L’attacco alla diga Kakhovka. Profili giuridici per il diritto internazionale penale e il diritto dei conflitti armati.
in Giurisprudenza Penale Web, 2023, 6 – ISSN 2499-846X
L’analisi dei profili giuridici di diritto internazionale sull’ultima vicenda della guerra in Ucraina richiede necessariamente una verifica fattuale degli elementi resi noti da fonti aperte. Seppure occorra cautela e non escludere le ipotesi di un sabotaggio ucraino o di un incidente, le valutazioni prevalenti propendono per la tesi che l’attacco alla diga di Kakhovka sia una distruzione deliberata, praticata con mine, imputabile ai russi. Le ricostruzioni di Mosca sono contraddette da elementi oggettivi: l’ampiezza del varco è di circa 200 metri per cui è da escludere il bombardamento con missili, e anche la demolizione con mine ad opera di un’azione ucraina di sabotaggio, al centro della diga, risulta improbabile in un’area sotto pieno controllo militare russo. D’altro canto l’attacco alle dighe, nonostante gli evidenti rischi di catastrofi ambientali e umanitarie, non è una novità per l’irresponsabile stato maggiore russo. Si può dire che esso rientra in una deliberata strategia dell’aggressore per colpire le risorse idroelettriche, intimorire la popolazione e ora per bloccare la controffensiva su una importante direttiva strategica. È già accaduto nel bacino di Karachunivske, a Zaprorizhzhia, Kremenchuk e Karlivskyi, dove sono state provocate inondazioni e i residenti sono stati costretti all’esodo.
Quanto siano gravi gli effetti della distruzione di Kakhovka lo si vedrà nei prossimi giorni, sebbene già i primi riscontri siano indicativi del livello catastrofico: si parla di 24 cittadine allagate sulla destra del fiume Dnipro, area rimasta sotto il controllo di Kiev, e di 16mila i residenti evacuati. Si prevedono ulteriori innalzamenti del livello dell’acqua con rischi per almeno altri 80 insediamenti e la stessa centrale nucleare di Zaporizhzhia, per la quale al momento l’Aiea ha comunque escluso emergenze per la sicurezza. Otre 40mila persone potrebbero essere costrette ad evacuare, di cui 25.000 nei territori occupati dagli stessi russi. La diga è il principale fornitore di acqua alla Crimea, che non ha risorse idriche proprie, per cui la sua compromissione potrebbe esporre le popolazioni della penisola occupata dai russi all’insufficienza di risorse idriche. I russi avrebbero comunque fatto affidamento su una demolizione ‘controllata’, che non escluderebbe le manovre di pompaggio dirette ad alimentare la Crimea. Gli esperti ambientalisti dell’Onu hanno tuttavia richiamato anche il rischio di contaminazione delle acque per effetto del rilascio delle sostanze pericolose degli esplosivi impiegati per le mine.
Sotto il profilo del diritto internazionale il quadro giuridico è sul punto molto preciso, e non vi sono dubbi che l’attacco alla diga costituisca una palese e grave violazione alle norme sul diritto dei conflitti armati, sino a configurarsi tra i crimini di guerra espressamente sanzionati dall’articolo 8 dello Statuto della Corte penale internazionale. La fattispecie è puntualmente delineata all’articolo 8 para 2 sub iv), laddove si pone il divieto e si sanziona l’attacco intenzionalmente deliberato, “pur sapendo che tale attacco comporterà una perdita di vite umane tra la popolazione civile o lesioni ai civili o danni ad obiettivi civili o un danno grave, diffuso e duraturo all’ambiente naturale, che sia chiaramente eccessivo in relazione al concreto e diretto vantaggio militare complessivo previsto”. Anche l’ipotesi sub v) in ogni caso pone il divieto di attaccare costruzioni che non costituiscano “obiettivi militari”.
Si può quindi prevedere l’obiezione che i comandanti russi potrebbero eccepire, anche di fronte a un processo internazionale: l’attacco alla diga risponde ad una “necessità militare”, ammessa dal diritto internazionale, vale a dire alla finalità di perseguire il vantaggio “complessivo, diretto e concreto”, di bloccare la controffensiva ucraina. Sul punto tuttavia tanto gli indirizzi delle Risoluzioni delle Nazioni Unite adottate per i vari conflitti di quest’epoca, quanto gli orientamenti giurisprudenziali del Tribunale per la ex Jugoslavia e altre determinazioni delle Nazioni Unite (la più nota è il Rapporto Goldstone approvato dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite sulla operazione israeliana “Piombo fuso” a Gaza, 2008-2009) hanno sempre rimarcato che il criterio della necessità militare va declinato con quello della proporzionalità. In particolare questa va considerata imperativa rispetto al principio fondamentale di non coinvolgimento e di tutela precauzionale della popolazione civile, per cui in diversi casi è anche previsto un obbligo giuridico di “preavviso” degli attacchi ( art.57 del I Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra).
A dirimere dubbi interpretativi sovvengono in ogni caso più specifiche previsioni del I Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra, adottato nel 1977. In primo luogo è l’ articolo 52 a stabilire che “i beni di carattere civile non dovranno essere oggetto di attacchi né di rappresaglie”, e che deve valere, in caso di dubbi, un principio generale di presunzione – quindi superabile altrimenti solo in casi ben documentati – del non utilizzo a scopi militari di strutture civili (para 3). L’articolo 54 prescrive inoltre il divieto di ricorrere a metodi di guerra che compromettano l’utilizzo di beni necessari alla sopravvivenza della popolazione civile, e indica espressamente il divieto di attaccare “ installazioni e riserve di acqua potabile e le opere di irrigazione”, e di “intraprendere in nessun caso, contro detti beni, azioni da cui ci si potrebbe attendere che lascino alla popolazione civile alimenti e acqua in misura talmente scarsa che essa sarebbe ridotta alla fame o costretta a spostarsi”.
Inoltre, l’articolo 55 impone che la guerra debba essere condotta curando di “proteggere l’ambiente naturale contro danni estesi, durevoli e gravi”.
Infine, ancora più centrate e specifiche sono le previsioni dell’articolo 56 titolato “Protezione delle opere e installazioni che racchiudono forze pericolose”. Al para 1, si indicano fra queste espressamente le dighe di protezione o di ritenuta e le centrali nucleari per la produzione di energia elettrica le quali pertanto “non saranno oggetto di attacchi, anche se costituiscono obiettivi militari, se tali attacchi possono provocare la liberazione di dette forze e causare, di conseguenza, gravi perdite alla popolazione civile”. Qualora queste strutture fossero utilizzate per “l’appoggio regolare, importante e diretto a operazioni militari” gli attacchi saranno consentiti solo se rappresentano “il solo mezzo pratico per porre fine a detto appoggio”. In tutti i casi vale il principio di precauzione generale del para 3, secondo cui la popolazione civile deve poter continuare a beneficiare di tutte le protezioni previste dal diritto internazionale, e “tutte le precauzioni praticamente possibili dovranno essere prese per evitare che le forze pericolose siano liberate”, incluso “un avvertimento in tempo utile e con mezzi efficaci” previsto dall’articolo 57.
Per ultimo è bene richiamare anche quanto è stato già intimato alla Russia, prima della distruzione della diga di Kakhovka, in importanti determinazioni delle organizzazioni internazionali in materia di osservanza del diritto internazionale umanitario. Fondamentale rimane la Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite A/ES-11/L.2, Conseguenze umanitarie contro l’Ucraina, in cui espressamente si chiede di garantire la tutela dei civili e, in particolare, il rispetto e la protezione per i beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile, per le infrastrutture civili, nonché per la fornitura dei servizi essenziali.
Un profilo particolare ha poi assunto la Risoluzione del Parlamento europeo del 23 novembre 2022 (2022/2896(RSP)) (2023/C 167/03). Qui la condanna dei deputati europei (adottata con 494 voti favorevoli, 58 contrari e 44 astensioni) ha introdotto formalmente la prima accusa rivolta alla Russia di condurre la guerra all’Ucraina nella forma del “terrorismo di Stato”. Lo dimostrano le sue reiterate condotte di coinvolgere i civili nei massacri e nei bombardamenti indiscriminati, e negli attacchi che già all’epoca avevano riguardato “deliberatamente le infrastrutture critiche ucraine nell’intero paese allo scopo di terrorizzare la popolazione e impedirle l’accesso a gas, elettricità, acqua, internet e ad altri beni e servizi di prima necessità”. Le accuse del Parlamento di Strasburgo sono state rivolte anche al “terrorismo geopolitico” della Russia per aver causato la crisi mondiale della sicurezza alimentare con il blocco dei porti marittimi ucraini, la distruzione delle scorte, l’interruzione della produzione e le restrizioni alle esportazioni di generi alimentari e fertilizzanti.
Su questi scenari, la distruzione della diga Kakhovka richiederebbe ora una maggiore consapevolezza della comunità internazionale, in particolare da quegli Stati che ancora non hanno deciso di essere netti nella condanna dell’aggressione di Putin all’Ucraina. Molti guardano con speranza alle iniziative di pace del Vaticano, ma probabilmente è più realistico pensare che solo una decisa presa di posizione di potenze come Cina e India, e anche del c.d. “Sud globale”, potrebbe avere la forza di ricondurre la Federazione Russa a riprendere in negoziati per il cessate-il-fuoco. Qui il ruolo dell’Occidente e preferibilmente quello rinnovato delle Nazioni Unite, stavolta, dovranno essere determinati a porre in essere, in ogni caso, quelle “garanzie di sicurezza” che facciano in modo che la tregua non si rilevi ancora fragile e ingannevole per il futuro dell’Ucraina. Anche per questo sarà necessario sostenere la Corte penale internazionale perché prosegua il suo percorso per affermare le regole dell’Humanitarian International Law e i principi di effettività della giustizia penale internazionale.
Come citare il contributo in una bibliografia:
M. Delli Santi, L’attacco alla diga Kakhovka. Profili giuridici per il diritto internazionale penale e il diritto dei conflitti armati, in Giurisprudenza Penale Web, 2023, 6