Caso Samman Abbas: l’ordinanza con cui la Corte di Assise di Reggio Emilia ha dichiarato inutilizzabili le dichiarazioni rese dal fratello quale persona informata sui fatti e in incidente probatorio
Corte di Assise di Reggio Emilia, Ordinanza, 27 ottobre 2023
Presidente dott.ssa Cristina Beretti
Segnaliamo ai lettori, con riferimento al procedimento per la morte di Samman Abbas, l’ordinanza con cui la Corte di Assise di Reggio Emilia ha dichiarato inutilizzabili le dichiarazioni rese dal fratello della vittima quando era stato sentito, durante le indagini preliminari, a sommarie informazioni quale persona informata sui fatti nonché quelle rese in sede di incidente probatorio (fratello che, pochi giorni dopo l’ordinanza pronunciata dalla Corte di Assise, ha reso dichiarazioni in udienza).
In via preliminare, la Corte osserva come, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, «la valutazione della posizione di chi doveva essere sentito sin dall’inizio come indagato è rimessa esclusivamente all’organo giudicante e deve avvenire secondo un criterio non formale, quale l’esistenza di una “notitia criminis” e l’avvenuta iscrizione nel registro degli indagati, ma secondo quello sostanziale della qualità che il soggetto ha in concreto assunto, in base alla situazione esistente ed a prescindere dalle iniziative assunte dal pubblico ministero».
Quanto alle dichiarazioni rese quando il fratello era stato sentito a sommarie informazioni, la Corte evidenzia come lo stesso fosse già stato in precedenza «formalmente iscritto in relazione ad un’ipotesi di reato originata dal medesimo fatto storico – ossia “la scomparsa di Saman Abbas”, che ha poi ricevuto una diversa qualificazione giuridica (quella di cui all’art. 610 cod. pen.), per avere lo stesso, in concorso con i propri genitori ed altri soggetti, costretto Abbas Saman a fare rientro nel paese di origine – mantenendo carattere di fatto evidentemente connesso a quello in ordine al quale si procedeva nel procedimento nel quale era stato escusso».
Delle tre escussioni a sit, due – effettuate dalla PG – si pongono «in violazione della disposizione di cui al comma 1 bis dell’art. 351 cod. proc. pen., che prevede che quando si procede all’assunzione di informazioni da persona imputata in un procedimento connesso ovvero da persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall’articolo 371, comma 2, lettera b) — cui va equiparata la posizione dell’indagato in procedimento connesso o collegato — la persona predetta, se priva del difensore, è avvisata che è assistita da un difensore di ufficio, ma che può nominarne uno di fiducia, quale deve essere tempestivamente avvisato e ha diritto di assistere all’atto — garanzie, queste, di cui non v’è traccia nei relativi verbali».
Quanto a quella effettuata dal PM, non si è rispettata la garanzia tale per cui, in tema di interrogatorio delle persone indagate in reato connesso o collegato ai sensi dell’art. 371, comma secondo, lett. b) cod. proc. pen., l’atto deve sempre essere preceduto, a pena di inammissibilità, dagli avvisi previsti dall’art. 64 cod. proc. pen.; e ciò – si legge nell’ordinanza – «nonostante la doverosità di tali modalità di assunzione costituisca approdo pacifico cui, invero, la giurisprudenza di legittimità era pervenuta ancor prima della riforma di cui alla Legge 1° marzo 2001, n. 63, chiarendo che al pubblico ministero non è consentito assumere le informazioni di cui all’art. 362 cod. proc. pen. dal coindagato o dall’indagato di reato connesso ovvero probatoriamente collegato a quello per il quale si indaga, ostandovi il disposto dell’art. 197, lett. a) e b), cod. proc. pen.».
Le dichiarazioni rese da persona indagata potrebbero ritenersi validamente assunte senza il rispetto delle garanzie difensive – evidenziano i giudici – solo quando riguardino fatti di reato attinenti a terzi ed in relazione ai quali non sussiste alcuna connessione o collegamento probatorio con quelli ad essa addebitati, assumendo la medesima, con riguardo a dette vicende, la veste di testimone e, prima del giudizio, di persona informata dei fatti. Situazione, quella appena evidenziata, che la Corte ha categoricamente escluso, essendo – «pacifica e indiscussa è la connessione tra i due procedimenti e le rispettive contestazioni, tant’è vero che è lo stesso ufficio di Procura che, dopo pochi giorni, nel formulare richiesta di incidente probatorio, segnala al G.I.P. in sede che il minore risulta indagato in procedimento connesso o collegato, rappresentando che lo stesso debba essere escusso nelle forme di cui all’art. 210, ultimo comma, cod. proc. pen.». Ne consegue, a norma dell’art. 63 c. 2 c.p.p., l’inutilizzabilità erga omnes dei verbali di sommarie informazioni del 12 maggio, il 15 maggio ed il 21 maggio 2021.
Quanto alle dichiarazioni rese durante l’incidente probatorio, la Corte osserva come «la pur intervenuta archiviazione della posizione del fratello non sia idonea a superare le criticità riscontrabili in relazione alla mancata iscrizione da parte della competente Procura del ragazzo, allora minorenne, per la fattispecie di cui agli artt. 110 e 575 cod. pen.».
Sul punto i giudici affermano come, da un lato, «il provvedimento di archiviazione, nell’aderire in toto alla richiesta formulata dal PM, faccia formale ed espresso riferimento alla fattispecie di cui all’art. 610 cod. pen. (ben distinta da quella di concorso nel reato principiale di omicidio)» e che, dall’altro, «a nulla rileva che nel corpo delle motivazioni redatte dalla Procura minorile si sia fatto riferimento all’eventuale ricorrenza, o meno, di profili di responsabilità dello stesso in ordine all’omicidio della sorella posto che, oltre ad essere argomenti esposti a supporto di un provvedimento avente natura non definitoria né definitiva, gli stessi appaiono del tutto inconferenti ed estranei rispetto all’ipotesi di reato per cui si procedeva in quella sede».
In ogni caso – si legge nell’ordinanza – «ritiene la Corte che a carico del testimone emergessero precisi indizi di reità, ricavabili tanto dalle dichiarazioni rese in sede di incidente probatorio, quanto – ed ancor prima – dalle dichiarazioni rese al P.M. in data 21 maggio 2021, oltre che dal contenuto delle telefonate intercettate nel periodo d’interesse». In altri termini, secondo la Corte «sussistevano fondati elementi per ritenere che, quantomeno a far data dal 21 maggio 2021, a carico del soggetto emergessero precisi indizi di reità che si ritiene avrebbero dovuto indurre — a garanzia della sua posizione e di quelle degli altri co-indagati — ad iscrivere il minore in relazione al reato principale».
Con ciò – ribadiscono i giudici – «non si intende dire che sussistesse a suo carico un compendio probatorio utilmente spendibile in sede di giudizio ma che lo stesso avrebbe meritato un diverso approfondimento in sede d’indagini, anche al fine di verificare l’attendibilità di un soggetto che rivestiva una posizione indubbiamente delicata in quel momento. Si osserva, ancora, che l’adozione di tale iniziativa, nell’immediatezza, avrebbe assicurato al dichiarante le garanzie allo stesso spettanti per legge, preservando – poi – l’ulteriore prosieguo delle indagini da eventuali profili di inutilizzabilità, quali quelli qui in esame».
In conclusione, sebbene per ragioni diverse da quelle rassegnate in ordine alle sommarie informazioni, «deve dichiararsi l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dallo stesso in sede di incidente probatorio, sussistendo già in quel momento elementi tali da dover indurre, cautelativamente, ad iscrivere il dichiarante in relazione alla fattispecie di cui agli artt. 110 e 575 cod. pen».