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Mandato d’arresto europeo e rispetto dei diritti fondamentali della persona interessata: depositate due sentenze della Corte Costituzionale (177/2023 e 178/2023)

Segnaliamo il deposito delle sentenze nn. 177 e 178 della Corte Costituzionale in tema di mandato d’arresto europeo e rispetto dei diritti fondamentali della persona interessata.

Nel primo caso – sentenza n. 177/2023 – la Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 18 e 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri), sollevate dalla Corte d’appello di Milano in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 110 (recte: 111, come chiarito dalla Corte rimettente nella successiva ordinanza di correzione di errore materiale del 2 febbraio 2021) della Costituzione, nella parte in cui non prevedono quale motivo di rifiuto della consegna, nell’ambito delle procedure di mandato d’arresto europeo, «ragioni di salute croniche e di durata indeterminabile che comportino il rischio di conseguenze di eccezionale gravità per la persona richiesta».

Nel secondo caso – sentenza n. 178/2023 – la Corte era chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Corte d’appello di Bologna, dell’art. 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), come introdotto dall’art. 6, comma 5, lettera b), della legge 4 ottobre 2019, n. 117 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2018) «nella parte in cui non prevede il rifiuto facoltativo della consegna del cittadino di uno Stato non membro dell’Unione europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la Corte di appello disponga che la pena o la misura di sicurezza irrogata nei suoi confronti dall’autorità giudiziaria di uno Stato membro dell’Unione europea sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno».

La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18-bis, comma 1, lettera c), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), come introdotto dall’art. 6, comma 5, lettera b), della legge 4 ottobre 2019, n. 117 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2018), nella parte in cui non prevede che la corte d’appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano e sia sufficientemente integrata in Italia, nei sensi precisati in motivazione, sempre che la corte d’appello disponga che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia.

Con quest’ultima pronuncia, i giudici, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), hanno anche dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005, nella formulazione introdotta dall’art. 15, comma 1, del decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 10 (Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra stati membri, in attuazione della delega di cui all’articolo 6 della legge 4 ottobre 2019, n. 117), nella parte in cui non prevede che la corte d’appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano da almeno cinque anni e sia sufficientemente integrata in Italia, nei sensi precisati in motivazione, sempre che la corte d’appello disponga che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia.

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Questo il comunicato pubblicato dalla Corte:

L’esecuzione del mandato d’arresto europeo non può andare a discapito dei diritti fondamentali della persona interessata.
Lo ha ribadito la Corte costituzionale con le sentenze n. 177 e 178, depositate oggi (redattore Francesco Viganò), con le quali sono stati decisi due giudizi nei quali la Corte aveva promosso altrettanti rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia dell’Unione (si veda in proposito il comunicato dello scorso 18 novembre 2021).
I giudizi riguardavano profili differenti della disciplina del mandato d’arresto europeo.
Il primo caso riguardava un cittadino italiano con gravi disturbi psichici, la cui consegna era stata richiesta da un tribunale croato, che intendeva sottoporlo a processo per detenzione e spaccio di stupefacenti. La Corte d’appello di Milano aveva chiesto che fosse dichiarata incostituzionale – per contrasto con il diritto fondamentale alla salute – la mancata previsione della possibilità di rifiutare la consegna di una persona affetta da patologie croniche di durata indeterminabile, incompatibili con la custodia cautelare in carcere.
Con l’ordinanza n. 216 del 2021, la Corte costituzionale aveva a sua volta investito della questione la Corte di giustizia dell’Unione, ritenendo che – in una materia oggetto di completa armonizzazione da parte del diritto europeo – spettasse ai giudici di Lussemburgo stabilire in quali casi l’autorità giudiziaria di uno Stato membro possa rifiutare l’esecuzione di un mandato di arresto europeo, in nome della necessità di tutelare la salute della persona.
La Corte di giustizia ha fornito la propria risposta con la sentenza E. D.L. del 18 aprile 2023 (si veda qui il relativo comunicato). Come ipotizzato dalla Corte costituzionale, i giudici europei hanno stabilito che, in ipotesi eccezionali di grave rischio per la salute della persona, i giudici che ricevono la richiesta devono sollecitare le autorità giudiziarie dello Stato richiedente a trasmettere informazioni sulle condizioni nelle quali la persona verrà detenuta o ospitata, in modo da assicurare adeguata tutela alla sua salute, eventualmente anche collocandola in una struttura non carceraria. Soltanto nell’ipotesi in cui le interlocuzioni non consentano di individuare una simile soluzione, l’esecuzione del mandato d’arresto potrà essere rifiutata.
Alla luce di queste indicazioni, la Corte costituzionale ha giudicato non fondata la questione sollevata dalla Corte d’appello, ritenendo che il meccanismo ora configurato dai giudici di Lussemburgo sia idoneo a fornire adeguata tutela al diritto fondamentale alla salute.
Nel secondo caso, l’autorità giudiziaria rumena aveva richiesto all’Italia la consegna di un cittadino moldavo, per sottoporlo alla pena detentiva cui era stato condannato, in Romania, per reati di evasione fiscale. La persona in questione, tuttavia, era da tempo radicata in Italia, dove aveva significativi legami lavorativi, sociali e familiari.
La Corte d’appello di Bologna aveva pertanto chiesto che fosse dichiarata incostituzionale la mancata previsione della possibilità di rifiutare la consegna di un cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea, ma stabilmente radicato nel territorio italiano, per consentirgli di scontare la sua pena in Italia. I giudici bolognesi osservavano in effetti che questa possibilità è già oggi prevista per i cittadini italiani e per quelli di altri paesi dell’Unione, ma non per i cittadini extracomunitari.
Con l’ordinanza n. 217 del 2021, la Corte costituzionale aveva, anche qui, sottoposto il quesito alla Corte di giustizia.
Quest’ultima ha risposto con la sentenza O.G. del 6 giugno 2023 (si veda qui il relativo comunicato), con la quale ha stabilito l’incompatibilità con il principio di uguaglianza davanti alla legge, sancito dall’art. 20 della Carta europea dei diritti fondamentali, di una normativa che discrimini il cittadino extracomunitario dal cittadino di un paese dell’Unione, escludendo in modo assoluto e automatico che possa essere rifiutata l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo in situazioni come quella all’esame.
Sulla base di questa sentenza della Corte di giustizia, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 18-bis della legge n. 69 del 2005, che disciplina nell’ordinamento italiano il mandato d’arresto europeo, “nella parte in cui non prevede che la corte d’appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano”, alle condizioni precisate dalla Corte di giustizia, affinché possa scontare la propria pena in Italia, per favorirne il reinserimento sociale.
Con riferimento alla nuova normativa in vigore dal 2021, la Corte costituzionale ha limitato questa possibilità ai cittadini extracomunitari che risiedano da almeno cinque anni nel territorio italiano, dal momento che questa stessa condizione è oggi legittimamente prevista dal legislatore italiano per i cittadini di altro Stato dell’Unione.
Roma, 28 luglio 2023

Redazione Giurisprudenza Penale

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