La Corte costituzionale sottopone due questioni pregiudiziali alla Corte UE in tema di mandato di arresto europeo.
[a cura di Lorenzo Roccatagliata]
Corte cost., Ordinanze 18 novembre 2021, nn. 216 e 217
Presidente Coraggio, Redattore Viganò
Con le ordinanze qui allegate la Corte costituzionale, ai sensi dell’art. 267 TFUE, ha sottoposto due questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in tema di mandato di arresto europeo.
Nella vicenda che ha condotto alla prima questione (ord. n. 216) il giudice a quo doveva decidere sull’esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso da un tribunale croato nei confronti di un cittadino italiano, perché fosse processato in Croazia per il reato di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti. Da una perizia medica disposta nell’ambito del procedimento MAE l’imputato era risultato affetto da una patologia psichica cronica e di durata indeterminabile, incompatibile con la detenzione in carcere.
Poiché la legge italiana sul mandato di arresto europeo non prevede che l’autorità giudiziaria italiana possa rifiutare la consegna in una simile ipotesi, il giudice a quo aveva sollevato questione di l’legittimità costituzionale della disciplina italiana sui motivi di rifiuto (articoli 18 e 18 bis, L. 22 aprile 2005, n. 69), sostenendone tra l’altro il contrasto con il diritto alla salute (articoli 2 e 32 Cost.). L’ordinanza di rimessione era stata pubblicata su questa Rivista e commentata da N. Canestrini, ivi).
La Corte costituzionale ha rilevato anzitutto che nemmeno la decisione quadro sul mandato d’arresto europeo prevede la possibilità di rifiutare la consegna di una persona in una simile ipotesi. Pertanto, i dubbi sulla compatibilità della legge nazionale con i diritti fondamentali dell’interessato non possono non investire anche la disciplina europea (DQ 2002/584/GAI).
Al tempo stesso, la Corte ha osservato che, nelle materie oggetto di integrale armonizzazione normativa come il mandato di arresto, rientra in via primaria nel diritto dell’Unione “stabilire gli standard di tutela dei diritti fondamentali al cui rispetto sono subordinate la legittimità della disciplina del mandato di arresto europeo e la sua concreta esecuzione a livello nazionale”. Ogni diversa soluzione pregiudicherebbe infatti, come più volte affermato dalla Corte di giustizia, il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione.
Conseguentemente, la Corte costituzionale ha ritenuto doveroso investire la Corte di giustizia della questione:
se l’art. 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo, letto alla luce degli artt. 3, 4 e 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea (CDFUE), debba essere interpretato nel senso che l’autorità giudiziaria di esecuzione, ove ritenga che la consegna di una persona afflitta da gravi patologie di carattere cronico e potenzialmente irreversibili possa esporla al pericolo di subire un grave pregiudizio alla sua salute, debba richiedere all’autorità giudiziaria emittente le informazioni che consentano di escludere la sussistenza di questo rischio, e sia tenuta a rifiutare la consegna allorché non ottenga assicurazioni in tal senso entro un termine ragionevole.
Nella vicenda che ha condotto alla seconda questione (ord. n. 217) l’autorità giudiziaria rumena aveva chiesto la consegna di un cittadino di Stato non appartenente all’Unione europea, residente in Italia da tempo e qui ormai stabilmente radicato, perché potesse scontare una pena detentiva in Romania.
Il giudice a quo aveva sollevato questione di legittimità costituzionale delle norme che regolano il rifiuto della consegna (articolo 18 bis, comma 1, lett. c), L. 22 aprile 2005, n. 69, come introdotto dall’ rt. 6, comma 5, lett. b), della L. 4 ottobre 2019, n. 117), nella parte in cui non prevedono la possibilità di rifiutare la consegna di un cittadino di Stato terzo che abbia residenza legittima ed effettiva nel nostro paese, subordinatamente all’impegno dello Stato italiano a eseguire in Italia la pena inflittagli.
La Corte costituzionale ha osservato che la decisione quadro sul MAE è formulata in modo da lasciare liberi gli Stati membri di rifiutare la consegna di cittadini di Stati terzi ormai radicati nel territorio nazionale. Al contempo, la Corte ha preso atto che la legge italiana di trasposizione della decisione quadro ha stabilito che il rifiuto della consegna possa essere disposto solo in favore di un cittadino italiano o di un cittadino di altro Stato membro residente legittimamente ed effettivamente in Italia da almeno cinque anni, mentre nulla prevede nei confronti degli stranieri non UE.
Sorge pertanto la questione se l’obbligo indefettibile di consegnare un cittadino di Stato terzo, che pure risieda ormai stabilmente e legittimamente nel nostro Paese, leda il suo diritto alla vita privata e familiare, tutelato dall’articolo 2 della Costituzione, dall’articolo 8 della Convenzione EDU, nonché dall’articolo 7 della Carta DFUE.
Tale questione si pone anzitutto sul piano del diritto dell’Unione, giacché la Corte di giustizia ha già chiarito, in via generale, che le disposizioni della decisione quadro sul mandato d’arresto che non contengano alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri “devono di norma essere oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione autonoma e uniforme”. Poiché la questione di legittimità costituzionale sollevata nel caso di specie ha a oggetto in primo luogo l’interpretazione della norma in tema di rifiuto della consegna della decisione quadro MAE, (art. 4, punto 6, DQ 2002/584/GAI) su un profilo che non è ancora stato oggetto di chiarimenti da parte della Corte di giustizia, la Consulta ha ritenuto necessario interrogare quest’ultima circa l’uniforme interpretazione di tale disposizione nello spazio giuridico dell’Unione. Conseguentemente, la Corte costituzionale ha domandato ai giudici di Lussemburgo:
a) se l’art. 4, punto 6, della direttiva 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri, interpretato alla luce dell’art. 1, paragrafo 3, della medesima decisione quadro e dell’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), osti a una normativa, come quella italiana, che – nel quadro di una procedura di mandato di arresto europeo finalizzato all’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza – precluda in maniera assoluta e automatica alle autorità giudiziarie di esecuzione di rifiutare la consegna di cittadini di paesi terzi che dimorino o risiedano sul suo territorio, indipendentemente dai legami che essi presentano con quest’ultimo;
b) in caso di risposta affermativa alla prima questione, sulla base di quali criteri e presupposti tali legami debbano essere considerati tanto significativi da imporre all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di rifiutare la consegna.