Le sfide della Corte penale internazionale nella guerra in Ucraina.
in Giurisprudenza Penale Web, 2023, 4 – ISSN 2499-846X
Il mandato d’arresto nei confronti del Presidente Putin rappresenta un momento centrale del corso della guerra in Ucraina. Ma è pure destinato a suscitare polemiche da parte di chi guarda con scetticismo al ruolo della giustizia penale internazionale. Sono però molteplici le ragioni per guardare con fiducia al ruolo della Corte dell’Aja, anche per sollecitare un percorso di pace, valido e durevole per la stabilità internazionale.
La vicenda del mandato d’arresto emesso dalla Pre Trial Chamber della Corte penale internazionale dell’Aja nei confronti di Putin rappresenterà un momento centrale del corso della guerra in Ucraina. Il provvedimento è stato circoscritto al grave crimine su cui gli elementi di prova sono stati più ampiamente riscontrati: le autorità russe hanno tentato di mistificare i trasferimenti illegali mascherandoli sotto forma di un “progetto patriottico e umanitario”, perpetrato contro la volontà dei genitori tenuti all’oscuro e in molti casi – specie i più fragili – anche corrotti o vigliaccamente circuiti con la promessa di poter riavere i loro figli, che sarebbero stati accolti in “case-vacanza”. Putin stesso ha firmato un decreto che ha reso più facile per i russi procedere alle adozioni e dare la cittadinanza ai bambini ucraini senza cure parentali, e più difficile per gli ucraini riottenerne la potestà genitoriale. Persino un report della Yale University ha potuto documentare la deportazione di 6mila bambini ucraini in 43 “strutture rieducative” russe, mentre altre inchieste di Ong indipendenti hanno parlato di oltre 16.000 minori trasferiti in Russia, di cui ad oggi non si hanno notizie. Il Procuratore Khan ha quindi lanciato il monito: «I bambini non possono considerarsi come bottino di guerra».
Il mandato d’arresto nei confronti del Presidente Putin è comunque destinato a suscitare polemiche da parte di chi si pone nei confronti del percorso della giustizia penale internazionale con scetticismo o con la logica della realpolitik delle relazioni internazionali. Si osserva ad esempio che molti e forse anche più gravi sono i crimini di guerra commessi in Ucraina: stupri, saccheggi, torture, esecuzioni di civili e prigionieri, oltraggi sui cadaveri, fosse comuni si sono avuti a Bucha, Makariv, Kramatorsk, Mariupol, mentre esplosioni devastanti hanno colpito palazzi abitati da famiglie, ospedali, scuole, centri religiosi, acquedotti e centrali elettriche, col chiaro intento di terrorizzare la popolazione in violazione di ogni regola di «necessità militare». Rispetto a tutto ciò lo stesso Procuratore Khan ha però anticipato l’attesa risposta: «Non esiteremo a presentare ulteriori richieste di mandato d’arresto quando le prove ci consentiranno di farlo».
Tuttavia i pregiudizi sul ruolo della giurisdizione penale internazionale si presentano più insidiosi quando si sostiene che il provvedimento nei confronti di Putin potrebbe inasprire il quadro già compromesso del negoziato e rilevarsi di fatto inefficace. Anche a queste osservazioni si può replicare: nessun segnale è venuto da Putin circa la reale intenzione di far cessare la guerra, e neanche la Cina ha voluto o potuto convincerlo a riprendere la via del dialogo diplomatico. L’argomento per cui sarà difficile eseguire il mandato d’arresto è pure scontato, ma in ogni caso Putin e i suoi funzionari non potranno recarsi all’estero, perché vale il principio di universalità dei crimini internazionali, e non solo nei 123 Stati che hanno ratificato lo Statuto della Corte. Il mandato d’arresto della Corte penale internazionale rimarrà una spada di Damocle per tutta la vita e ovunque: i crimini internazionali non prevedono prescrizioni o immunità e sono perseguibili senza limiti di territorialità, atteso che qualunque Stato, anche se non ha ratificato lo Statuto, può comunque affermare la giurisdizione della Corte e richiamare i principi del diritto internazionale consuetudinario.
In ogni caso appaiono solo pregiudizi poco attenti ai risvolti internazionali le tesi di chi ritiene che la Corte penale internazionale sia irrilevante, mentre si può facilmente obiettare che, come il sistema delle sanzioni, anche quello della giustizia penale rappresenta una forma di condanna all’isolamento internazionale di un autocrate che ha deliberatamente scelto di violare le norme fondamentali dell’International Law. Alle Nazioni Unite si parla già di oltre 70.000 crimini internazionali imputabili alla Russia per la sua ostinata guerra condotta soprattutto contro la popolazione, e non è escluso che le prossime imputazioni per Putin e la sua nomenclatura possano essere quelle per i «crimini dei crimini»: l’aggressione internazionale e il genocidio. Potrebbe essere anche questa prospettiva a far allargare ancora il numero delle adesioni dei già 141 Stati che alle Nazioni Unite hanno approvato le Risoluzioni di condanna per la Russia e a definire meglio un quadro giuridico per un percorso di pace che risulti valido e sostenibile. Né si possono escludere ipotesi di sospensioni del procedimento e, se prevale la convinzione di un interesse superiore, anche forme di amnistia nel caso di ravvedimenti seguiti da concreti propositi di pace. Lo scenario potrebbe anche prefigurare che – nel già compromesso “fronte interno” – il popolo russo maturi una maggiore consapevolezza delle proprie responsabilità di fronte all’umanità.
In questa prospettiva, è dunque il caso di superare i pregiudizi generali che su questa dimensione del diritto sembrano derivati anche dall’ondata di anti-giustizialismo che si va diffondendo in Italia, e non solo, nei confronti dell’esercizio della giurisdizione e della magistratura in generale. Occorrerebbe invece ripercorrere le idee di quanti, da Kant a Kelsen, da Russel a Rawls, per arrivare agli italiani Giuliano Vassalli e Antonio Cassese, hanno elaborato le idee sulla giustizia internazionale che hanno portato a quel 17 luglio 1998 in cui a Roma fu approvato lo Statuto della Corte penale internazionale.
Lo “Statuto di Roma” – come è ricordato nella comunità dei giuristi – si presenta oggi come la base giuridica più compiuta che definisce i crimini di genocidio (articolo 6), i crimini contro l’umanità (articolo 7), e i crimini guerra (articolo 8). Dopo la Conferenza di revisione di Kampala del 2010, ha esteso la competenza anche sul crimine di aggressione (articolo 8 bis), ovvero l’attacco ingiustificato alla sovranità di uno Stato. Si è data quindi forma e sostanza all’idea di un tribunale penale internazionale dal carattere permanente e dall’efficacia universale, chiamato ad intervenire secondo il principio di complementarietà: la Corte interviene qualora gli Stati “non vogliano o non possano” giudicare i colpevoli per unwillingness, “difetto di volontà” , o per inability, “incapacità” o “collasso istituzionale” dello Stato.
Il percorso della giustizia penale internazionale vede dunque un momento di prova che sarà decisivo per affermarne l’effettività, e probabilmente i prossimi mesi potrebbero vedere altri progressi. Rimane senz’altro la validità di una idea, unico baluardo per contrastare le nuove “banalità del male”. Anche in Italia il Ministero della Giustizia ha deciso di dare un’accelerazione alle iniziative per dare attuazione allo Statuto della Corte penale internazionale, presentando il progetto sul nuovo Codice dei Crimini internazionali. Ma probabilmente all’ Italia spetta anche un altro onere. Se vuole dare un senso compiuto a quel ruolo che svolse per far approvare lo Statuto della CPI dovrebbe rilanciare l’iniziativa di una Conferenza diplomatica per la “riapertura alla firma” dello Statuto. Si tratta di un’iniziativa attesa da tempo dalla comunità dei giuristi che hanno a cuore l’idea della giustizia penale internazionale, per cui sarà fondamentale chiamare almeno tutte le altre democrazie del mondo – a cominciare dagli Stati Uniti – a riconoscere e ratificare lo Statuto della Corte, magari anche apportando altri correttivi, che ad esempio eliminino i caveat del Consiglio di Sicurezza su alcune procedure e riaffermino invece un ruolo più incisivo dell’Assemblea generale, conferendo anche maggiore autonomia ed effettività alla giurisdizione della Corte: sarebbe anche questa l’occasione per meglio ricordarlo come lo “Statuto di Roma”.
Come citare il contributo in una bibliografia:
M. Delli Santi, Le sfide della Corte penale internazionale nella guerra in Ucraina, in Giurisprudenza Penale Web, 2023, 4