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Processo Ilva: la sentenza di primo grado sulle eccezioni di incompetenza funzionale ex art. 11 c.p.p.

Segnaliamo ai lettori, con riferimento al processo Ilva – su cui la stampa ha dato ieri la notizia dell’annullamento della sentenza di primo grado da parte dei giudici di appello – un estratto della sentenza con cui la Corte di Assise di Taranto si era pronunciata sulle eccezioni sollevate in merito alla ritenuta incompetenza funzionale ex art. 11 c.p.p.  (eccezioni fondate sia sulla presenza di due giudici di pace tarantini tra le parti civili, sia sull’argomento secondo cui gli stessi magistrati dovevano essere considerati persone offese e/o danneggiate).

Le difese – si legge nella sentenza di primo grado – «si sono profuse in analisi concrete e documentate con riferimento a numerosi magistrati tarantini che devono considerarsi persone danneggiate da reato rispetto alle concrete contestazioni mosse dal P.M. e che, quindi, legittimano il ricorso alla regola eccezionale di individuazione del giudice competente ex art. 11 c.p.p.»

In altri termini, «ad avviso delle difese eccepenti, in base alle imputazioni mosse in concreto (sia disastro innominato che danneggiamento aggravato) ed in base alla indicazione già fornita dalla medesima Corte in occasione della deliberazione sulla legittimazione alla costituzione di parte civile, è sufficiente essere residenti in modo formale o di fatto in Taranto per essere considerati persone danneggiate da reato, condizione alla quale non sfugge la maggior parte dei magistrati di Taranto, dei quali è stato fornito più di un elenco nominativo con documentazione anagrafica e catastale circa la loro residenza e le loro proprietà immobiliari (v. elenchi allegati alle memorie)».

Con specifico riferimento agli immobili – proseguivano i giudici di primo grado – «è stata effettuata una vera e propria cartina nella quale sono stati posizionati gli immobili di proprietà o residenza dei magistrati tarantini messi a confronto con quelli delle parti civili, al fine di dimostrarne la contiguità».

Da ultimo, «a sostegno delle eccezioni veniva depositato un parere pro veritate a firma del prof. Giorgio Spangher (ordinario di procedura penale presso l’Università La Sapienza)».

Osserva la Corte, «riportandosi, evidentemente, alle proprie considerazioni di cui alla ordinanza del 18.7.2016, e prendendo a fondamento del ragionamento che segue le indicazioni fomite dal prof. Spangher nel suo parere, che presupposti di operatività della regola derogatoria della competenza funzionale siano sotto il profilo soggettivo che il soggetto processuale che assume il ruolo di imputato, indagato, persona offesa o danneggiata da reato, sia un magistrato e, sotto il profilo oggettivo, che lo stesso svolga o svolgesse queste funzioni al momento del fatto presso un ufficio giudiziario situato nel distretto di corte di appello».

Sempre secondo quanto riportato dal prof. Spangher nel suo parere – proseguiva la Corte – «l’interpretazione della norma da parte della giurisprudenza costituzionale e di legittimità ha precisato alcuni profili di operatività della stessa: sotto l’aspetto soggettivo che, ad esempio, la stessa si applica ai giudici onorari inclusi gli esperti della sezione agraria, mentre sotto quello oggettivo è necessario che vi sia l’ esistenza di un procedimento, quale conseguenza dell’incardinamento attraverso l’iscrizione nel registro delle notizie di reato».

La ratio dell’art. 11 c.p.p. – si legge nella sentenza – «è quella di garantire anche in modo formale l’imparzialità della giurisdizione, sicché sarebbe contrario ai principi costituzionali di terzietà ed imparzialità del giudice che lo stesso venga giudicato o comunque sia persona offesa in un processo celebrato da suoi colleghi attuali o che lo erano al momento del fatto».

Secondo la Corte «deve condividersi quanto indicato dal prof. Spangher nel suo parere ossia che l’art. 11 c.p.p. disciplini un’ipotesi di competenza funzionale non meramente territoriale, anche se non può negarsi che la scaturigine legislativa ed anche la collocazione sistematica dello stesso articolo lo riconduca ad un’ipotesi di deroga alla competenza per territorio: in tal senso allora si comprende bene l’inciso normativo secondo cui ci deve essere lo spostamento territoriale – in deroga ad un altro principio di rango costituzionale qual è quello della individuazione del giudice naturale anche per territorio – nel caso in cui il magistrato avesse, in quel territorio in cui è stato commesso il fatto, svolto le proprie funzioni, trovandosi, cioè, nella situazione di essere giudicato da colleghi, operativi in un altro tenitorio, con i quali, in precedenza aveva lavorato gomito a gomito. Questa è la situazione del magistrato trasferito ma ancora appartenente all’ordine giudiziario, ma diversa, invece, è la situazione del magistrato che abbia cessato di appartenere all’ordine giudiziario».

Da ultimo, «quanto alla generica qualifica di ciascun magistrato residente sul territorio tarantino nei termini di persona danneggiata dai reati – e, quindi, all’applicazione della norma derogatoria della competenza ex art.11 c.p.p. – per non frustrare un altro principio di rango costituzionale (ossia quello del giudice naturale), si deve evidenziare come nessun magistrato sia costituito (in modo diretto o indiretto parte civile) o abbia concretamente assunto la veste di persona offesa e/o danneggiata da reato».

Costituisce, infatti, «ius receptum nella giurisprudenza il principio secondo cui, per l’attribuzione ad un magistrato della qualità di danneggiato, è necessaria un’assunzione formale della qualità di persona offesa (che passa attraverso un’iniziativa volta a lamentare un danno o a chiederne il risarcimento), non essendo sufficiente la denuncia di un fatto, in quanto atto finalizzato soltanto a portare un determinato fatto a conoscenza delle autorità competenti e non ad avanzare pretese risarcitorie».

Redazione Giurisprudenza Penale

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