ARTICOLIDIRITTO PROCESSUALE PENALE

Testimonianza indiretta e individuazione degli “altri casi” menzionati dall’art. 195 comma 4 c.p.p.: l’ordinanza della Corte di Assise di Roma nel processo Regeni

Corte di Assise di Roma, Sez. I, Ordinanza, 16 aprile 2024
Presidente dott.ssa Paola Roja, Giudice dott.ssa Paola Della Vecchia

Segnaliamo, in tema di testimonianza indiretta, l’ordinanza con cui la Corte di Assise di Roma – nel processo Regeni – si è pronunciata sulla individuazione degli “altri casi” menzionati nell’ultimo periodo dell’art. 195 comma 4 c.p.p.

Art. 195 comma 4 c.p.p. 
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettera a) e b). Negli altri casi si applicano le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente articolo.

La questione riguardava la ammissibilità della testimonianza di un Colonnello su quanto dallo stesso percepito in occasione di una audizione – non verbalizzata – svolta dalla polizia egiziana una settimana dopo il ritrovamento del corpo di Giulio Regeni; audizione alla quale il Colonnello aveva partecipato quale componente del team di investigatori inviato in Egitto dalla Procura di Roma, nell’ambito di una forma di collaborazione tra le due Forze di Polizia.

Se è vero che l’art. 195 comma 4 c.p.p. prevede il divieto di deposizione da parte di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria circa il contenuto delle dichiarazioni acquisite da persone informate sui fatti con le modalità di cui agli articoli 351 e 357 c. 2 lett. a) e b) c.p.p., è anche vero che «tale divieto subisce un temperamento laddove, con riferimento agli “altri casi” menzionati dal comma 4, viene sancita l’operatività e la riespansione delle regole ordinarie della testimonianza indiretta».

Sul punto – si legge nell’ordinanza – «le Sezioni Unite hanno statuito che gli “altri casi” – per i quali la prova è ammessa secondo le regole generali sulla testimonianza indiretta – si identificano con le ipotesi in cui le dichiarazioni siano state rese da terzi e percepite al di fuori di uno specifico contesto procedimentale di acquisizione, in una situazione operativa eccezionale o di straordinaria urgenza».

La Corte ha ritenuto sussistente tale ipotesi e ha, pertanto, ammesso la testimonianza: «ricorreva, infatti, una situazione eccezionale inerente alla primissima fase delle indagini, nella quale vennero ascoltati soggetti a conoscenza dei fatti da parte della polizia egiziana, alla presenza di operanti della polizia italiana, senza che da parte degli organi investigativi egiziani che conducevano l’esame venisse effettuata alcuna forma di verbalizzazione».

Peraltro – si aggiunge – «nessun potere di sollecitazione, contestazione o direzione nell’assunzione delle informazioni poteva essere esercitato dalla polizia italiana, le eventuali interlocuzioni con gli inquirenti egiziani essendo ascrivibili alla categoria della “cortesia” operativa; né vi poteva essere la pretesa di condizionare il modus operandi degli investigatori locali chiedendo, in tesi, la verbalizzazione di quanto da essi informalmente raccolto, tanto meno nei modi e nelle forme prescritte dalla legge italiana, evidentemente difformi rispetto alle procedure d’inchiesta locali».

Im altri termini, «deve escludersi che il Colonnello abbia eluso l’obbligo di verbalizzazione previsto ex lege per le dichiarazioni rese da persone informate sui fatti, trattandosi di comportamento da lui “non ragionevolmente esigibile in relazione alle circostanze del caso concreto”».

La Corte di Assise conclude precisando che «la testimonianza indiretta dell’operante di P.G. non risulta surrogatoria o sostitutiva rispetto all’escussione del testimone diretto che ha rilasciato dichiarazioni, ma assurge piuttosto ad elemento essenziale ai fini illustrativi dell’attività di indagine, per arricchire e completare il quadro dei dati probatori acquisiti in dibattimento».

Redazione Giurisprudenza Penale

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