Vicenda Toti: il parere del Prof. Cassese sui “criteri da seguire, a norma delle prescrizioni costituzionali, nell’adozione di misure cautelari a carico di esercenti funzioni pubbliche, titolari di cariche elettive”
Segnaliamo ai lettori, con riferimento al procedimento penale che vede indagato e sottoposto alla misura degli arresti domiciliari il Presidente della Giunta regionale della Liguria, Giovanni Toti, il parere reso dal Prof. Sabino Cassese – e allegato, dalla difesa, alla richiesta di revoca della misura – sui «criteri da seguire, a norma delle prescrizioni costituzionali, nell’adozione di misure cautelari a carico di esercenti funzioni pubbliche, titolari di cariche elettive».
L’ufficio del GIP – si legge nel parere – ha adottato, in data 14 giugno 2024, un’ordinanza di rigetto di istanza di revoca o graduazione di misure cautelari così motivata: «Ritenuto che pertanto la misura in corso, tenuto conto altresì del breve tempo decorso dalla sua applicazione (poco più di un mese) appare proporzionata alla gravità dei fatti e adeguata in relazione al grado elevato di esigenze cautelari da soddisfare. Ciò, in particolare, anche considerando che, da un lato, l’applicazione di una misura di tipo interdittivo, quale quella della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, è preclusa dal divieto previsto dal terzo comma dell’art. 289 co. 3 cpp, che statuisce che “la misura non si applica agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare” (quale quello ricoperto dal Presidente della Regione Liguria); dall’altro l’applicazione di misure cautelari meno afflittive appaiono, allo stato, del tutto inadeguate rispetto alle esigenze cautelari tuttora presenti. Ritenuto pertanto che la misura in corso appare proporzionata alla gravità dei fatti e adeguata in relazione al grado di esigenze cautelari da soddisfare».
La decisione – prosegue il Prof. Cassese – «è stata raggiunta considerando soltanto il rapporto tra gravità dei fatti e esigenze di cautela, aspetti interni alla procedura, senza considerare altri aspetti».
Nell’affermare tale principio, nel parere viene richiamata due sentenze della Corte costituzionale:
– la numero 230 del 2021, secondo cui «non sarebbero bilanciati correttamente gli interessi in gioco, in particolare quello (tutelato dall’art. 97 Cost.) al buon andamento dell’azione amministrativa e quelli contrapposti (tutelati dagli artt. 48 e 51 Cost.) dell’eletto al mantenimento della carica e degli elettori alla continuazione della funzione da parte del cittadino da essi democraticamente scelto, nonché il principio di non colpevolezza sino alla condanna definitiva (art. 27 Cost.)»;
– la numero 206 del 1999, nella quale si afferma che «una misura cautelare, proprio perché tale, e cioè tendente a proteggere un interesse nell’attesa di un successivo accertamento (nella specie giudiziale), deve per sua natura essere contenuta nei limiti di durata strettamente indispensabili per la protezione di quell’interesse e non deve essere tale da gravare eccessivamente sui diritti che essa provvisoriamente comprime. Se eccede da tali limiti, è suscettibile di una valutazione di illegittimità costituzionale per l’ingiustificato sacrificio, che essa comporta, dei diritti del singolo».
Dunque, se, da una parte, «non vi è dubbio che il grado di afflittività delle misure cautelari debba essere proporzionato alla gravità dei fatti e al principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, non vi è anche dubbio che vi siano altri elementi con i quali il tipo di misura cautelare debba essere bilanciato» e tra questi vi è anche quello relativo alle conseguenze della misura disposta, innanzitutto, sul buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.)
La varietà dei compiti, attinenti alle funzioni legislativa e amministrativa, oltre che ai rapporti con altri soggetti, nazionali e transnazionali, «richiede una continuità delle varie attività del Presidente, attività che implicano la presenza, e alle quali il vicario può supplire solo temporaneamente, ciò che vuol dire per una durata limitata di tempo (ipotesi che non si verifica nel caso di specie, in quanto la contestata misura cautelare è stata eseguita il 7 maggio 2024, e quindi da essa sono già trascorsi quasi due mesi)».
Ciò premesso, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale – prosegue il parere – «la misura adottata non risponde al criterio della ragionevolezza e proporzionalità desunto dal giudice costituzionale dall’articolo 3 della Costituzione e, quindi, la misura cautelare adottata appare per questo motivo irragionevole, dovendo necessariamente il giudice rispettare l’obbligo di operare una ponderazione tra la gravità del reato, l’esigenza di continuità del funzionamento degli apparati pubblici, il rispetto della volontà popolare esercitata attraverso le elezioni e i diritti dei terzi che rimarrebbero coinvolti dalle eventuali dimissioni rese necessarie per il carattere non temporaneo dell’assenza del titolare di un organo di vertice della regione, che gli impedisce lo svolgimento delle funzioni pubbliche di cui è investito».
Tali conclusioni risulterebbero avvalorate dall’art. 48 comma 4 Cost. – secondo il quale “il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge” – interpretato dalla Corte costituzionale nel senso che esso «provvede a una tutela non solo dell’elettorato attivo, ma anche di quello passivo», il quale deve essere letto in combinato disposto con l’art. 289 comma 3 c.p.p., secondo cui la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio “non si applica agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare”.
Questa conclusione, «raggiunta dalla Corte costituzionale e dal legislatore per quanto riguarda le misure interdittive, si estende alle misure cautelari che producono lo stesso effetto delle misure interdittive per il principio che ciò che non può essere fatto direttamente non può essere fatto neppure indirettamente».
Le considerazioni svolte – conclude il parere – «suggeriscono che il Tribunale di Genova, Sezione per il riesame, in sede di appello avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza di revoca o modifica della misura cautelare ai sensi dell’art. 310 c.p.p. provveda alla ponderazione dei diversi elementi indicati, che vanno ad aggiungersi a quello della gravità del reato, che attiene all’esigenza di giustizia: il buon andamento della pubblica amministrazione, che richiede di assicurare la continuità dell’azione amministrativa; l’investitura popolare, che impone di considerare il rispetto delle scelte compiute dall’elettorato; lo “ius in officio” di terzi che hanno una situazione giuridica attiva a mantenere l’ufficio. Qualora questi elementi non vengano presi in considerazione, resta alla parte che lamenta la violazione delle norme costituzionali di promuovere o provocare un giudizio di costituzionalità in via principale o in via incidentale».