Band trapper che inneggia alle brigate rosse e configurabilità del reato di istigazione a delinquere: l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Torino nel caso “P38-La Gang”.
Tribunale di Torino, Sezione del Riesame, Ordinanza, 6 marzo 2023
Presidente dott.ssa Federica Maria Gallone, Relatore dott. Stefano Vitelli
Segnaliamo ai lettori, in considerazione dell’interesse mediatico della vicenda – relativa al caso “P38-La Gang” e ripresa anche dal quotidiano britannico The Guardian – l’ordinanza con cui il Tribunale del Riesame di Torino si è pronunciato sull’appello presentato dal pubblico ministero avverso l’ordinanza con cui il GIP di Torino aveva respinto la richiesta di applicazione della misura degli arresti domiciliari nei confronti degli indagati.
In punto di diritto, il Tribunale si è soffermato sulla configurabilità dei delitti di istigazione a delinquere e/o di apologia di reato di cui all’art. 414 c.p.
L’incriminazione in parola – si legge nell’ordinanza- «costituisce nel tessuto codicistico e nell’ambito del più complessivo terreno costituzionale in cui è chiamata ad operare una norma derogatoria e dai confini applicativi rigorosamente delimitati. Derogatoria rispetto al principio generale delineato nell’art. 115 c.p., ma anche e correlativamente oggetto di una necessaria, delicata attività interpretativa che si faccia carico di libertà costituzionali potenzialmente antagoniste rispetto ad azioni che presentino un potenziale messaggio “istigatorio” o “apologetico” rispetto a condotte di reato, quali tipicamente la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) e la libertà artistica (art. 33 Cost)”».
Ecco «le ragioni dell’interpretazione, condivisa ormai da dottrina e giurisprudenza prevalenti (nel solco della giurisprudenza della Corte Costituzionale che, con la storica sentenza n. 65 del 1970, ha dichiarato che l’apologia punibile ai sensi dell’art. 414 è quella che per le sue modalità integra un comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti trascendenti la pura e semplice manifestazione del pensiero), dei delitti in parola come di necessario pericolo concreto e non presunto né astratto. Si richiede, cioè, l’idoneità dell’azione a suscitare consensi ed a provocare “attualmente e concretamente, in relazione al contesto spazio-temporale ed economico-sociale ed alla qualità dei destinatari dei messaggi” il pericolo di adesione al programma illecito (Cass. 10641/1997); ancora, a proposito in particolare dell’apologia, si esige che l’azione debba avere “la concreta capacità di provocare l’immediata esecuzione di delitti o, quantomeno, la probabilità che essi vengano commessi in un futuro più o meno prossimo”».
Ciò premesso – prosegue il Tribunale – «siamo dinnanzi ad un’attività artistico/musicale ed in particolare ad un genere molto di moda negli ultimi anni specie fra i giovani denominato trap: genere musicale che è considerato un’evoluzione del rap. Senza entrare qui in approfondite analisi di cultura musicale e di evoluzione dei costumi e della cultura giovanile, è fatto notorio (e sul punto le difese si sono spese offrendo nelle loro memorie diversi esempi) come il genere trap si caratterizzi spesso per l’utilizzo di messaggi comunicativi fortemente provocatori. Non solo nei testi delle canzoni, ma anche nell’immagine pubblica che il cantante complessivamente presenta (quindi nei video, nei concerti, nelle interviste), si vuole offrire una figurazione del tutto anticonvenzionale, e in diversi casi di vera e propria “antisocialità” ed “illegalità”».
L’inquadramento dell’attività posta in essere dagli indagati è necessario, ad avviso del Tribunale, «per valutare, in risposta per altro alle argomentazioni difensive e alle dichiarazioni spontanee degli indagati rese in udienza (“la P 38 è un gruppo musicale, nulla di più”), se le contestate condotte costituiscano soltanto un’operazione artistico/musicale provocatoria che affonda le sue radici nel genere rap/trap e che costituisce la sua voluta novità nel proporre come modello antisociale il terrorista degli anni ’70».
Ebbene – si legge nel provvedimento – «gli elementi emergenti sono convergenti nel non poter escludere fondatamente questa prospettazione difensiva. Siamo al cospetto, infatti, di soggetti sostanzialmente incensurati, che non risultano in alcun modo intranei né contigui a gruppi eversivi o comunque a nuclei violenti connotati da radicalismo politico/ideologico o da una matrice anarchica. Ancora, nelle interviste rilasciate e valorizzate dalla pubblica accusa, gli indagati, sia pure in modo piuttosto confuso e poco organico, tendono a spiegare il loro progetto come un “prodotto trap” che possa incuriosire i giovani rispetto a periodi e personaggi storici a loro magari sconosciuti (quali, Stalin, Curcio, l’anarchia, le BR) ed avere una funzione in questi termini “culturale” e di netta discontinuità rispetto alle tematiche individualistiche/edonistiche proprie del trap tradizionale (intervista di [omissis] del 1 settembre 2021); secondo una prospettiva solo in parte diversa i componenti il gruppo musicale dichiarano che, sempre in chiave di dichiarata lotta all’industria musicale contemporanea, il loro progetto può costituire “un punto di riferimento musicale” per “ragazzetti e ragazzette” che simpatizzano per idee proprie della sinistra radicale».
Fatti salvi i fermi giudizi critici sul piano extra giuridico e fatta salva la questione di eventuali lesioni di beni “individuali”, secondo il Tribunale «uno Stato liberal/democratico saldo e maturo non ha né deve avere timore di queste “provocazioni”. Anzi, a fronte dell’assenza di seri pericoli per l’ordine pubblico e per gli altri beni pubblici, deve tollerarle. Non solo in nome di quei principi fondamentali di pluralismo e libertà che costituiscono l’ossatura del nostro ordinamento costituzionale che, nato dalle ceneri del regime fascista, è riuscito a superare non senza difficoltà anche e proprio quei terribili anni così superficialmente evocati dagli attuali indagati, ma anche per una profonda valutazione di politica/criminale».
L’ordinanza conclude, infatti, evidenziando che «interpretazioni eccessivamente ampie nella delimitazione dei confini applicativi di queste gravi tipologie di reato (quali quelle qui contestate) che ricomprendano al loro interno sanzionatorio condotte anche solo simboliche e provocatorie di protesta radicale, poste in essere magari da strati di popolazione che in tal modo “sfogano” e “rappresentano” all’esterno profondi disagi economici, difficoltà sociali di reale integrazione (conseguente, ad esempio, al fenomeno sempre più accentuato negli ultimi decenni del multiculturalismo) e altre eventuali marginalità di vita, possono determinare infatti, in una sorta di eterogenesi dei fini, concrete conseguenze pericolose proprio per l’ordine pubblico che si vorrebbe tutelare. Il rischio è, in fondo, quello di favorire di fatto il proliferare di parallele galassie clandestine di opposizione radicale al sistema. Galassie clandestine come tali meno facilmente controllabili nelle loro dinamiche e possibili degenerazioni; galassie clandestine nella cui ombra possono emergere soggetti di ben altra potenzialità criminale e comunicativa; galassie clandestine in cui è ben più facile che si intercettino persone pronte a passare dalla provocazione simbolica agli agiti violenti».