La sentenza della Corte Costituzionale n. 8/2022 sul reato di abuso d’ufficio, come modificato dall’art. 23 DL 76/2020: verso il tramonto del principio “nullum crimen, nulla poena sine lege”?
in Giurisprudenza Penale Web, 2022, 3 – ISSN 2499-846X
Corte Costituzionale, 18 gennaio 2022, sentenza n. 8
Presidente Coraggio, Relatore Modugno
La sentenza della Corte Costituzionale n. 8, depositata il 18.1.2022, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 77 Cost., sollevata in relazione all’art. 323 c.p., come novellato dall’art. 23 DL 76/2020 (noto come ‘decreto semplificazioni’), ritorna ad affrontare la vexata quaestio relativa all’utilizzo della decretazione d’urgenza in materia penale, sconfessando il suo precedente orientamento non favorevole all’adozione dei decreti legge, per ammetterne, invece, l’ammissibilità, in difesa dell’invocato principio del superamento della cd. ‘burocrazia difensiva’ e dell’efficienza dell’attività amministrativa.
Nel contributo, dopo aver ripercorso il lungo iter storico che ha caratterizzato la fattispecie dell’abuso d’ufficio, più volte rivisitata dal legislatore in quanto spesso tacciata di non osservare il principio di legalità e determinatezza della norma penale, viene esaminata la questione di legittimità costituzione sollevata, con ordinanza del 6.11.2020, dal GUP presso il Tribunale di Catanzaro secondo cui la modifica della fattispecie penale in questione, effettuata attraverso un decreto legge, si porrebbe innanzitutto in contrasto con l’art. 77 Cost., sia perché estranea alla materia disciplinata dalle altre disposizioni del DL 76/2020, sia perché priva dei requisiti della straordinarietà e dell’urgenza propri del decreto legge.
A tal proposito la Corte Costituzionale, con la sentenza in commento, ha dichiarato non fondata la predetta questione sul presupposto che gli ultimi orientamenti giurisprudenziali in materia, estendendo di fatto l’ambito di applicazione dell’art. 323 c.p. anche ad ipotesi di ‘eccesso di potere’ ed alla mera violazione del principio del buon andamento della PA, avevano dato vita ad una sorta di ‘burocrazia difensiva’, alias ‘paura della firma’ a causa della quale i funzionari, atterriti dalla paura delle possibili conseguenze penali del loro agire, preferivano astenersi dal farlo, con inevitabile pregiudizio dell’efficienza dell’azione amministrativa.
In quest’ottica e proprio al fine di arginare questa ‘paura della firma’, esigenza divenuta sempre più pressante a seguito dell’emergenza pandemica causata dal Covid 19, la Corte Costituzionale ha ritenuto legittimo l’intervento modificativo dell’art. 323 c.p.,, effettuato con il DL n. 76/2020, nella parte in cui ha sostituito al vecchio inciso “in violazione di norme di legge o regolamento” la nuova dicitura “in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.
Alla luce di quanto sopra e, pur apprezzando l’obiettivo valorizzato dalla Consulta e consistente nel garantire una maggiore efficienza della macchina amministrativa in vista di una ripresa economica del Paese, ci si interroga su quale sia il prezzo da pagare a tal fine e se, in virtù di queste pur nobili finalità, vi sia il pericolo che ci si stia avviando verso il crepuscolo del fondamentale principio del “nullum crimen, nulla poena sine lege”.
Come citare il contributo in una bibliografia:
F. Ballesi, La sentenza della Corte Costituzionale n. 8/2022 sul reato di abuso d’ufficio, come modificato dall’art. 23 DL 76/2020: verso il tramonto del principio “nullum crimen, nulla poena sine lege”?, in Giurisprudenza Penale Web, 2022, 3