 3 Cost. –, che convenzionale – art. 14 comma 3 lett. a) Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici nonché art. 6 par. 3 lett. a Cedu –) introducendo un discutibile discrimen connesso alla fonte del mandato difensivo dell’avvocato, d’ufficio o di fiducia a seconda, affermando la spettanza del diritto solo nel primo caso. Una simile impostazione non appare tuttavia accettabile, posta – al di là della diversa fonte del mandato – l’assoluta identità del compito delle due figure di difensore sotto il profilo sia processuale penale che deontologico. Oltretutto, in questo modo, la legittima e libera scelta di un imputato alloglotto di eleggere domicilio presso il suo legale di fiducia verrebbe (del tutto irragionevolmente) sanzionata con la compressione, anzi l’elisione del suo diritto a vedersi tradurre gli atti del procedimento.
Condivisibilmente, con la sentenza qui segnalata, la Cassazione ha superato tale orientamento affermando l’obbligo di traduzione degli atti all’imputato alloglotto anche ove domiciliato presso il difensore di fiducia, in quanto “il rapporto fiduciario che lega l’indagato al suo domiciliatario, quand’anche lo stesso sia il difensore di fiducia, comporta a carico di quest’ultimo solo l’obbligo di ricevere gli atti al primo destinati e di tenerli a sua disposizione (Sez. 3, n. 22844 del 26/5/2003, Barbiera, Rv. 224870), ma non di certo, come sostenuto dal contrario indirizzo ermeneutico, anche l’obbligo-onere di traduzione degli atti nella diversa lingua del cliente alloglotta, o di farne comprendere al suo assistito il significato”.