Per un uso responsabile dell’intelligenza artificiale nel processo (penale)
in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 3 – ISSN 2499-846X
di Andrea Craviotto, Lorenzo Vitali, Luca Egitto e Chiara Canepa
A chiunque abbia svolto la pratica forense, soprattutto nei decenni passati, quando davvero la “carta” dominava ogni aspetto della vita professionale dell’avvocato (e non solo), suonerà familiare la situazione-tipo qui di seguito descritta. Otto di sera, stanza dei praticanti, la giornata lavorativa volge al termine, quando irrompe in stanza il dominus di studio: “Scusate, domani viene sentito il teste Tizio, mi devo preparare le domande per il controesame, mi potete dire se i testimoni già sentiti nelle scorse udienze, hanno detto qualcosa sulla presenza di Tizio alla riunione che c’era stata in azienda o se nelle e-mail sequestrate, Tizio risulta tra i destinatari?”. Panico generale: nessuno dei praticanti ovviamente ha la risposta pronta, ma il dominus vuole la risposta e la vuole in fretta, quindi tocca al praticante più giovane mettersi a scartabellare tra i vari faldoni. Quando finalmente (!), riesce a trovare le trascrizioni utili e le e-mail sequestrate, si accorge, a malincuore, che per poter dare la risposta che il suo dominus si aspetta, dovrà fare le ore piccole in studio passando in rassegna centinaia e centinaia di pagine…
Ora, è del tutto evidente che, nella situazione appena descritta, il praticante “in carne e ossa”, non svolge alcun lavoro creativo o valutativo, ma si limita a ricercare e reperire una certa informazione che gli è stata richiesta, ma che, non essendo “esposta” come la merce nelle corsie del supermercato, per poter essere reperita, richiede lo scrutinio di molte fonti informative, spesso eterogenee tra loro e sparpagliate tra gli atti del processo. Ebbene: si può immaginare un applicativo informatico (“tool”), il quale, con l’uso della IA in una particolare declinazione (meglio precisata in seguito), vada alla ricerca delle informazioni richieste (non della singola parola chiave) e le fornisca in una frazione di tempo incommensurabilmente più breve di qualsiasi ricerca manuale indicando anche le fonti da cui ha estratto l’informazione. Se volessimo dare un nome, potremmo definirlo un “praticante virtuale”, senza offesa -ovviamente- per i praticanti veri, preziosa risorsa di ogni studio legale.
Ed è precisamente in questo ambito che si dovrebbe collocare l’uso “guidato” dell’Intelligenza Artificiale, non già lasciata libera di dare sfogo al proprio fermento “creativo” come spesso riportato dagli organi di informazione, cosa che inquinerebbe e minerebbe l’affidabilità nella risposta all’interrogazione posta, ma confinata solo nel mondo “chiuso” degli atti del processo, con l’obiettivo di sottoporli a uno scrutinio severo per trarre da essi informazioni univoche, munite di senso compiuto. In altre parole, uno scenario d’uso auspicabile (già oggi), è quello di colmare il gap attualmente esistente, tra modalità analogiche e modalità digitali nel cd. “governo” dei processi penali di grosse dimensioni e/o con un elevato numero di parti, in cui la stratificazione delle fonti di prova rende assai più complicato il lavoro del difensore coinvolto (si pensi al caso di chi assiste una sola posizione in un “maxi-processo” per malattie professionali, per fare un esempio).
In questo contributo (a più “voci”), si descrive uno scenario d’uso dell’IA limitato allo specifico ambito del processo penale, che può avere un’applicabilità immediata, senza pregiudizio per la riservatezza e sicurezza dei dati trattati.
Come citare il contributo in una bibliografia:
A. Craviotto – L. Vitali – L. Egitto – C. Canepa, Per un uso responsabile dell’intelligenza artificiale nel processo (penale), in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 3