Caso Pifferi: le motivazioni della Corte di Assise di Milano
Corte di Assise di Milano, 9 agosto 2024 (ud. 13 maggio 2024), n. 2
Presidente dott. Mannucci Pacini, Relatore dott. Santangelo
Segnaliamo ai lettori, in considerazione dell’interesse mediatico della vicenda, il deposito delle motivazioni della sentenza con cui la Corte di Assise di Milano ha condannato Alessia Pifferi alla pena dell’ergastolo per aver cagionato la morte della figlia Diana.
In punto di diritto, i giudici hanno ricordato che “il delitto di abbandono di minore seguito da morte ex art. 591 co. 1 e 3 c.p. – invocato dalla difesa in sede di arringa conclusiva – si distingue da quello di omicidio per il diverso elemento psicologico: nel primo caso, l’elemento soggettivo è costituito dalla coscienza di abbandonare la persona minore, o incapace, con la consapevolezza del pericolo inerente all’incolumità fisica della stessa con l’instaurarsi di una situazione di pericolo, sia pure potenziale; nella seconda ipotesi è invece necessario che il soggetto compia la condotta vietata, nella specie omissiva, con la volontà e la consapevolezza di cagionare la morte del soggetto passivo, ovvero che tale evento si rappresenti come probabile o possibile conseguenza del suo operare, accettando il rischio implicito del suo verificarsi“.
Ciò chiarito, la Corte di Assise ha anche ricordato che “in tema di dolo, per costante orientamento della Corte di legittimità, la prova della volontà di commissione del reato è prevalentemente affidata, in mancanza di confessione, alla ricerca delle concrete circostanze che abbiano connotato l’azione e delle quali deve essere verificata l’oggettiva idoneità a cagionare l’evento in base ad elementi di sicuro valore sintomatico, valutati sia singolarmente sia nella loro coordinazione“.
Ebbene – si legge nella sentenza – “se lo stesso P.M., in sede di requisitoria, dava atto, secondo prospettazione affatto condivisibile, che l’istruttoria dibattimentale non aveva comprovato un dolo diretto intenzionale a carico della Pifferi, non essendo emerso che la volontà ultima dell’imputata fosse quella di uccidere la figlia, reputa la Corte che le risultanze agli atti non abbiano nemmeno comprovato una condotta omissiva connotata dalla certa, o quasi certa, previsione da parte della Pifferi, quale esito della propria condotta di abbandono, dell’evento morte“.
Le Sezioni Unite hanno chiarito – prosegue la pronuncia – “che anche per la configurabilità del solo dolo eventuale occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa, precisando che a tal fine l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire l’ “iter” e l’esito del processo decisionale, deve fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell’agente; c) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione“.
In conclusione, secondo la Corte “deve attribuirsi alla Pifferi, con ragionevole certezza, la concreta previsione dell’evento morte della figlia, benché accadimento non intenzionalmente e direttamente voluto, proprio sulla base dell’analisi della sua condotta e delle sue stesse dichiarazioni, dalle quali si evince la ravvisabilità di tutti gli elementi sintomatici del dolo eventuale richiamati dalla Corte di legittimità“.
Quanto alla aggravante della premeditazione, la stessa “non è conciliabile con il dolo eventuale in quanto, se la premeditazione consiste in un’intensa volizione del risultato della condotta, non ne risulta la compatibilità con una situazione psicologica “piuttosto vaga”, caratterizzata dalla accettazione del rischio del prodursi dell’evento“.