La Cassazione, nella vicenda Alemanno, fa il punto sulla fattispecie di traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.)
Cassazione Penale, Sez. VI, 9 novembre 2021 (ud. 8 luglio 2021), n. 40518
Presidente Fidelbo, Relatore Calvanese
Segnaliamo ai lettori la sentenza recentemente depositata dalla Corte di Cassazione nei confronti dell’ex sindaco di Roma Alemanno (nella quale si è avuta la riqualificazione di una parte delle condotte nel reato di traffico di influenze illecite e l’annullamento senza rinvio per altre).
In punto di diritto, i giudici di legittimità hanno ricordato come, con l’art. 346-bis c.p., “il legislatore abbia inteso punire, in via preventiva e anticipata, il fenomeno della corruzione, sottoponendo a sanzione penale tutte quelle condotte, in precedenza irrilevanti, prodromiche rispetto ai reati di corruzione, consistenti in accordi aventi ad oggetto le illecite influenze su un pubblico agente che uno dei contraenti (il trafficante) promette di esercitare in favore dell’altro (il privato interessato all’atto) dietro compenso (per sé o altri o per remunerare il pubblico agente)“.
La lettura della norma – prosegue il provvedimento – “consente di individuare il nucleo dell’antigiuridicità della condotta penalmente sanzionata non nel mero sfruttamento (vero o vantato) di relazioni con il pubblico agente (che costituisce piuttosto il mezzo attraverso il quale il soggetto agente riesce ad ottenere dal privato la dazione indebita, anche solo come promessa), bensì in tutte quelle forme di intermediazione che abbiano come finalità “l’influenza illecita” sulla attività della pubblica amministrazione. Le parti devono avere di mira un’interferenza illecita, resa possibile grazie allo sfruttamento di relazioni con il pubblico agente; la norma, peraltro, non chiarisce quale sia la influenza illecita che deve tipizzare la mediazione e non è possibile, allo stato della normativa vigente, far riferimento ai presupposti e alle procedure di una mediazione legittima con la pubblica amministrazione (c.d. lobbying), attualmente non ancora regolamentata“.
La Corte prosegue osservando come il contenuto indeterminato della norma comporti il rischio di “attrarre nella sfera penale – a discapito del principio di legalità – le più svariate forme di relazioni con la pubblica amministrazione, connotate anche solo da opacità o scarsa trasparenza, ovvero quel “sottobosco” di contatti informali o di aderenze difficilmente catalogabili in termini oggettivi e spesso neppure patologici, quanto all’interesse perseguito. È necessario, quindi, ancorare la fattispecie ad un elemento certo che connoti la mediazione illecita e che costituisca una guida sicura per gli operatori e per l’interprete della norma“.
In conclusione – si legge nella sentenza – “l’unica lettura della norma che soddisfa il principio di legalità è quella che fa leva sulla particolare finalità perseguita attraverso la mediazione: la mediazione è illecita quando è finalizzata alla commissione di un “fatto di reato” idoneo a produrre vantaggi per il privato committente“.