CONTRIBUTIDIRITTO PENALE

Il Manifesto del penalista. Ragionando su un diritto “eccezionale”. Recensioni a “Ghiribizzi penalistici per colpevoli” e “L’eccezione come regola nel diritto penale” (Prof. Fausto Giunta)

in Giurisprudenza Penale Web, 2023, 6 – ISSN 2499-846X

Fausto Giunta insegna diritto penale all’Università di Firenze ed è avvocato.  A prima vista, ama velare il suo pensiero dietro parole senza peso, quasi a fuorviare il lettore dalla serietà della materia.

Con un titolo alla Flaiano, i suoi recenti “Ghiribizzi penalistici per colpevoli” (ETS 2019) dicono di essere solo un libriccino di capricciose bizzarrie, scritte tra un caffè e l’altro nelle soste in autostrada.

Seguono i racconti confessori di alcune categorie penalistiche che – diventate persone – gli confidano le loro passioni in “Confesso che ho penato” (Mimesis 2022).

Solo che presto il velo si scosta e, tra il ridente e l’irridente, la legalità – prima a confessarsi – nel suo epitaffio scrive che ora spetta alla cartomanzia la funzione di garanzia. L’ultima confessione è del capo di imputazione: con beffardo sarcasmo, confessa che il suo vero nome è cap(pi)o d’accusa, non l’innocente Nessuno di Ulisse.

Solo che il libriccino dei “Ghiribizzi” poche righe dopo scopre il suo basso continuo: il diritto penale è insieme strumento di tutela sociale e di garanzia personale. Un ossimoro, una endiade, un equivoco, una contraddizione in termini, peggio un errore? No, semplicemente un unicum. Il diritto penale è diverso da ogni altro istituto, il suo dna è l’essere eccezione rispetto a tutto il resto e l’eccezione è la sua bussola, la sua regola.

Altro che libriccino, i “Ghiribizzi” sono un vero manuale di diritto penale, anche se ben diverso da quelli abituali, un’eccezione. Un manuale professionale per magistrati e avvocati. Dopo la dedica “a chi mi insegna”, Fausto Giunta – con pari modestia, con fermezza e senza enfasi – dipana le componenti dell’eccezionalità del penale. Premesso che “tutti i reati hanno un reo, solo alcuni vittime in carne ed ossa”, “il punire” deve “mantenere un suo logos, senza il quale la punizione regredisce nella vendetta, il controllo sociale nella brutalità di Stato, la prevenzione dei reati nella propaganda populistica”. Deve anche porre termine alla bulimia panpenalistica ghiotta di poenam et circenses. E perché è scienza sociale, il punire deve richiedere “a chi lo studia sentimenti di giustizia e di rispetto per i valori della persona, prima tra tutte quella del trasgressore, che è il cliente della giustizia punitiva. La sua colpevolezza va sanzionata, ma nel rispetto della sua persona.” Fondamentale è, quindi, “il sentimento del limite (circa la funzione) e del dubbio (con riguardo ai presupposti di fatto) in chi amministra questo delicato settore della giustizia.”

Inevitabile la conclusione, anche se in apparenza minima: “L’emozionalità latente, che deve accompagnare il buon penalista, non ha scadenza, cresce anzi con il tempo. Per questa ragione la visita di un istituto penitenziario dovrebbe rientrare tra le prime esperienze dello studente di giurisprudenza”.

E tornando all’unicum dell’eccezionalità, è chiaro che il punto di equilibrio della tutela sociale con la garanzia personale dev’essere preservato con attenzione costituzionale, anche davanti alle “emergenze criminali che minacciano gravemente le nostre società” (ndr: guardando in casa d’altri, Guantanamo, per ricordare che l’equilibrio dal 2001 non s’è ancora ricomposto; in casa nostra, possibile che le tecnologie informatiche di controllo non possano sostituire il 41-bis ord.pen.?). Perché sì “la società ha il pieno diritto di difendersi dai reati, ma nel rispetto di regole irrinunciabili e garanzie non negoziabili”.

Due mesi fa, Fausto Giunta esce con “L’eccezione come regola nel diritto penale” con il curioso sottotitolo “Metamorfosi di un paradigma” (La nave di Teseo). Forse è il frutto del timore di non essersi spiegato bene, forse risponde all’esigenza di un caveat. Certo, torna sul tema, lo ribadisce, lo approfondisce, ma soprattutto ne individua preoccupato i segni di erosione.

Naturalmente, nessuno rinuncia alla legalità. A parole. Perché, in realtà, il primato del binomio legalità-offensività è messo in dubbio: il fascino del populismo giudiziario si fa sentire, forte delle carenze della progettualità politica e della supplenza della magistratura. Quasi a dimenticare che il principio di legalità – oltre alla Costituzione – è vincolato anche all’avverbio espressamente (fatto previsto come reato) dell’art.1 del codice penale. La stessa eccezionalità del diritto penale sembra in forse, in via di smarrimento (capp.1-2).

Ora a “un legislatore sempre più sciatto e imperito () corrisponde una giustizia propensa a disconoscere i suoi limiti, anche in presenza di fattispecie incriminatrici ben determinate” (cap.3). Amare ma attuali le parole di Ettore Randazzo: arriva “la decisione del giudice indovino, che non si lascia imbrigliare dalle norme, ché lui sa ‘cogliere’ la verità e ammannirla a tutti traducendola nel verdetto, magari con una motivazione sciatta: un giudice plenipotenziario, che risponde alla sua coscienza anziché al sistema legale” (La giustizia nonostante – Sellerio 2006). Il giudice Bridoye merita rispetto: dubitando della sua coscienza, si affidava ad un criterio ad essa estraneo, la risposta dei dadi. Sbagliò una volta sola e solo perché la vista lo tradì nel leggerla.

Ma Fausto Giunta non demorde: il diritto penale è “una civiltà di significati e valori espressi linguisticamente” volti a cercare “l’ottimale punto di bilanciamento tra istanze di tutela sociale e funzione di garanzia individuale”. È semplicemente un principio di civiltà. Gli Stati totalitari si permettono di ignorarlo (cap.4). L’Europa del diritto penale non può farlo, anche se talvolta sembra dimenticare che l’equilibrio tra la tutela e le garanzie ne costituisce la stessa sua eccezionale natura (cap.5).

Un cenno al “diritto sapienziale tra mito e realtà” (cap.11). La venatura oracolare della Giuria americana è figlia dell’integralismo dei Padri Pellegrini: la vox populi è la vox dei (ndr: di qui la naturale inappellabilità delle sue decisioni; come lo saranno le decisioni della giustizia affidata all’IA. Vox dei anche questa?) “Sapiente” – scrive Fausto Giunta – “è chi ha il senso del proprio sapere, ossia una concezione riflessiva della conoscenza” (pag.161). L’IA avrà il senso del suo sapere?  Chissà, forse in futuro. Oggi no. La differenza tra la mente di Socrate, uomo modello, e quella dell’IA è semplice: Socrate sa di non sapere, l’IA non sa di non sapere.

Alla curiosità del lettore lo studio degli altri capitoli. Constaterà che il libro è pianamente un vero manifesto del penalista (“fermo restando – chiude con un sorriso Fausto Giunta – che la dogmatica liberale è il linguaggio di chi lo vuol parlare”).

Come citare il contributo in una bibliografia:
F. Larentis, Il Manifesto del penalista. Ragionando su un diritto “eccezionale”, in Giurisprudenza Penale Web, 2023, 6