La sentenza del Tribunale di Roma sul “bendaggio” del fermato per l’omicidio del Vice Brigadiere dei Carabinieri Mario Cerciello Rega
Tribunale di Roma, Sez. I penale, 22 maggio 2023 (ud. 24 febbraio 2023), n. 2832
Giudice dott. Alfonso Sabella
Segnaliamo ai lettori – con riferimento alla vicenda relativa al “bendaggio” nei confronti del soggetto fermato in relazione all’omicidio del Vice Brigadiere dei Carabinieri Mario Cerciello Rega – la sentenza con cui il Tribunale di Roma ha condannato l’imputato (appartenente all’Arma dei Carabinieri) per la fattispecie di cui all’art. 608 c.p. (abuso di autorità contro arrestati o detenuti).
È subito bene precisare – si legge nella sentenza – che l’art. 608 c.p. espressamente punisce “il pubblico ufficiale, che sottopone a misure di rigore non consentite dalla legge una persona arrestata o detenuta di cui egli abbia la custodia, ragion per cui il relativo fatto di reato può essere escluso solo allorquando le misure di rigore imposte al soggetto privato della libertà personale siano invece consentite dalla legge“.
Occorre, in altri termini, “che le misure restrittive adottate, tra le quali inevitabilmente va inclusa quella volta a impedire a un soggetto di utilizzare le sue capacità visive, siano espressamente consentite da una disposizione avente forza di legge“.
Il Tribunale “non riesce a comprendere bene la relazione tra il bendaggio di un individuo in un contesto quale quello chiaramente emerso in dibattimento e la necessità di tranquillizzarlo, ritenendo che, a differenza di quanto avviene per gli uccelli rapaci quando vengono privati degli stimoli visivi, un essere umano appena aggredito con quelle modalità dovrebbe, all’esatto contrario, agitarsi molto di più non potendo nemmeno vedere se qualcuno si appresta a colpirlo e da che punto arriva la minaccia e comunque non potendo nemmeno comprendere, muovendo il capo, se rischiava di colpire qualche oggetto che si trovava nelle sue immediate vicinanze“.
Nel caso di specie – si legge nella sentenza – “una volta acclarata (e il dato non è revocabile in dubbio) che il bendaggio di un fermato non è una misura di rigore consentita dalla legge italiana e che, in ogni caso, non è richiesto uno specifico animus nocendi nei riguardi del fermato, ma solo la consapevolezza di adottare una misura restrittiva anomala, l’unica possibilità di impunità per il pubblico ufficiale che ha posto in essere quella condotta è quella di allegare l’esistenza di una causa di giustificazione”.
Ebbene – prosegue il Tribunale – “esclusa per le suesposte e fin troppo chiare ragioni, quella dell’adempimento di un dovere – che in ogni caso non “coprirebbe” i momenti successivi in cui quella misura di rigore è stata mantenuta – rimane solo quella dello stato di necessità cui ha fatto riferimento la Difesa, ma pure la ricorrenza di siffatta esimente deve essere esclusa nel caso di specie anche perché la stessa presuppone che il pericolo per l’incolumità fisica di una persona, presunto o reale che sia, non fosse in ogni caso altrimenti evitabile“.
È dunque evidente – si conclude – “come quella misura di rigore posta in essere dall’odierno imputato, lungi dal trovare giustificazioni o esimenti di sorta in ragioni di servizio ovvero in necessità, non altrimenti evitabili, di elidere il rischio di danni fisici per lo stesso soggetto cui era stata imposta, poggi su tutt’altre motivazioni, motivazioni che, ovviamente, non è necessario isolare al fine di accertare la penale responsabilità dell’imputato ma che il Tribunale ritiene indispensabile provare comunque a individuare per la rilevanza che possono assumere, ex art. 133 c.p., nel trattamento sanzionatorio“.