I presupposti per la rimessione del processo e la distinzione rispetto agli istituti dell’astensione e della ricusazione
[a cura di Filippo Lombardi]
Cassazione Penale, Sez. V, 21 dicembre 2023 (ud. 6 dicembre 2023), n. 51219
Presidente Zaza, Relatore Caputo
Si segnala la sentenza in epigrafe, con la quale la Corte di legittimità ha ribadito i presupposti per l’accoglimento della richiesta di rimessione ai sensi dell’art. 45 del codice di rito.
Richiamando l’insegnamento delle Sezioni unite penali, il Collegio ha chiarito che i motivi di legittimo sospetto sono configurabili quando si è in presenza di «una grave ed oggettiva situazione locale, idonea a giustificare la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice, inteso, questo, come l’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito» (in termini, Cass. pen., sez. un., 28 gennaio 2003, n. 13687).
Va soggiunto, più nello specifico che, per grave situazione locale deve intendersi un «fenomeno esterno alla dialettica processuale, riguardante l’ambiente territoriale nel quale il processo si svolge, e connotato da tale abnormità e consistenza da non poter essere interpretato se non nel senso di un pericolo concreto per la non imparzialità del giudice (inteso come l’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito) o di un pregiudizio alla libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo medesimo»; i motivi di legittimo sospetto possono configurarsi «solo in presenza di questa grave situazione locale e come conseguenza di essa». Rileva dunque il pericolo concreto per la non imparzialità dell’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito (cfr. Cass. pen., sez. III, 12 maggio 2015, n. 23962, CED 263952; in senso conforme Cass. pen., sez. II, 3 dicembre 2004, dep. 2005, n. 3055; Cass. pen., sez. II, 25 marzo 2004, n. 17519; Cass. pen., sez. II, 23 dicembre 2016, n. 55328, CED 268531).
Quanto ai rapporti tra rimessione, da un lato, e astensione e ricusazione, dall’altro, va invece ribadito che «l’istituto della rimessione può trovare applicazione solo in presenza di una situazione ambientale incompatibile con la libera determinazione dei soggetti processuali, che deve quindi consistere in fattori oggettivamente idonei a fuorviare la serenità di giudizio e tali da riverberarsi sull’organo giudicante indipendentemente dalla sua composizione, in quanto le cause che possono incidere sull’imparzialità di uno dei suoi componenti possono eventualmente rilevare ai fini dell’applicazione delle norme sull’astensione e sulla ricusazione, ma non determinano l’applicazione dell’istituto della rimessione» (si veda Cass. pen., sez. V, 14 novembre 2014, dep. 2015, n. 5655, CED 264269; conf. Cass. pen., sez. I, 23 febbraio 1998, n. 1125, CED 210010).
Infatti, argomenta la Corte, «con la disciplina della rimessione del processo, istituto di carattere assolutamente eccezionale, il legislatore ha inteso apprestare un rimedio allorché siano messe in pericolo la sicurezza o la pubblica incolumità ovvero sia gravemente compromessa la libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo, ponendo l’ulteriore limite che tali situazioni non siano […] altrimenti eliminabili, a cui cioè non possa porsi rimedio con l’adozione di speciali accorgimenti e cautele idonee a impedire l’insorgere di tumulti o la perpetrazione di azioni violente e lesive in danno di un numero indeterminato di persone o di uno o più dei soggetti che partecipano al processo ovvero con il ricorso agli strumenti predisposti dall’ordinamento per i casi di possibile alterazione del corso normale della giustizia, quali, in particolare, l’astensione e la ricusazione del giudice», con la conseguenza che «non hanno rilevanza ai fini dell’applicazione dell’istituto vicende riguardanti singoli magistrati che hanno svolto funzioni giurisdizionali nel procedimento, non coinvolgenti l’organo giudiziario nel suo complesso» (Cass. pen., sez. I, 7 febbraio 1995, n. 740, CED 200762; conf. Cass. pen., sez. I, 19 giugno 1995, dep. 1996, n. 3665, CED 203414; Cass. pen., sez. I, 30 gennaio 1996, n. 634, CED 204502; Cass. pen., sez. I, 10 marzo 1997, n. 1952, CED 208880).