La Cassazione sulla responsabilità del Collegio sindacale per omesso impedimento del dissesto della società.
Cass. pen., Sez. V, Sent. 10 gennaio 2024 (ud. 29 novembre 2023), n. 1162
Presidente Pezzullo, Relatore Cuoco
[a cura di Lorenzo Roccatagliata]
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione, Sezione quinta, si è pronunciata sulla responsabilità del Collegio sindacale per la fattispecie di bancarotta semplice (art. 323, codice della crisi d’impresa) per omesso impedimento del dissesto della società.
Al presidente e agli altri membri del Collegio sindacale di una società a responsabilità limitata era contestato di avere «aggravato il dissesto omettendo, nonostante il valore negativo del patrimonio societario, di esercitare i loro doveri di vigilanza e di procedere, segnatamente, alla convocazione dell’assemblea».
Secondo la sentenza impugnata, «l’organo di controllo, pur riscontrando la sussistenza dei presupposti operativi indicati nell’art. 2447 cod. civ., si sarebbe limitato ad invitare gli amministratori ad eseguire l’aumento di capitale, senza rilevarne l’inadempimento e senza procedere alla diretta convocazione dell’assemblea e alla parallela segnalazione delle gravi irregolarità commesse dall’organo amministrativo. Omissioni che, permettendo la prosecuzione dell’attività economica pur in presenza di un patrimonio netto sensibilmente negativo, avrebbero contribuito ad aggravare il preesistente stato di dissesto».
La Corte ha rigettato il ricorso dei difensori, ritenendo logica e fondata tale conclusione.
I Giudici di legittimità hanno anzitutto dato atto che «il controllo sindacale, in quanto posto a tutela degli interessi dei soci e di quello (preminente) dei creditori e pur non potendo investire in forma diretta le scelte imprenditoriali, non si esaurisce in una mera verifica formale o in un riscontro contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori: deve necessariamente sostanziarsi nell’oggettivo riscontro tra la realtà e la sua rappresentazione ed estendersi al contenuto della gestione sociale e alla conseguente verifica di conformità delle scelte degli amministratori ai canoni d’una buona amministrazione e della loro compatibilità con i fini propri della società».
Muovendo da questi presupposti, la Corte ha affermato che «ove nell’esercizio dei suoi poteri di controllo e di vigilanza abbia conoscenza di condotte illecite degli amministratori, il sindaco ha il dovere di intervenire per impedirne la realizzazione. E la relativa omissione determina la sua responsabilità a titolo di concorso nel reato eventualmente commesso all’amministratore, ove l’esercizio dei poteri conoscitivi riconosciuti ai sindaci avrebbe condotto questi ultimi a conoscere delle irregolarità contabili e, conseguentemente, ad attivare le (doverose) procedure di segnalazione (esterna ed interna) e d’inibizione che il legislatore ha messo a disposizione».
Da ultimo, la Corte ha delineato gli specifici poteri-doveri d’iniziativa che fondano la posizione di garanzia dei sindaci e, nel caso restino omessi, la loro responsabilità penale: «il dovere di convocare l’assemblea ed eseguire le pubblicazioni prescritte in caso di omissione da parte degli amministratori (art. 2406 cod. civ.); quello di chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale sociale obbligatoria per legge, ove l’assemblea non vi provveda e gli amministratori restino inerti (artt. 2357, 2359-ter e 2446 cod. civ.); quello di promuovere l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori (2393 cod. civ.) e di sollecitare il controllo giudiziario sulla gestione (2409 cod. civ.)».
Il tema della responsabilità omissiva dei sindaci è stato affrontato anche da una recente sentenza della Corte di appello di Milano, commentata in questa Rivista da Giuseppe Fornari.