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Il Tribunale di Milano torna sulla agevolazione colposa del caporalato ai fini dell’applicazione della amministrazione giudiziaria (art. 34 d. lgs. 159/2011)

[a cura di Guido Stampanoni Bassi]

Tribunale di Milano, sezione autonoma misure di prevenzione, decreto, 3 aprile 2024
Presidente Estensore dott.ssa Paola Pendino, Giudici dott.ssa Giulia Cucciniello e dott.ssa Maria Gaetana Rispoli

Segnaliamo ai lettori, in tema di misure di prevenzione, il decreto con cui il Tribunale di Milano, in un recente caso di cronaca, è tornato sui profili della cd. agevolazione colposa ai fini della applicazione della misura della amministrazione giudiziaria ex art. 34 D.Lvo 159/2011.

Il Tribunale ha preso le mosse ricordando come, «sul piano del profilo soggettivo richiesto per l’applicazione della misura di prevenzione, il soggetto terzo debba porre in essere una condotta censurabile quantomeno su un piano di rimproverabilità “colposa” – quindi negligente, imprudente o imperita – senza che ovviamente la manifestazione attinga il profilo della consapevolezza piena della relazione di agevolazione (tale ultimo caso, infatti, è ascrivibile nella cornice dolosa del diritto penale, ad ipotesi concorsuali o, quantomeno, favoreggiatrici)».

Dovendosi comunque leggere la misura dell’amministrazione giudiziaria come posta anche a favore e a tutela dell’attività imprenditoriale e della sua trasparenza – si legge nel decreto – «occorre che la condotta del terzo possa e debba essere censurata esclusivamente sul piano del rapporto colposo, che riguardi, cioè, la violazione di normali regole di prudenza e buona amministrazione imprenditoriale che la stessa società si sia data (magari dotandosi di un codice etico) o che costituiscano norme di comportamento esigibili sul piano della legalità da un soggetto, che opera ad un livello medio-alto nel settore degli appalti di opere e/o servizi».

Ne consegue che «la carenza di modelli organizzativi ai sensi del d. lgs 231/01 e la presenza di sistemi di internal audit fallaci integrano i presupposti di cui all’art. 34 d. lgs. 159/2011, atteso che tali carenze organizzative e tali mancati controlli agevolano (colposamente) soggetti ai quali si contesta il reato di cui all’art. 603 bis c.p.»

Ciò premesso, il Tribunale ha attribuito alla società profili di colpa nel non aver «verificato la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatrici alle quali affidare la produzione e nel non aver mai effettuato ispezioni o audit per appurare in concreto le reali condizioni lavorative e gli ambienti di lavoro (chiedere il codice di condotta del fornitore in assenza di un efficace sistema di verifica e controllo rimane pura forma)».

La società – si legge nel provvedimento – «non ha mai effettivamente controllato la catena produttiva, verificando la reale capacità imprenditoriale delle società con le quali stipulare i contratti di fornitura e le concrete modalità di produzione dalle stesse adottate, ed è rimasta inerte, pur venendo a conoscenza dell’esternalizzazione della produzione da parte delle società fornitrici, omettendo di assumere iniziative come la richiesta formale di verifica della filiera dei sub-appalti, di autorizzazione alla concessione dei sub appalti o la rescissione dei legami commerciali, con ciò realizzandosi – quantomeno sul piano di rimprovero colposo determinato dall’inerzia della società – quella condotta agevolatrice richiesta dalla fattispecie ex art. 34 D.Lvo 159/2011 per l’applicazione della misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria».

Alla luce del criterio di proporzionalità fra situazione concretamente accertata e misura di prevenzione, «si ritiene che l’attuale formulazione dell’art. 34 comma 3 consenta un intervento nella gestione societaria non implicante necessariamente l’impossessamento totale dell’attività di impresa e l’assunzione integrale dei poteri di gestione, prevedendosi la facoltà (e non l’obbligo) per l’amministratore giudiziario di esercitare i poteri spettanti agli organi di amministrazione e altri organi sociali secondo le modalità stabilite del Tribunale».

Tale dizione letterale – scrive il Tribunale – «demanda al Tribunale la valutazione in ordine alle concrete modalità di intervento, in esito ad una valutazione ponderata del grado di infiltrazione delittuosa e del settore societario contaminato in rapporto alle dimensioni della società e della necessità di salvaguardare la continuità aziendale ed i livelli occupazionali».

In conclusione, «procedendosi nei confronti di un’impresa pienamente operativa, rappresentativa del cd “Made in Italy” tanto apprezzato all’estero ed avente rilevanti dimensioni, in applicazione del principio di proporzionalità, si può modulare la misura in modo sì da assicurare il controllo da parte del Tribunale sugli organi gestori – per esempio per sostituire i componenti della governance e degli organi di controllo e per adeguare i presidi di controllo interno – ma lasciando il normale esercizio di impresa in capo agli organi di amministrazione societaria».

Redazione Giurisprudenza Penale

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