Qatargate: la sentenza con cui la Corte di Appello di Brescia ha disposto la consegna al Belgio di Silvia Panzeri
Corte di Appello di Brescia, Sezione I Penale, 16 gennaio 2023, n. 3
Presidente e Relatore dott. Giulio Deantoni
Segnaliamo, in merito alla vicenda nota come “Qatargate“, la pronuncia con cui la Corte di Appello di Brescia ha disposto – in esecuzione del mandato di arresto europeo (cautelare) emesso dal G.I. del Tribunale di Prima Istanza di Bruxelles (Belgio) in data 8 dicembre 2022 – la consegna al Regno del Belgio di Silvia Panzeri, quale persona sottoposta a indagini in relazione ai reati di “partecipazione a organizzazione criminale, corruzione pubblica, riciclaggio“.
Quanto alle contestazioni – si legge nel provvedimento – si tratta di ipotesi che «sono previsti come reato anche dalla legge italiana sub specie degli artt. 416, 319, 648 bis cod. pen.; peraltro, trattasi di reati per i quali è prevista la consegna obbligatoria, anche a prescindere dal requisito di cui sopra, ai sensi dell’art. 8 legge n. 69 del 2005 e non appare peraltro possibile accedere ad alcuna riqualificazione della condotta nei termini indicati dalla difesa (art. 379 cod. pen.) atteso che, trattandosi anche di ipotesi di cui all’art. 2, par. 2, della Decisione Quadro, l’inquadramento degli indizi di colpevolezza in una determinata fattispecie delittuosa va effettuata, ai sensi dell’art. 8, I comma, legge n. 69 del 2005, secondo la legge dello Stato di Emissione con una valutazione nel caso di specie effettuata dal giudice che ha emesso l’euromandato».
Ciò premesso, la Corte di Appello ha ritenuto di non ravvisare motivi di rifiuto della consegna obbligatori o facoltativi previsti dagli artt. 18 e 18 bis legge n. 69 del 2005.
Quanto al primo aspetto, «non risulta che nei confronti della persona ricercata, per gli stessi fatti, sono stati emessi, in Italia, sentenza o decreto penale irrevocabili o sentenza di non luogo a procedere non più soggetta a impugnazione o, in altro o Stato membro dell’Unione europea, sentenza definitiva».
Inoltre – proseguono i giudici – «le informazioni acquisite consentono di escludere il concreto pericolo che Silvia Panzeri sia sottoposta, stanti le condizioni carcerarie esistenti nelle strutture detentive belghe, a trattamenti inumani o degradanti […], avendo il Ministero della Giustizia del Regno del Belgio assicurato che: 1) all’atto della consegna, il giudice istruttore competente deciderà se la persona consegnata deve essere detenuta presso una struttura carceraria; 2) in caso affermativo, Panzeri sarà ristretta presso il carcere di Haren; 3) presso questa struttura la dimensione della cella singola è di 10 mq e quella della cella doppia è di 12 mq; 4) le persone ristrette non saranno detenute in celle con spazio personale inferiore a 3 mq; 5) la cella è dotata di servizi igienici separati dal resto della cella; 6) la cella è dotata mobili compresi tv, telefono, frigorifero, forno a microonde; 7) vi sono spazi comuni e la libertà di movimento interno ai detenuti è facilitata da un badge personale che dà accesso alle celle e agli spazi comuni; 8) sono assicurate le condizioni igienico sanitarie personali; 9) sono previsti molteplici organi e strumenti di controllo e di tutela dei diritti dei ristretti».
Rassicurazioni – quelle provenienti dal Ministero – ritenute dalla Corte di Appello sufficienti e tali da «rendere recessive le osservazioni contenute nella relazione del CPT (Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio di Europa), infatti relative ad altre strutture carcerarie e le considerazioni svolte nella sentenza del Tribunale di Amsterdam del 14 dicembre 2022 in quanto fondate su rilievi generali in relazione al sistema carcerario belga e non pertinenti alla specifica struttura indicata nelle informazioni qui pervenute».
Peraltro, «il principio di reciproca fiducia nelle istituzioni dei Paesi Membri non consente di dubitare, in assenza di elementi decisamente probanti in senso contrario, della correttezza e della veridicità delle assicurazioni fomite con specifico riferimento alla posizione di Slivia Panzeri».
Nemmeno – ad avviso della Corte di Appello – si «ravvisa il concreto pericolo di lesione dei diritti fondamentali della persona sotto il profilo della sottoposizione della persona richiesta in consegna al regime detentivo carcerario disposto senz’altro dal giudice del Belgio laddove, invece, la Corte di appello di Brescia ha reputato sufficiente a soddisfare le ravvisate esigenze cautelari la misura meno afflittiva degli arresti domiciliari. Infatti, in primo luogo, la valutazione demandata al giudice della consegna, specificamente rivolta all’esigenza di assicurare la consegna in caso di accoglimento della richiesta a mezzo MAE e a fronte di pericolo di fuga, è all’evidenza diversa da quella propria del giudice del merito che può riguardare anche altre esigenze prime tra tutte quelle di preservare la genuinità della prova. E’ in ogni caso precluso in questa fase qualsiasi apprezzamento, da parte del giudice della consegna, circa l’esistenza e l’attualità delle esigenze cautelari ravvisate dal giudice della misura. In secondo luogo, l’ordinamento processuale del Regno del Belgio prevede anch’esso (legge sulla detenzione preventiva del 20 luglio 1990) la possibilità che l’imputato sia ristretto in un luogo diverso da un istituto penitenziario di talché il diritto della persona richiesta in consegna a vedere la propria libertà limitata in modo coerente col grado delle esigenze cautelari ravvisate dall’organo procedente appare assicurata anche nello Stato richiedente».
Quanto, poi, al motivo di rifiuto facoltativo previsto dall’art. 18 bis (“se il mandato di arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio“), i giudici hanno ricordato come esso «possa configurarsi solo quando risulti già pendente un procedimento penale per il fatto oggetto del mandato di arresto Europeo; nel caso di specie, non solo la circostanza che i reati per i quali procede l’AG belga siano stati commessi in parte in Italia non emerge dagli elementi desumibili dal mandato di arresto europeo, ma neppure risulta che a carico di Panzeri Silvia sia stato aperto in Italia procedimento penale per gli stessi fatti, a tanto evidentemente non potendo equipararsi eventuali attività investigative svolte nel Paese su delega dell’ A.G. dello Stato richiedente secondo la normativa di coordinamento delle indagini tra gli Stati membri o il procedimento di riconoscimento del provvedimento di congelamento emesso dall’Autorità Giudiziaria di Bruxelles in corso preso il Tribunale di Bergamo».
In conclusione, la Corte di Appello ha disposto la consegna all’Autorità Giudiziaria belga di Silvia Panzeri in esecuzione del mandato d’arresto europeo emesso a suo carico, ricordando come, essendo stato il mandato di arresto europeo emesso ai fini di un’azione penale nei confronti di cittadina italiana, «l’esecuzione del mandato è subordinata alla condizione che Silvia Panzeri, dopo essere stata sottoposta a processo, sia rinviata nello Stato italiano per scontare la pena o la misura di sicurezza privativa della libertà personale eventualmente applicate nei di lei confronti nello Stato richiedente».