CONTRIBUTIDiritto Penitenziario

Condizioni minime di detenzione e spazio personale: la giurisprudenza interna alla luce dei parametri CEDU

in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 9 – ISSN 2499-846X

Tribunale di Sorveglianza di Bologna, Ordinanza, 16 maggio 2024
Presidente dott.ssa Mirandola, Relatore dott. Romano, Giudici dott.ssa Di Paolo – dott.ssa Tolve

L’ordinanza n. 1819 emessa in data 16.5.2024 dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna a seguito di reclamo ex art. 35ter o.p. rappresenta un provvedimento innovativo e tale da consentire la riapertura del dibattito sulla effettiva estensione del disposto di cui all’art. 3 CEDU in materia di condizioni minime di detenzione.

Nonostante il rigetto per motivi di merito, è interessante cimentarsi nella lettura dell’ordinanza, in quanto la stessa evidenzia come la giurisprudenza interna – diversamente da quella dei giudici di Strasburgo – nell’accertare le violazioni del predetto articolo, in alcuni casi risulta essere eccessivamente ancorata al mero dato metrico (3 mq per detenuto) e poco accorta agli ulteriori profili di rilievo quali, per esempio, le condizioni igieniche all’interno della cella.

In particolare, le doglianze difensive a fondamento del reclamo ex art. 35ter o.p. hanno riguardato l’erronea applicazione da parte del giudice di prime cure dei canoni ermeneutici di tale istituto in punto di determinazione dello spazio personale (c.d. personal space) e di libero movimento (c.d. floor space), non avendo – l’Ufficio di Sorveglianza di Reggio Emilia – scomputato dallo spazio disponibile della cella, quello occupato dal letto singolo amovibile.

Con tale pronuncia, a prescindere dall’esito del reclamo ex art. 35ter o.p., il Tribunale di Sorveglianza di Bologna ha analizzato minuziosamente la giurisprudenza interna, evidenziato il contrasto ermeneutico venutosi a creare all’interno della Corte di Cassazione a seguito delle SS.UU. Commisso del 29.4.2021 n.6551, in punto trattamento del letto singolo nella determinazione dello spazio personale ai sensi dell’art. 35ter o.p.

La citata sentenza delle Sezioni Unite, infatti, al fine di risolvere un precedente e annoso contrasto giurisprudenziale, ha stabilito il principio di diritto secondo cui, per determinare lo spazio pro capite disponibile in cella, tenuto conto dei criteri affermati dalla giurisprudenza della Corte EDU, debbano scomputarsi dal calcolo dell’area occupata gli arredi “tendenzialmente fissi” quali il letto a castello e i mobili pesanti.

All’indomani di tale pronuncia, sul tema si sono venuti a creare due antitetici filoni giurisprudenziali interni. Un primo orientamento ha incluso lo spazio occupato dal letto singolo in quello fruibile all’interno della camera detentiva; un secondo e contrapposto indirizzo, viceversa, ha ritenuto che lo spazio occupato dal letto singolo vada rimosso dal calcolo della superficie disponibile, ritenendo che il principio di diritto espresso dalle SS.UU. Commisso imponga la detrazione di tutti gli arredi capaci di ostacolare in via sostanzialmente permanente il libero movimento e di ridurre la c.d. floor surface.

Quanto al criterio di calcolo dello spazio personale all’interno della cella, la giurisprudenza della Corte EDU risulta essere consolidata, avendo fatto proprio il sistema accolto dal Comitato per la Prevenzione della Tortura – CTP, secondo cui l’area va calcolata al netto del bagno, ma al lordo degli arredi, per poi essere divisa per il numero dei ristretti. La Corte, però, precisa che va verificata in ogni caso l’incidenza dello spazio occupato dal mobilio sulla possibilità di muoversi e circolare all’interno della cella.

Ed è proprio su tale criterio di calcolo che nella giurisprudenza interna alla Corte di Cassazione si è creato un contrasto circa la necessità, o meno, di scomputare in fase di determinazione dello spazio pro capite l’area occupata dagli arredi “tendenzialmente fissi” tra cui i letti e gli armadi.

Ancora, le SS.UU. Commisso per sostenere la propria interpretazione fanno leva sull’etimologia del francese meubles, mobili in italiano, che secondo gli Ermellini indicherebbe solo gli arredi che si possono agevolmente spostare. Pertanto, laddove la Corte EDU indica che nella determinazione dello spazio pro capite all’interno di una cella con più occupanti non deve tenersi conto dello spazio occupato dai mobili, è solo a tali elementi di arredo che la stessa si riferisce; viceversa, gli arredi fissi o non movimentabili devono essere computati quale estensione delle pareti e, dunque, detratti dall’area disponibile ai detenuti.

Il Collegio di Bologna, alla luce dell’ondivaga giurisprudenza degli Ermellini, ha evidenziato come entrambe le prospettive ermeneutiche siano frutto di una premessa maggiore erronea, che trae origine dal fraintendimento – da parte della giurisprudenza interna – delle regole di giudizio espresse dalla Corte EDU in materia di violazione dell’art. 3 CEDU.

Segnatamente, il Tribunale di Sorveglianza felsineo nell’ordinanza in commento si è soffermato sull’erronea sovrapposizione operata dalle SS.UU. Commisso circa le nozioni di spazio personale (c.d. personal space, floor area per inmate, floor space per inmate etc.) e spazio di libero movimento (c.d. available floor space, floor space to pace out the cell etc.) all’interno della cella, che pone il metodo di calcolo adottato dalla giurisprudenza degli Ermellini in netto contrasto con le regole di giudizio coniate dalla Corte EDU.

Lo spazio personale, come anticipato, è quello su cui la Corte di Strasburgo ha stabilito le regole di giudizio; lo spazio di libero movimento, invece, dovrebbe rappresentare il criterio suppletivo concreto circa la vivibilità della cella. Da ciò ne consegue che nell’eventualità in cui lo spazio personale del detenuto sia prossimo al limite minimo indicato dalla Corte EDU (3 mq), laddove la cella fosse equipaggiata di arredi sovrabbondanti o che ostacolano l’agevole circolazione, il rispetto del parametro convenzionale sarebbe meramente astratto.

E dunque, se da un lato gli Ermellini contrappongono i due concetti di spazio personale e spazio di libero movimento ritenendo di dover scomputare, dallo spazio della cella, gli arredi “tendenzialmente fissi”, dall’altro la Corte EDU, che non considera, invece, l’ingombro degli arredi, valorizza la realtà detentiva effettivamente sperimentata dal ricorrente.

In particolare, in materia di violazione dell’art. 3 CEDU per insufficiente spazio personale derivante da sovraffollamento carcerario, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna evidenzia come la Corte nelle proprie pronunce, sebbene abbia fatto riferimento a un parametro orientativo di 3 mq per detenuto (discostandosi dai parametri del Comitato per la Prevenzione della Tortura – CTP), ha più volte esortato all’adozione di un approccio non esclusivamente matematico, bensì complessivo, vale a dire considerevole anche della più ampia e complessa realtà vissuta dal detenuto (vedasi Grand Chamber, Case of Muršić v. Croatia, 20.10.2016, sentenza di raccordo tra i diversi orientamenti emersi in seno alla Corte EDU negli anni precedenti, sul punto si veda anche L. Frabboni, Trattamento inumano o degradante nella detenzione: calcolo dello spazio minimo pro capite e fattori compensativi della strong presumption di violazione dell’art. 3 CEDU. La parola alle Sezioni Unite, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 7-8).

Pertanto, a parere del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, l’opzione ermeneutica espressa dalle SS.UU. Commisso non è sostenibile, soprattutto alla luce dei nitidi confini e criteri delineati dalla giurisprudenza EDU e delle premesse degli stessi Ermellini, ossia la necessità che l’interprete si attenda a quanto enunciato dalla Corte di Strasburgo nella propria consolidata giurisprudenza.

Da ultimo, il Tribunale bolognese osserva come l’interpretazione delle SS.UU. Commisso, sebbene sia senz’altro quella che assicura la più ampia tutela possibile ai diritti delle persone ristrette, non convince appieno; non solo, lo strumento giuridico del reclamo ex art. 35ter o.p. appare inidoneo o comunque insufficiente allo scopo, essendo una tutela di tipo indennitario – risarcitoria che interviene quando ormai la lesione si è già prodotta, offrendo un esiguo ristoro rispetto alla violazione di un diritto fondamentale che sarebbe da considerare assoluto.

Il dubbio interpretativo espresso dalle SS.UU. Commisso, dunque, non sembrerebbe sussistere, considerato che dalla disamina di più sentenze della Corte EDU emerge chiaramente come i giudici di Strasburgo abbiano accolto la nozione di spazio personale al netto del bagno e al lordo del mobilio, secondo le indicazioni del CPT.

Come citare il contributo in una bibliografia:
A. Filisetti, Condizioni minime di detenzione e spazio personale: la giurisprudenza interna alla luce dei parametri CEDU, in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 9