Messa alla prova: il giudice non può, senza il consenso dell’imputato, aggiungere al programma di trattamento il risarcimento del danno
Cassazione Penale, Sez. II, 8 marzo 2024 (ud. 16 febbraio 2024), n. 9966
Presidente Rosi, Relatore Messini D’Agostini
In tema di messa alla prova, segnaliamo ai lettori la pronuncia con cui la Corte di cassazione ha ribadito che il giudice non può, senza il consenso dell’imputato, modificare il programma di trattamento aggiungendo il risarcimento del danno a favore delle persone offese (risarcimento che, in ogni caso, sarà dovuto solo “ove possibile”).
Secondo la costante giurisprudenza, “tale consenso deve ritenersi vincolante, sia alla luce dell’inequivoco tenore della disposizione, sia in considerazione della struttura dell’istituto, che è rimesso alla iniziativa dell’imputato e nell’ambito del quale il programma di trattamento deve essere elaborato d’intesa con l’ufficio esecuzione penale esterna; pertanto, deve ritenersi che, in caso di mancanza di consenso alle modifiche o integrazioni, il programma – come elaborato d’intesa tra l’imputato richiedente e l’ufficio esecuzione penale esterna – non possa essere modificato e il giudice dovrà decidere su di esso nella sua originaria formulazione”.
Il giudice, dunque, “salva la valutazione di inidoneità, può modificare il programma elaborato con il consenso dell’imputato ma non può introdurre prescrizioni più gravose senza il consenso dell’imputato“.
In ogni caso – si precisa – “l’indicazione contenuta nell’art. 168-bis c.2 c.p. ha natura prescrittiva ma non assoluta, come chiaramente evidenziato dalla locuzione “ove possibile”, sicché risulta ingiustificato ritenere che la sospensione del procedimento con messa alla prova sia necessariamente subordinata all’integrale risarcimento del danno“.
Detto inciso – si conclude – “deve essere letto nel senso che il risarcimento del danno deve corrispondere “ove possibile” al pregiudizio patrimoniale arrecate alla vittima sicché, ove esso non sia tale, deve comunque essere l’espressione dello sforzo “massimo” pretendibile dall’imputato alla luce delle sue condizioni economiche che il giudice ha la possibilità di verificare con i propri poteri ufficiosi“.