La Cassazione si pronuncia sul concorso dei revisori nella bancarotta societaria
Cassazione Penale, Sez. V, 30 novembre 2023 (ud. 13 ottobre 2023), n. 47900
Presidente Pezzullo, Relatore Morosini
Segnaliamo, in tema di bancarotta societaria, la sentenza con cui i giudici della quinta sezione penale della Corte di cassazione si sono pronunciate sul possibile concorso nel reato da parte dei revisori.
La condotta materiale accertata a carico degli imputati – si legge nella sentenza – “si sostanzia nella fattispecie del falso nelle relazioni dei revisori non ha attinenza né con l’art. 2621 c.c. né con l’art. 223 c.2 n. 1 legge fall. e, per tale ragione, non può ex se rappresentare una modalità di concorso nei reati propri, pena la torsione dei principi di legalità e di tipicità“.
Come nota autorevole dottrina, “nel delineare le fattispecie di bancarotta impropria il legislatore ha inteso rafforzare l’imposizione di particolari doveri, correlati a penetranti poteri, posti dalla normativa civilistica a carico di determinati soggetti per la tutela dell’impresa individuale o della società, dei soci e dei creditori sociali“. In tale ottica, “ha tenuto conto della somma dei poteri che si concentrano nell’organo interno di gestione (che governa i meccanismi societari, è informato delle notizie più riservate, ha accesso alle fonti di finanziamento, domina le attività patrimoniali, effettua le scelte operative, ecc.) e in quello, sempre interno, di controllo (eletto dalla stessa maggioranza assembleare che esprime gli amministratori, vale a dire i soggetti la cui attività è assoggettata al controllo). A tutto ciò il revisore, figura esterna agli organi societari, rimane estraneo (soprattutto nel sistema precedente alla riforma del 2010)“.
Naturalmente – continua la sentenza – “ciò non esclude che il revisore possa fornire il proprio apporto all’autore qualificato nella commissione del reato di falso in bilancio (ad esempio assicurando allo stesso una relazione positiva) e, conseguentemente, di quello di bancarotta societaria“. Tuttavia, “si tratta di concorso che passa attraverso le ordinarie forme di cui all’art. 110 cod. pen. (e relativi oneri probatori) e non attraverso una non consentita combinazione di altre norme incriminatrici, foriera di inammissibili scorciatoie probatorie“.
Nel caso di concorrente morale – prosegue il collegio – “il contributo causale può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all’esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso), che impongono al giudice un obbligo di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall’art. 110 c.p., con l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà“.