La Cassazione fa il punto sulla nuova procedura di consegna di persone ricercate da e verso il Regno Unito nell’era post Brexit.
[a cura di Lorenzo Roccatagliata]
Cass. pen., Sez. fer., Sent. 16 settembre 2021 (ud. 24 agosto 2021), n. 34466
Presidente Zaza, Relatore Silvestri
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione, Sezione feriale, si è pronunciata in merito alla procedura applicabile per la consegna di persone ricercate da/verso il Regno Unito, all’indomani dell’uscita di quest’ultimo stato dall’Unione Europea. Il tema oggetto di analisi è stato se sia tuttora vigente la procedura del mandato di arresto europeo, se debba invece essere applicata la disciplina dell’estradizione prevista dalle norme nazionali, oppure se vi sia una terza e diversa procedura di consegna.
È appena il caso di ricordare che il medesimo tema si era posto qualche anno fa, all’indomani della dichiarazione di recesso del Regno Unito dall’Unione Europea. In quella circostanza, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza pronunciata in data 19 settembre 2018, aveva chiarito che la notifica di recesso non ostava di per sé alla applicazione della disciplina MAE, in quanto inidonea a sospendere il diritto eurounitario. Concludeva il giudice europeo presagendo che in futuro sarebbero stati stipulati accordi fra i due organismi, fra l’altro, per la regolazione delle procedure di consegna di persone ricercate.
Oggi il quadro appare mutato, proprio perché tali accordi non solo sono stati stipulati, ma sono oggi in vigore.
La presente pronuncia offre un quadro completo della nuova procedura di consegna tra l’Italia, in quanto membro dell’UE, e il Regno Unito. Considerate la esaustività e la chiarezza della sentenza, se ne riportano ampi stralci, ordinati secondo i seguenti aspetti.
1. Riepilogo delle fonti di diritto sovranazionale per la consegna tra Italia (rectius, qualunque Stato Membro dell’UE) e il Regno Unito.
“Dal 10 gennaio 2021 (…) è entrato in vigore in via provvisoria l’Accordo, approvato il 24 dicembre 2020, sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l’Unione europea e il Regno Unito, che ha dettato disposizioni per regolare vari settori di interesse, tra i quali quello della cooperazione giudiziaria penale.
Anche questo Accordo contiene disposizioni di diritto transitorio, stabilendo all’art. 632 (…) (Applicazione ai mandati d’arresto europei esistenti), che le nuove norme da esso previste si applicano ‘ai mandati d’arresto europei emessi, conformemente alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, da uno Stato prima della fine del periodo di transizione qualora la persona ricercata non sia stata arrestata in esecuzione del mandato prima della fine del periodo di transizione’.
Come stabilisce l’art. 783 (Entrata in vigore e applicazione provvisoria), le parti hanno convenuto di applicare in via provvisoria detto Accordo a decorrere dal 10 gennaio 2021 sino al 30 aprile 2021 (…). Dal primo maggio 2021 dunque è cessata l’applicazione provvisoria con l’entrata in vigore definitiva dell’Accordo (…).
L’Accordo, essendo riferito a materie di competenza esclusiva dell’Unione Europea e, non essendo un accordo c.d. misto, non richiede la ratifica di ciascun Stato membro dell’Unione secondo le rispettive norme costituzionali, con la conseguente necessità di una ratifica da parte dei Parlamenti nazionali.
Dal momento della sua entrata in vigore, il quadro delle relazioni tra Unione europea e Regno unito è dunque regolato dal nuovo Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione nonché dall’Accordo di recesso che ha disciplinato per il futuro alcune situazioni giuridiche connesse alla partecipazione del Regno Unito all’Unione europea”.
2. Il contenuto dell’Accordo con riguardo alla consegna di persone ricercate.
“Per quel che concerne il settore della cooperazione giudiziaria penale, l’Accordo prevede l’assistenza giudiziaria reciproca in materia penale, compreso il congelamento dei beni e la cooperazione in materia di lotta al riciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo ed una collaborazione in materia di cybersicurezza.
Quanto alla consegna delle persone ricercate, si è fatto notare correttamente da più parti come non si sia assistito ad una Brexit giudiziaria; la posizione di Stato terzo esclude certamente che il Regno Unito continui a partecipare allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione europea, ma l’Accordo impone al Regno Unito e agli Stati membri dell’Unione di continuare a rispettare la democrazia e lo Stato di diritto, nonché a proteggere i diritti fondamentali tutelati ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).
In particolare, il Titolo VII della parte terza dell’Accordo di scambio ha come obiettivo quello di garantire un sistema di estradizione tra gli Stati membri, da un lato, e il Regno Unito, dall’altro, fondato su presupposti, condizioni e principi che trovano il loro riferimento costitutivo in un provvedimento (il mandato d’arresto) conforme ai termini del titolo in questione (Art. 596).
Viene delineato un dettagliato regime di consegna, in cui la materia e la decisione finale continua ad essere attribuita – ed a rimanere riservata – alle sole competenti Autorità giudiziarie degli Stati, senza sostanziale ingerenza dei Ministri e, più in generale, della Autorità politica.
Un diverso sistema non uguale a quello disegnato dalla decisione quadro del 2002, in cui una esplicita centralità è assegnata al principio di proporzionalità, oggetto di specifica disposizione di apertura (art. 597), che entra a pieno titolo nei criteri che sovrintendono alla decisione sulla consegna ed impone di tener conto dei diritti della persona ricercata, degli interessi della vittima, della gravità del fatto, della pena probabilmente inflitta, della possibilità che uno Stato adotti misure meno coercitive della consegna del ricercato, e ciò al fine di evitare periodi inutilmente lunghi di custodia cautelare.
Un sistema che prevede una dettagliata disciplina sull’ambito di applicazione e sui presupposti per la emissione del mandato di arresto (art. 599), sul contenuto e sulla forma del mandato di arresto (art. 606), sulle modalità di trasmissione (607-608), sui motivi obbligatori e facoltativi di non esecuzione del mandato (artt. 600-601), sui diritti del ricercato (art. 609 – 610- 612- 617), sulle eccezioni di cittadinanza e della natura politica del reato (artt. 602- 603) sulla decisione sulla consegna (art. 613 e ss.), sui termini e sulla modalità della consegna (art. 621 e ss. ), sul diritto di deduzione del periodo di custodia scontato nello Stato di esecuzione.
È fondato dunque affermare che, a seguito dell’entrata in vigore dell’Accordo nelle relazioni tra Unione europea e Regno unito di Gran Bretagna, la disciplina del mandato di arresto europeo è sostituita da un nuovo modello di cooperazione che ha una autonoma base legale – quella contenuta nel titolo VII dell’Accordo- ma che prevede un regime di consegna dei soggetti ricercati sostanzialmente modellato su quello previsto in tema di mandato di arresto europeo.
Un modello di cooperazione fondato sul principio della fiducia reciproca e del reciproco riconoscimento, sulla collaborazione diretta e bilaterale tra Autorità giudiziarie, sulla evidente presa di distanza da modelli procedimentali che impediscano l’attuazione in tempi celeri e l’effettività del nuovo modello legale di consegna, sull’impegno a rispettare la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.
In tal senso assume rilievo e si giustifica la scelta del legislatore italiano di attribuire alle Corte di appello la competenza ‘for the execution of an arrest warrant’, così ancora una volta chiarendo, ove ve ne fosse bisogno, che l’Accordo non prevede sul punto interventi dell’Autorità politica.
Un modello di cooperazione che, proprio in ragione dì tale presupposto costitutivo, obbliga le parti dell’Accordo a dare esecuzione al mandato di arresto, a meno che la predetta fiducia venga meno in ragione della sussistenza di uno dei motivi ostativi previsti dall’Accordo; diversamente, la mancata esecuzione di un mandato di arresto realizzerebbe una sospensione unilaterale delle disposizioni dello stesso Accordo.
Una normativa comune per la consegna degli imputati o condannati, quale forma di diretta cooperazione giudiziaria, che presuppone per i paesi aderenti all’Accordo il rispetto dei principi ed i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali.
L’’elevato livello di fiducia’ origina una presunzione che lo Stato richiedente dia adeguate garanzie, ma non esime l’Autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione dagli accertamenti necessari e prodromici alla consegna”.
3. I profili procedimentali e la (eventuale) applicabilità delle residuali norme nazionali in tema di estradizione.
“Quanto al profilo procedimentale (…) l’Accordo (…), oltre a prevedere garanzie e tutele dei diritti del ricercato, pone un principio chiaro, fondante, giustificato dal contesto generale, quello per cui il mandato deve essere ‘trattato’ ed ‘eseguito’ con la massima urgenza e la decisone definitiva sulla esecuzione deve intervenire entro il termine di sessanta giorni dall’arresto del ricercato.
Un principio che vincola i singoli Stati membri dell’Unione, i quali devono adottare modelli procedimentali in grado di assicurare applicazione ed attuazione al principio cardine fissato dall’art. 615 dell’Accordo (…).
Il tema allora attiene alla verifica del se, nell’ambito dell’ordinamento interno, esistano norme che, allo stato, consentano di dare attuazione, nel silenzio del legislatore, al principio di cui all’art. 615 dell’Accordo e, quindi, alla finalità sottesa all’Accordo.
Sul punto pare ragionevole ritenere che gli artt. 704- 705- 706 cod. proc. Pen. (…), disegnano un modulo procedimentale non compatibile con la esigenza di definire il procedimento entro sessanta giorni dall’arresto del ricercato e che, se applicati, finirebbero per disapplicare e non dare attuazione all’Accordo.
Un modulo procedimentale, quello previsto dall’art. 704 cod. proc. pen., disegnato per un diverso modello di cooperazione giudiziaria e che, se applicato, avrebbe un sapore ed una valenza latamente ed ingiustificatamente punitiva rispetto ad un Accordo che, al di là delle difficoltà che hanno contrassegnato i negoziati tra le Parti, ha un contenuto dettagliato e, come detto, oggettivamente ispirato alla fiducia ed al reciproco riconoscimento (…).
Escluso quindi il riferimento alle norme in questione (…), ritiene il Collegio che, allo stato, in assenza di una norma specifica, non vi siano ragioni ostative per ritenere che la decisione sulla esecuzione del mandato debba essere assunta applicando le regole previste dall’Accordo e, solo sul piano procedimentale, quanto alle modalità ed ai tempi di assunzione della decisione, le poche norme previste dalla legge n. 69 del 2005 al riguardo, in quanto compatibili (artt. 17- 22-22 bis).
Si tratterrebbe di una applicazione che (…):
a) garantisce piena attuazione ed effettività delle norme dell’Accordo e, in particolare, all’art. 615, essendo la disciplina in questione idonea ad assicurare una decisione definitiva sulla esecuzione del mandato entro sessanta giorni dall’arresto del ricercato;
b) è compatibile, in relazione alle poche norme in questione ed a differenza delle invocate norme interne in tema di estradizione, con il modello di cooperazione a cui le parti dell’Accordo mostrano di avere avuto riguardo;
c) non viola l’art. 2 protocollo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, perché assicura il diritto al doppio grado di giudizio;
d) non è in contrasto con l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo;
e) non viola nemmeno il divieto di analogia, ai sensi dell’art. 7 della Cedu (…), trattandosi dell’applicazione analogica di norme meramente procedurali a cui (…) può essere attribuita una valenza generale in materia e che non intaccano la valenza del principio di legalità penale e le sue implicazioni sostanziali (…) e neppure assumono rilievo rispetto al criterio della incidenza qualitativa (e, a maggior ragione, quantitativa) della norma sulla libertà personale (…)”.
4. Quadro di sintesi sulla nuova procedura di consegna di persone ricercate da/verso il Regno Unito.
“Dunque:
– l’Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l’Unione europea ed il Regno di Gran Bretagna è un accordo dettagliato e vigente, ispirato, quanto al modello di cooperazione penale, ad un rapporto di fiducia, di reciproco riconoscimento, di rapporti diretti tra Autorità giudiziarie e dunque ‘distante’ da quello che caratterizza il modello estradizionale;
– la consegna di persone ricercate è subordinata alla emissione di un mandato di arresto, di cui l’Accordo stesso definisce in maniera stringente presupposti, requisiti, contenuto, esecuzione;
– l’Autorità giudiziaria dello Stato italiano deve verificare, ai fini della esecuzione del mandato di arresto e della consegna della persona ricercata, che non sussistano motivi che impediscano la esecuzione del mandato;
– quanto alla procedura relativa ai tempi ed alle modalità di assunzione della decisione sulla esecuzione del mandato, l’Accordo prevede che la decisione definitiva debba essere assunta entro 60 giorni dall’arresto del ricercato (art. 615);
– in assenza di un intervento del legislatore volto ad indicare il modulo procedimentale da seguire per garantire effettività al principio suddetto, per i tempi e le modalità di assunzione della decisione, devono essere applicate le norme previste al riguardo dalla legge n. 69 del 2005, in quanto compatibili”.