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Caso Mario Roggero: le motivazioni della sentenza di condanna (17 anni) nei confronti del gioielliere di Grinzane Cavour per l’omicidio di due rapinatori

Corte di Assise di Asti, 28 febbraio 2024 (ud. 4 dicembre 2023), n. 2
Presidente dott. Alberto Giannone, Estensore dott. Elio Sparacino

Segnaliamo, in considerazione dell’interesse mediatico della vicenda, le motivazioni della sentenza con cui la Corte di Assise di Asti ha condannato Mario Roggero – gioielliere di Grinzane Cavour – a 17 anni di reclusione per l’omicidio di due rapinatori e per il tentato omicidio di un terzo.

In punto di diritto, la questione su cui a lungo si è discusso – anche nell’opinione pubblica – attiene al riconoscimento della causa di giustificazione della legittima difesa, esclusa dalla Corte di Assise (si veda da pagina 33 in poi delle motivazioni).

I giudici prendono le mosse ricordando come l’imputato «in un’intervista rilasciata ad un quotidiano nazionale il 2.6.2021, così come in altre occasioni in cui è stato intervistato dalla stampa e delle televisioni nazionali — documentazione prodotta dal Pubblico Ministero che è entrata a far parte degli atti processuali perché proveniente dall’imputato – ha sostenuto di aver sparato i primi colpi di pistola quando i rapinatori, armi in pugno, si trovavano ancora dentro la gioielleria». Tale tesi, «del tutto smentita dalle risultanze delle videoriprese delle telecamere di sicurezza e poi abbandonata dallo stesso imputato nelle dichiarazioni spontanee nel corso del processo, non ha trovato alcun riscontro: tutti i colpi di pistola sono stati sparati fuori dall’esercizio commerciale quando i rapinatori stavano cercando di scappare e quando, dunque, il pericolo per la propria incolumità e per quella dei suoi prossimi congiunti era senza alcun dubbio del tutto cessato».

Pertanto – prosegue la Corte – «va sgombrato il campo da un primo, importante equivoco: i colpi non sono stati sparati per la necessita di salvare sé o altri da un pericolo attuale ed imminente mentre la rapina era in corso; i colpi sono stati esplosi quando la rapina era finita e i malviventi stavano salendo in macchina per darsi alla fuga».

Ciò che rileva ai fini del presente giudizio «è che quando Mario Roggero ha sparato ai rapinatori non l’ha fatto perché uno di questi gli stava puntando contro un’arma e, pertanto, in presenza di un – anche presunto e per errore ritenuto esistente – pericolo imminente per la propria incolumità».

L’imputato, «una volta resosi conto che i rapinatori avevano lasciato il suo negozio portando via alcuni preziosi»– si legge nella sentenza – «avrebbe dovuto astenersi dal rincorrerli brandendo un’arma da fuoco ma si sarebbe dovuto limitare a chiamare le Forze dell’Ordine e segnalare l’esistenza di una banda di rapinatori in fuga». Al contrario, «ha deliberatamente deciso di affrontare i rapinatori con il precipuo fine di assicurarli, lui, alla giustizia o, meglio, alla sua giustizia privata, con immediata “esecuzione” della pena nei confronti dei colpevoli».

Quanto alla tesi della legittima difesa putativa, la Corte di Assise ha ricordato come, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, «l’accertamento relativo alla scriminante della legittima difesa reale o putativa e dell’eccesso colposo deve essere effettuato con un giudizio “ex ante” calato all’interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio in sé considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all’azione che possano aver avuto concreta incidenza sull’insorgenza dell’erroneo convincimento di dover difendere altri da un’ingiusta aggressione».

La Corte ha ritenuto priva di fondamento la tesi secondo cui l’imputato avrebbe inseguito  i malviventi nella convinzione che gli stessi avessero rapito la moglie osservando come tale ricostruzione, oltre a non comparire nelle prime dichiarazioni “giornalistiche” dell’imputato, sia smentita «dalla riproduzione delle immagini riprese dalla telecamera interna della gioielleria», da cui emerge che «Mario Roggero, dopo aver preso in mano la pistola ed essersi messo all’inseguimento dei rapinatori, si scontra con la moglie che si frappone fra lui e l’uscita e, con un gesto, la sposta per poter raggiungere i malviventi».

In conclusione, «in ottemperanza al principio giurisprudenziale citato, compiendo un giudizio ex ante e alla luce delle circostanze di fatto, va detto come vi siano molteplici elementi che portano la Corte a ritenere radicalmente insussistenti i presupposti della legittima difesa putativa: in particolare apparendo del tutto assurdo sul piano logico opinare che l’imputato abbia sparato almeno due colpi all’interno della vettura, unico posto nella quale si sarebbe potuta trovare la moglie sequestrata (visto che non era in piedi insieme ai rapinatori), col rischio di uccidere anche lei».

In merito all’ultimo capo di imputazione – porto in luogo pubblico di arma da sparo legalmente detenuta – la Corte ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui «risponde di tale reato chi, anche detenendo un’arma legittimamente all’interno della propria abitazione, la porti, privo di specifica licenza, in luogo pubblico o aperto al pubblico». Ne deriva che, al netto di qualsiasi considerazione circa il fatto che l’arma fosse detenuta illegalmente, «ciò che rileva è che l’imputato, privo di porto d’armi, ha condotto fuori dalla gioielleria la rivoltella per fare fuoco contro i rapinatori».

Redazione Giurisprudenza Penale

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