Alta moda e agevolazione colposa del caporalato: un nuovo caso di amministrazione giudiziaria da parte del Tribunale di Milano
Tribunale di Milano, Sezione Autonoma Misure di Prevenzione, decreto, 6 giugno 2024
Presidente dott.ssa Paola Pendino, Estensore dott.ssa Giulia Cucciniello
1. Segnaliamo ai lettori, in tema di misure di prevenzione, il decreto con cui il Tribunale di Milano, in un recente caso di cronaca relativo al settore dell’alta moda, è tornato sui profili della cd. agevolazione colposa ai fini della applicazione della misura della amministrazione giudiziaria ex art. 34 D.Lvo 159/2011.
Il decreto segue due analoghi provvedimenti – anche questi emessi nei confronti di aziende operanti nel settore dell’alta moda – emessi nei mesi di aprile 2024 (caso Armani) e gennaio 2024 (caso Alviero Martini).
2. I giudici hanno preso le mosse ricordando come, «sul piano del profilo soggettivo richiesto per l’applicazione della misura di prevenzione ex art 34 è stato ritenuto proprio da questo Tribunale (T Milano, 23.06.2016, Nolostand spa) che il soggetto terzo (nel caso concreto una persona giuridica, la cui manifestazione agevolatrice deve ovviamente essere letta alla luce dei comportamenti posti in essere dalle persone fisiche dotate di potere di decisione, rappresentanza e controllo) debba porre in essere una condotta censurabile quantomeno su un piano di rimproverabilità “colposa”, quindi negligente, imprudente o imperita, senza che ovviamente la manifestazione attinga il profilo della consapevolezza piena della relazione di agevolazione».
Secondo il Tribunale, «la necessità di individuare un perimetro di censurabilità del comportamento del terzo agevolatore – perimetro che necessariamente deve rimanere nell’ambito del rimprovero colposo sconfinandosi, in ipotesi di condotte dolosamente orientate a favorire l’espansione della economia illegale, in fattispecie di natura concorsuali o comunque di favoreggiamento all’attività criminale – risiede in una lettura costituzionalmente orientata del presupposto applicativo della misura di prevenzione la quale tende a comprimere comunque il fondamentale diritto alla libertà di impresa costituzionalmente garantito, e ciò con particolare riferimento alla decisione della Corte costituzionale che con la sentenza del 29.11.1995, n. 487 aveva, in tema di valutazione dell’istituto allora denominato sospensione temporanea, evidenziato come non si potesse comprimere il libero esercizio dell’attività imprenditoriale in presenza di un regime di “sostanziale incolpevolezza”».
Nella richiesta della Procura – si legge nel decreto – «è rappresentato che i grandi marchi mostrano un sistema di internal audit fallace, con ciò integrando i presupposti di cui all’art. 34 D.L.vo 159/2011, atteso che tali carenze organizzative e tali mancati controlli agevolano (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di cui all’art. 603 bis c.p.».
In questa situazione – osservava sempre l’organo proponente – «i brand della moda, nel momento in cui si avvalgono, attraverso contratti di sub appalto, di soggetti che sono dediti ad un pesante sfruttamento lavorativo integrano la condotta agevolatoria di cui all’art. 34 D.L. vo 159/2011, essendo emersa, nel corso delle indagini, una prassi illecita così radicata e collaudata, da poter essere considerata inserita in una più ampia politica d’impresa esclusivamente diretta all’aumento del profitto, non apparendo le condotte investigate frutto di iniziative estemporanee ed isolate di singoli, ma di un’illecita politica di impresa».
In altri termini, ad avviso della Procura, si dà così vita «ad un processo di decoupling organizzativo (letteralmente: “disaccoppiamento”), in forza del quale, in parallelo alla struttura formale dell’organizzazione volta a rispettare le regole istituzionali, si sviluppa un’altra struttura, “informale”, volta a seguire le regole dell’efficienza e del risultato. In questo modo, la costante e sistematica violazione delle regole genera la normalizzazione della devianza, in un contesto dove le irregolarità e le pratiche illecite vengono accettate ed in qualche modo promosse, in quanto considerate normali»
In queste situazioni – concludeva la richiesta – «unico strumento per far cessare questa situazione, in un ‘ottica di interventi proporzionali, è una “moderna messa alla prova aziendale” (Cass. 9122/2021) finalizzata ad affrancare l’impresa da relazioni (interne ed esterne) patologiche».
3. Dopo aver riepilogato i profili di diritto e gli elementi emersi in merito allo sfruttamento dei lavoratori, il Tribunale ha evidenziato come «tale meccanismo sia stato colposamente alimentato dalla società, la quale non ha verificato la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatrici, alle quali affidare la produzione e non ha nel corso degli anni eseguito efficaci ispezioni o audit per appurare in concreto le effettive condizioni lavorative e gli ambienti di lavoro».
I modelli organizzativi e gestionali della società – si legge nel provvedimento – «almeno allo stato si sono nel concreto rivelati inadeguati» e a differenti considerazioni «non può indurre l’unico audit del 2023 (risultante dagli atti) nei confronti della fornitrice, con richiesta di documenti, controllo che in verità, appare più formale che sostanziale in relazione alla concreta verifica della capacità produttiva dell’azienda e delle condizioni lavorative degli operai».
Il Tribunale prosegue osservando che «la condotta agevolatoria in esame – in quanto connessa in modo strutturale ed endemico all’organizzazione della produzione da parte della società, nonché funzionale a realizzare una massimizzazione dei profitti, anche a costo di instaurare stabili rapporti con soggetti dediti allo sfruttamento dei lavoratori – si presenta come condotta stabile e perdurante nel tempo, integrando appieno il presupposto indicato dalla norma».
In altre parole, è fuor di dubbio che la società «non abbia effettivamente controllato la catena produttiva, verificando la reale capacità imprenditoriale delle società con le quali stipulare i contratti di fornitura e le concrete modalità di produzione dalle stesse adottate, omettendo di assumere tempestive ed adeguate iniziative di reale verifica della filiera dei sub-appalti, sino alla rescissione dei legami commerciali, con ciò realizzandosi, quantomeno sul piano di rimprovero colposo determinato dall’inerzia della società, quella condotta agevolatrice richiesta dalla fattispecie ex art. 34 D.Lvo 159/2011 per l’applicazione della misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria».
In definitiva, «i controlli e le iniziative, anche da ultimo, assunti dalla società, almeno allo stato, sembrano più formali che sostanziali, avuto riguardo alla tipologia ed alle tempistiche degli stessi» e ciò senza contare che «il sistema descritto – che ha, all’evidenza, l’obbiettivo dell’abbattimento dei costi e della massimizzazione dei profitti attraverso l’elusione delle norme penali e giuslavoristiche – è stato perpetrato nel tempo».
4. Quanto alle concrete modalità esecutive della misura, il Tribunale ha evidenziato che, «procedendosi nei confronti di un’impresa pienamente operativa, rappresentativa dei cd. brand della moda di lusso, svolgente la propria attività esclusivamente per un gruppo con sede a Parigi, ed avente rilevanti dimensioni, in applicazione del principio guida di proporzionalità, possa modularsi la misura in modo sì da assicurare il controllo da parte del Tribunale sugli organi gestori – per esempio, per sostituire i componenti della governance e degli organi di controllo, ove necessario, e per adeguare i presidi di controllo interno -, ma lasciando il normale esercizio di impresa in capo agli organi di amministrazione societaria».
Alla luce di ciò, il Tribunale ha stabilito che «l’intervento dell’amministratore, ove possibile d’intesa con gli organi amministrativi della società, dovrà essere finalizzato, secondo le attività specificatamente riportate nella parte dispositiva, dovrà essere finalizzato a:
– analizzare i rapporti con le imprese fornitrici in corso in modo da evitare che la filiera produttiva si articoli attraverso appalti e sub appalti con realtà imprenditoriali che adottino le illecite condizioni di sfruttamento dei lavoratori di cui all’art. 603 bis c.p. ed a rimuovere, ove necessario, i rapporti contrattuali tuttora in essere con soggetti direttamente o indirettamente collegati a tali realtà imprenditoriali;
– adottare un modello organizzativo previsto dal D. Lvo 231/2001 idoneo per prevenire fattispecie di reato di cui all’art. 603 bis c.p.;
– a rafforzare i presidi di controllo interno e quelli relativi alle verifiche reputazionali dei fornitori dell’azienda».
5. Da ultimo, il Tribunale si è soffermato sulla memoria difensiva depositata dalla stessa società destinataria della misura aveva – solo pochi giorni prima – nell’ambito dei lavori attivati dal Prefetto di Milano con il Tavolo Tecnico, costituito in data 8 maggio 2024, finalizzato alla promozione della collaborazione tra le imprese del settore nel contrasto al “caporalato”.
Tale iniziativa – descrittiva dei modelli organizzativi e gestionali e del percorso avviato “motu proprio” dalla società – ad avviso del Tribunale «è certamente apprezzabile e significativamente orientata alla risoluzione delle criticità riscontrate, ma necessita, tuttavia, di essere validata dal Tribunale con l’apporto dell’Amministratore Giudiziario nominato, dell’Organo Proponente e della stessa società in contraddittorio ed alla luce della situazione che sarà concretamente rilevata al momento dell’esecuzione della misura».