Prefazione al Commentario al D. Lgs. 231/2001 in tema di responsabilità da reato degli enti (a cura di Guido Stampanoni Bassi e Lorenzo Nicolò Meazza, Pacini, 2021)
Il decreto legislativo 231/2001 ha da poco compiuto vent’anni. Se si porti bene oppure male la sua età è questione di cui si dibatte, come sempre, soprattutto (non soltanto) in occasione dei compleanni.
Sicuramente il legislatore aveva buone intenzioni, quando cercò di risolvere l’evidente contraddizione che si creava quando le società commettessero reati ma a risponderne fossero persone fisiche, spesso mere ‘‘teste di paglia’’.
Altrettanto certo è che il D. Lgs. 231/2001 ha avuto una risposta positiva da parte del mondo imprenditoriale privato: soprattutto le società di grandi dimensioni e/o quotate in Borsa si sono prontamente dotate di modelli organizzativi e hanno attivato – e poi implementato – i circuiti della compliance aziendale, scoraggiando prassi illegali e malcostumi in precedenza molto diffuse. Oggi il principale impegno si registra su un fronte – se vogliamo – inverso. Consiste nel realizzare sinergie tra plurimi, coesistenti sistemi di controllo interni volti alla prevenzione dell’illegalità (non solo penale), nell’intento di valorizzarne le potenzialità`, evitando sovrapposizioni e, quindi, disarmonie.
Ostacoli che in un passato ancora recente sembravano frapporsi a livello di teoria costituzionale del diritto penale (alludo ovviamente alle questioni compendiate nel noto brocardo societas delinquere non potest) sono stati superati con relativa facilità dalla dottrina, che ha mostrato subito interesse verso il sistema di responsabilità sanzionatoria degli enti, cogliendone le potenzialità anche in chiave di prevenzione del crimine e contribuendo a suggerire, seppure con divergenze fisiologiche, una ricostruzione sostanzialmente unitaria quantomeno delle sue articolazioni vitali. Soprattutto, ogni giorno da due decenni, gli ‘‘operatori della 231’’ affrontano e risolvono piccoli e grandi problemi, concettuali ed operativi, con il risultato di affinare sistemi di controllo del rischio-reato che, pur preservando le necessarie specificità, appaiono oramai abbastanza omogenei e come tali in grado di consolidare buone prassi dal valore orientativo.
Vanno, inoltre, lentamente ma progressivamente diradandosi le ombre relative alla scarsa fortuna giurisprudenziale del decreto oppure a una sua applicazione – veniva spesso detto – ‘‘a macchia di leopardo’’. I dati statistici restituiscono, infatti, l’immagine di una crescente esportazione del sistema 231 anche nelle regioni del centro-Italia e in alcuni presidi giudiziari del sud, il che fa ben sperare in una sua diffusione omogenea e massiva sull’intero territorio.
Restano però ancora molti problemi insoluti.
Perplessità investono, innanzitutto, la capacità della law 231 in action di schermare le imprese ottemperanti dal rischio giudiziario penale. A distanza di venti anni, circola ancora il timore che, nonostante ogni sforzo delle società, i modelli risultino comunque inadeguati a una valutazione giurisprudenziale che, per un verso, non si svolga – come dovrebbe – su base rigorosamente prognostica (ex ante); per altro verso, non riesca a maneggiare correttamente il complesso e molto specializzato strumentario concettuale delle scienze aziendalistiche. Un timore difficile da fugare visto che, almeno allo stato, non sono disponibili dati oggettivi riguardo, ad esempio, alle archiviazioni ex D. Lgs. 231/2001 (che peraltro nell’impianto del decreto sfuggono al controllo del giudice); non esistono banche dati ufficiali grazie alle quali monitorare in modo sistematico la giurisprudenza di primo e secondo grado sulla responsabilità degli enti; pochissime sentenze di legittimità hanno sciolto nodi di diritto sostanziale (in modo peraltro poco rassicurante quanto al rispetto delle garanzie).
Sempre su un piano molto generale, residuano inoltre dubbi sull’inconsulta continua espansione dell’area dei reati-presupposto, affidata a leggi: talvolta extra codicem e in tal caso difficilmente accessibili all’operatore; spesso foriere di discipline speciali di dubbia razionalità sistematica; comunque suscettibili di creare lacune assiologiche e di innescare quindi meccanismi di successiva normazione; destinate, in definitiva, ad annacquare in modo graduale ma inesorabile la prevenzione societaria, favorendo la dispersione delle risorse – per quanto ingenti, comunque limitate – economiche e di personale nei plurimi rivoli della governance di un rischio-reato oramai torrentizio, da cui il sistema finirebbe presto o tardi travolto.
Restano poi moltissime questioni aperte, come è normale che sia, visto che venti anni saranno forse un tempo lungo in termini assoluti, ma non lo sono certo in termini relativi, considerata l’assoluta novita` del sistema 231 al momento della sua introduzione e la straordinaria varietà della platea degli enti destinatari della disciplina.
Su tali questioni questo Commentario si prospetta un’agile ma completa guida operativa, dando conto in modo chiaro, analitico e ordinato della giurisprudenza e delle posizioni dottrinali principali.
Esso rappresenta uno strumento di pronta consultazione a beneficio di chi opera nel mondo 231, che potrà trarne indicazioni anche in rapporto a temi come il risk assessment e la redazione/aggiornamento dei modelli comportamentali ma, per la sua struttura di compendio e per la sua completezza, riveste interesse altresì` per gli altri pratici oltre che per gli studiosi del diritto penale.
Personalmente, sono convinta che metterà un altro utile tassello perché il sistema della responsabilità degli enti possa affrontare con consapevolezza e maturità le sfide della sua maggiore età.
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