ARTICOLIDIRITTO PENALEIN PRIMO PIANO

Caso Bozzoli: la sentenza della Corte di Assise di Brescia

Corte di Assise di Brescia, Sezione I, 12 dicembre 2022 (ud. 30 settembre 2022), n. 5
Presidente estensore dott. Roberto Spanò

Pubblichiamo, con riferimento al procedimento per la morte di Mario Bozzoli, le motivazioni della sentenza con cui la Corte di Assise di Brescia, il 30 settembre 2022, aveva condannato Giacomo Bozzoli – nipote della vittima – all’ergastolo (recentemente confermato dalla Corte di cassazione).

In merito al tema della colpevolezza e del ruolo delle prove indiziarie, nella sentenza si legge che, «nel giustificare il convincimento raggiunto “al di là di ogni ragionevole dubbio” circa la responsabilità dell’imputato, si è operato il riassetto del puzzle processuale attraverso un’attenta cernita dei vari tasselli probatori attendibili e la loro successiva sistemazione ragionata entro uno schema razionale e plausibile, tenendo conto, al contempo, dell’habitat di riferimento nonché delle dinamiche ed interazioni dei soggetti che l’hanno popolato».

La valutazione di questi ultimi è avvenuta – afferma la Corte di Assise – «secondo i dettami fissati dalla Suprema Corte, mediante un procedimento bifasico».

Dapprima è stata, infatti, «compiuta l’analisi parcellizzata dei dati a disposizione onde operare il vaglio di precisione e gravità rispetto ad ogni circostanza singolarmente considerata, al fine di saggiarne il fondamento e la valenza dimostrativa» e, nel fare ciò, «sono stati espunti molti degli elementi raccolti “a strascico” dalla Pubblica Accusa, basati su ipotesi manifestamente infondate, malferme e/o suggestive», non potendosi sottacersi, al riguardo, «l’influenza negativa esercitata dalla sovraesposizione mediatica sull’indagine in corso».

Secondo la Corte, «il clamore suscitato dalla notizia della scomparsa di Mario Bozzoli nella ristretta comunità di riferimento e nella cerchia dei conoscenti ha, infatti, alimentato una certa tendenza al sensazionalismo e, con essa, il desiderio da parte di molti di ritagliarsi a vario titolo uno spazio di visibilità. Si è così assistito ad una dilatazione dell’attività investigativa, divenuta ipertrofica anche a fronte della scelta di “saturare” ogni spunto astrattamente esplorabile. In tal modo, parte dello sforzo degli inquirenti è stato spesso dissipato nella raccolta di elementi infruttuosi, che hanno dato vita ad un crogiolo di materiale frammentario in cui sono confluiti “chiacchiericci”, “congetture”, “pourparler”, “stupidaggini tra amici”, cattivi ricordi, rancori, verità sussurrate a mezza voce, rigurgiti di coscienza ad effetto ritardato, improbabili avvistamenti ed abbagli acustici».

La Corte – si legge nella pronuncia – «ha prestato la massima attenzione, sia nella fase istruttoria che in quella del giudizio, a isolare gli elementi affidabili e a ripulire il processo da quelli impregnati da contaminazione ambientale, ma l’operazione non si è dimostrata agevole data la difficoltà di districarsi tra tasselli ingannevoli, reticenze e ritrattazioni seriali».

Terminata l’opera di selezione – prosegue la sentenza – «si è infine proceduto a compiere un esame globale dei soli elementi affidabili, non riducendo la loro efficacia dimostrativa ad una mera sommatoria aritmetica, ma cercando di coglierne le interconnessioni mediante un moltiplicatore geometrico in grado di misurarne la effettiva valenza probatoria nel quadro di un giudizio d’insieme».

In punto di diritto – in tema di ragionevole dubbio – si legge nella sentenza che «la regola di giudizio fissata dall’art. 533 c.p.p. va ovviamente coordinata con quella contemplata nell’art. 192 c.p.p., non potendo sostenersi che il richiamo codicistico al principio del “ragionevole dubbio” abbia implicitamente estromesso gli indizi dal novero degli elementi probatori suscettibili di fondare legittimamente una affermazione di responsabilità penale».

Del resto – si prosegue – «il legislatore non ha inteso introdurre alcuna gerarchia o valenza privilegiata tra le diverse acquisizioni probatorie, ma unicamente indicare il metodo del percorso interpretativo ed argomentativo, poiché la prova logica non differisce quanto ad affidabilità dalla prova storica, che richiede anch’essa, a propria volta, un attento scrutinio ed un approccio critico».

Tra le particolarità della vicenda, segnaliamo anche l’esperimento giudiziale – avente ad oggetto il tema degli effetti derivanti dall’inserimento di un corpo umano all’interno di un forno – realizzato, in scala ridotta, utilizzando un maiale di 13 kg (deceduto per cause naturali e fornito dall’istituto Zooprofilattico di Brescia).

Nonostante alcune perplessità manifestate inizialmente da alcuni consulenti, la Corte di Assise «ha inteso cogliere l’opportunità di verificare direttamente nella sede processuale se la dispersione nell’ambiente dell’odore di carne bruciata potesse avere effettivamente le caratteristiche – quanto ad intensità e persistenza nell’ambiente – descritte dai consulenti e, inoltre, se in ipotesi la fumata potesse essere stata provocata dalla combustione della materia organica e non invece dai vestiti».

A tal proposito, tra i quesiti posti ai periti vi erano anche i seguenti: i) «dica, attenendosi alle proprie competenze medico-legali – ove non ritenga sussistente il pericolo di esplosioni tali da porre a repentaglio l’incolumità di soggetti terzi – se il compimento di un esperimento giudiziale possa ritenersi rilevante ai fini delle risposte ai quesiti così come sopra formulati»; ii) «quale sia, in tal caso, l’animale idoneo a riprodurre con il maggior grado di similitudine gli effetti termici propri del contatto di un bagno di metallo fuso con un cadavere umano».

Secondo i giudici, la perizia avvalorata dall’esito dell’esperimento giudiziale avvenuto alla presenza della Corte e delle parti processuali – contraddicendo le argomentazioni spese dai consulenti dell’accusa e della difesa – «ha dimostrato che il corpo di Mario Bozzoli può essere stato distrutto nel forno e che, in tal caso, non si sarebbero verificate esplosioni, nemmeno di minima portata, né dispersioni di odore destinato a persistere nell’ambiente».

Redazione Giurisprudenza Penale

Per qualsiasi informazione: redazione@giurisprudenzapenale.com