ARTICOLIDIRITTO PROCESSUALE PENALEIN PRIMO PIANO

Il Tribunale di Torino si pronuncia a favore della possibilità di applicare gli arresti domiciliari in altro paese dell’Unione Europea (ove l’indagato abbia la residenza)

Tribunale di Torino, Sezione del Riesame, Ordinanza, 8 maggio 2024
Presidente Estensore dott. Stefano Vitelli

Segnaliamo, in tema di misure cautelari personali, l’ordinanza con cui il Tribunale di Torino, sezione del riesame, si è pronunciato – aderendo all’orientamento favorevole – in merito alla possibilità di applicare gli arresti domiciliari in altro Stato dell’Unione in cui l’indagato risieda.

Il Tribunale prende le mosse evidenziando come la questione – che si è posta anche con riferimento alla vicenda di Ilaria Salis (cittadina italiana che si trova sottoposta ad una misura cautelare in Ungheria, su cui si è discusso a proposito della possibile esecuzione della misura degli arresti domiciliari in Italia) – sia «complessa e discussa», trattandosi di «interpretare l’ambito di applicazione della decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio del 23 ottobre 2009 sull’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni sulle “misure alternative alla detenzione cautelare” e del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, recante disposizioni per conformare il diritto interno a tale decisione, valutando se fra le “misure alternative” possa rientrare anche quella degli arresti domiciliari».

Dopo aver riepilogato gli opposti indirizzi giurisprudenziali – e dopo aver evidenziato che la questione «meriterebbe, considerata anche l’importanza della materia, l’intervento delle Sezioni Unite» – il Tribunale di Torino aderisce all’orientamento interpretativo maggioritario, secondo cui «la misura cautelare degli arresti domiciliari può trovare esecuzione nello Stato membro dell’Unione europea di residenza dell’interessato, in quanto si tratta di misura che, imponendo l’obbligo di rimanere in un luogo determinato, rientra nelle ipotesi di cui all’art. 4, lett. c) del predetto decreto legislativo».

Questo Tribunale – si legge nell’ordinanza – «ritiene soluzione complessivamente più fondata quella favorevole a ritenere che la disciplina concernente il reciproco riconoscimento delle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare sia applicabile anche agli arresti domiciliari».

In primo luogo, i giudici rilevano che «il dato letterale della disposizione normativa dell’art. 4 lett. c) del d.lgs. n. 36 del 2016 non è inequivocabilmente nel senso di escludere dal suo ambito di applicazione la misura cautelare degli arresti domiciliari»: il concetto di “luogo” utilizzato è, infatti, «volutamente ampio tanto da essere dalla legge utilizzato, non solo per gli obblighi non detentivi di cui all’art. 283 c.p.p. (divieto e obbligo di dimora), ma anche per la misura di cui all’art. 284 c.p.p.».

Nemmeno rileva l’argomento fondato sulla equiparazione legale fra custodia cautelare in carcere e misura cautelare degli arresti domiciliari di cui al V comma dell’art. 284 c.p.p., posto che «da un’equiparazione a geometria variabile di questo tipo afferente al profilo esecutivo/afflittivo della misura detentiva privata, dedurre una preclusione generale rispetto alla ben diversa questione della tipologia di misure cautelari coercitive da poter applicare sul territorio dell’Unione costituisce un’evidente forzatura interpretativa».

Quanto poi all’argomento sistematico relativo al fatto che il d.lgs. n. 36 del 2016 svolgerebbe una funzione complementare rispetto alla normativa sul mandato di arresto europeo, il Tribunale afferma come «l’indubbio rapporto di complementarietà fra la normativa in parola e l’istituto del MAE e la relativa procedura di consegna fra Stati membri non implica che l’Autorità giudiziaria competente non possa trovarsi di fronte a opzioni concorrenti e che non sia congruo ed equo rimettere alla stessa la scelta fra le stesse in relazione proprio alle singole vicende cautelari oggetto del giudizio e alle peculiarità che lo caratterizzano». Se, ad esempio, «possono esserci ragioni connesse al processo in corso (accertamenti/valutazioni tecniche che coinvolgono in prima persona l’indagato) che inducono, in presenza di un domicilio sul territorio italiano nel quale eseguire gli arresti domiciliari, a ritenere necessaria la misura cautelare domiciliare sul nostro territorio ed eventualmente a ricorrere all’istituto del MAE», è al tempo stesso vero che, «in difetto di ragioni di questo tipo, e tenuto comunque conto di eventuali gravi difficoltà personali dell’interessato sia nel senso di reperire un valido domicilio sul territorio italiano, sia in relazione al proprio nucleo di vita (affettivo, lavorativo, esistenziale), l’Autorità giudiziaria può ritenere congrua la misura cautelare degli arresti domiciliari nello Stato di residenza dell’interessato ricorrente proprio sulla base della normativa in parola sull’applicazione fra gli Stati membri dell’Unione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare».

In difetto di argomenti letterali e sistematici preclusivi – prosegue il Tribunale di Torino – «la soluzione ermeneutica volta a far rientrare nelle misure alternative alla detenzione cautelare la misura cautelare degli arresti domiciliari ai fini del reciproco riconoscimento fra gli Stati membri trova una sua prima legittimazione valoriale nel suo essere in bonam partem» e, soprattutto, «sono i fondamentali principi di fondo che la sostengono e la animano a ritenere questa soluzione maggiormente solida e fondata».

Tra questi, viene menzionato il principio di eguaglianza e di non discriminazione, apparendo al Tribunale non equo che, «a fronte di un giudizio cautelare che porta a ritenere adeguata e proporzionata una misura cautelare alternativa al carcere (ivi compresi gli arresti domiciliari), si possa applicare un trattamento cautelare significativamente più gravoso per un dato estrinseco e spesso del tutto incolpevole, come il turista che si trova per pochi giorni sul territorio nazionale e non ha quindi legami logistici e umani sullo stesso».

In secondo luogo, tale soluzione è apparsa al Tribunale «maggiormente coerente con i principi di libertà e di presunzione di innocenza che costituiscono e devono costituire l’humus giuridico/culturale dell’Unione Europea», non potendosi mai «trascurare che le decisioni cautelari, che pur incidono sui diritti fondamentali di libertà dell’individuo, hanno una base cognitiva parziale e caratterizzata da un contraddittorio spesso differito e comunque imperfetto rispetto alla fase del giudizio vero e proprio».

Ne consegue – prosegue l’ordinanza – «un delicatissimo meccanismo di bilanciamento fra questi profili e l’esigenza concorrente di fronteggiare gli eventuali pericoli cautelari, fra cui quello di recidiva che sottende il parimenti fondamentale “diritto dei cittadini rispettosi della legge di vivere in sicurezza”; meccanismo di contemperamento che si declina anche nelle basilari regole codicistiche di proporzionalità e di minor sacrificio necessario per cui “la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate”».

Applicando tali principi al caso di specie, il Tribunale di Torino ha evidenziato che se, da un lato, «emerge sicuramente un pericolo di recidiva rispetto a reati colposi di analoga natura» (essendo possibile formulare, alla luce della gravità dei fatti, un «giudizio di sicura, spiccata pericolosità sociale» in capo all’attuale ricorrente), dall’altro, «si tratta di soggetto incensurato (residente in Germania dove vive e lavora: peraltro, il suo documentato radicamento sul territorio tedesco e la sua presenza in Italia per occasionali motivi turistici porta ad escludere il pericolo cautelare di fuga ravvisato dal giudice cautelare di prime cure), che sta subendo un’importante “pena naturale” conseguenza all’aver cagionato la morte della propria moglie e che sta avendo un primo, prolungato contatto con l’esperienza carceraria».

In conclusione, «nella valutazione complessiva della vicenda e di questi differenti profili, la misura cautelare degli arresti domiciliari appare in questa fase del procedimento proporzionalmente adeguata e, tenuto conto che il ricorrente è un turista cittadino tedesco che ha abitazione, lavoro e famiglia in Germania, si ritiene congruo applicargli la misura cautelare domiciliare nella sua abitazione di residenza proprio in Germania».

Redazione Giurisprudenza Penale

Per qualsiasi informazione: redazione@giurisprudenzapenale.com