Permessi premio e “ostatività biennale” di cui all’art. 30-ter comma 5 O.P.: sollevata questione di legittimità costituzionale
Magistrato di Sorveglianza di Spoleto, Ordinanza, 3 luglio 2024
Giudice dott. Fabio Gianfilippi
Segnaliamo l’ordinanza con cui è stata sollevata questione di legittimità costituzionale, per violazione degli articoli 3, 27, comma 2 e 3, e 117 della Costituzione (quest’ultimo con riferimento agli articoli 6 CEDU e 48 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) dell’art. 30-ter, comma 5, O.P. nella parte in cui prevede che nei confronti dei soggetti che durante l’espiazione della pena o delle misure restrittive hanno riportato condanna o sono imputati per delitto doloso commesso durante l’espiazione della pena o l’esecuzione di una misura restrittiva della libertà personale, la concessione è ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del fatto.
In via gradata, è stata dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30-ter, comma 5, O.P. nella parte in cui prevede che, non soltanto nei confronti dei soggetti che durante l’espiazione della pena o delle misure restrittive hanno riportato condanna per delitto doloso commesso durante l’espiazione della pena o l’esecuzione di una misura restrittiva della libertà personale, la concessione è ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del fatto, ma anche nei confronti di chi sia soltanto imputato per delitto doloso commesso durante l’espiazione della pena o l’esecuzione di una misura restrittiva della libertà personale, per violazione degli articoli 3, 27, comma 2 e 3, e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 6 CEDU e 48 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
La ratio della norma – si legge nell’ordinanza – «appare all’evidenza, come in altre simili previsioni nella legge penitenziaria, nella volontà di sanzionare una scarsa affidabilità dimostrata dal condannato, derivandone una vera e propria “presunzione assoluta di temporanea inidoneità“; si tratta, dunque, di una preclusione che, delimitata nel tempo, appare però assoluta ed invincibile, pur a fronte di qualsiasi progresso in concreto compiuto dal condannato nel corso dell’ulteriore periodo detentivo vissuto sino al momento della valutazione, e senza chuee possa rilevare una delibazione relativa alla concreta gravità del fatto di cui l’interessato risulta imputato, per come allo stato evincibile dagli atti».
Ritiene il magistrato di sorveglianza – prosegue il provvedimento – «che sussista un profilo di irragionevolezza nella previsione della ostatività biennale, collegata ad una istanza di permesso premio, nei confronti del condannato che riveste anche la qualità di imputato per un fatto commesso nel corso dell’esecuzione penale, laddove in tutte le altre disposizioni astrattamente a lui applicabili per la tipologia di reati che ha commesso, viene dato rilievo negativo dirimente ad eventuali fattispecie di reato sopravvenuto, soltanto laddove le stesse abbiano superato il vaglio del passaggio in giudicato della condanna».
Si tratta poi di «una previsione che irragionevolmente equipara la condizione di chi è imputato a quella di chi ha visto la propria posizione valutata in via definitiva, così ponendosi in contrasto con il disposto dell’art. 27, comma 2 della Costituzione e, per il tramite dell’art. 117 della Costituzione, con le previsioni di cui all’art. 6 CEDU e 48 Carta di Nizza, che prevedono che l’imputato non sia considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Nel caso dell’imputato può mancare del tutto il vaglio del giudice (a prescindere da ogni pur dovuta valutazione da parte del pubblico ministero in ordine alla probabilità di una condanna), anche circa l’esistenza di eventuali giustificati motivi per l’agire di cui si è imputati, o di altre circostanze esimenti, e comunque difetta la stabilità del giudizio garantita per il condannato in via definitiva, e tutto questo per un tempo che può consumare (e normalmente consuma) anche interamente il biennio di ostatività, prima che si sia giunti, a causa della ordinaria durata dei processi penali, alla sentenza definitiva».