ARTICOLIDIRITTO PROCESSUALE PENALEEstradizione

Estradando citato a giudizio «per dichiararsi colpevole del reato ascritto»: la Cassazione precisa le condizioni per la consegna

Cassazione Penale, Sez. VI, 27 febbraio 2024 (ud. 30 gennaio 2024), n. 8638
Presidente De Amicis, Relatore Criscuolo

Segnaliamo la sentenza con cui la Corte di cassazione si è pronunciata sulla sussistenza delle condizioni per l’estradizione nel caso in cui l’estradando sia risultato destinatario, nel paese richiedente, di un’ordinanza cautelare con citazione a giudizio «per dichiararsi colpevole del reato ascritto».

La Corte di Appello di Bologna aveva ritenuto sussistenti le condizioni per l’estradizione osservando come «l’espressione utilizzata nel documento – nel quale si dice che la presenza dell’estradando era richiesta “per dichiararsi colpevole” – doveva intendersi finalizzata solo a consentire l’inizio del processo (e non ad ammettere le proprie responsabilità)».

Di diverso avviso la Cassazione, secondo cui se, da un lato, «il rapporto di collaborazione tra Italia e Bosnia ed Erzegovina (come emerge dall’accordo bilaterale in essere) è improntato al rispetto dei diritti fondamentali della persona», dall’altro, «l’interpretazione della Corte di Appello di Bologna non risulta fondata su elementi certi e di sicura affidabilità oggettiva».

L’espressione utilizzata nell’ordinanza cautelare, infatti, «se intesa in senso letterale, integrerebbe una inaccettabile violazione dei diritti di difesa e della libertà personale dell’indagato, incompatibile con i principi fondamentali del nostro ordinamento».

La Corte di Appello – si legge nella sentenza – «ha ritenuto di poter ricavare dalla lettura coordinata dell’ordinanza cautelare e della documentazione trasmessa che la presenza dell’imputato era richiesta per notificargli la decisione di conferma dell’accusa e per consentirgli di presentare eccezioni: diritti ritenuti inconciliabili con la traduzione in udienza per l’ammissione di colpevolezza in relazione ad un’accusa a lui nota. Risulta, infatti, che l’accusa gli era stata comunicata e che l’indagato aveva reso interrogatorio, tanto da avere ammesso anche in sede di identificazione di essere stato sorpreso in possesso di un documento falso».

L’apprezzabile sforzo interpretativo della Corte di Appello – precisano i giudici di legittimità – «è frutto di una valutazione non ancorata alla documentata e precisa ricostruzione della sequenza procedimentale e delle norme processuali che regolano la fase della presentazione dell’indagato dinanzi al giudice per l’udienza preliminare per la convalida dell’accusa e per la citazione a giudizio, nonché delle norme che autorizzano l’emissione di un titolo cautelare per assicurare la partecipazione dell’indagato al processo nel caso in cui non sia stato reperito e delle norme che regolano il processo in assenza».

Né è stato verificato se l’espressione censurata – secondo la quale la presenza era richiesta per “dichiararsi colpevole” – «sia semplicemente frutto di una infelice traduzione, non essendo compatibile con i diritti fondamentali tutelati dagli ordinamenti di Stati democratici che sia assicurata la partecipazione coattiva e in stato detentivo dell’indagato al processo per il fine sopra indicato».

In conclusione, «la necessità di approfondimento e di verifica sui profili segnalati ha imposto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna».

Redazione Giurisprudenza Penale

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