CONTRIBUTIDIRITTO PENALE

La delicata distinzione tra il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi e quello di atti persecutori aggravati da una relazione affettiva

in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 10 – ISSN 2499-846X

Cassazione Penale, Sez. III , 23 maggio 2024 (ud. 4 aprile 2024), n. 20352
Presidente Sarno, Relatore Di Stasi

La Corte di Cassazione, Sezione III Penale, con la sentenza 4 luglio 2024, n.20352/24, accogliendo il ricorso della Procura Generale presso la Corte di Appello di Milano, ha pronunciato un’interessante sentenza in relazione alla difficile linea di demarcazione tra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori in danno dell’ex convivente/coniuge.

Si tratta di una distinzione spesso affrontata dal diritto vivente quando i comportamenti maltrattanti iniziano nell’ambito di un contesto familiare, tra persone legate da una stabile relazione (anche coniugale, come nel caso di specie) di convivenza, assistenza e solidarietà reciproche e proseguono in seguito all’interruzione (de facto e/o de iure) della relazione affettiva e della convivenza.

Nel caso in commento, la Corte di Appello di Milano – riformando la sentenza di primo grado  – aveva riqualificato le condotte contestate all’imputato, distinguendo le medesime in maltrattamenti in famiglia durante il periodo di convivenza con la moglie e in atti persecutori dopo l’interruzione della loro convivenza, così tracciando il confine tra i due delitti con il momento di interruzione della convivenza tra i coniugi.

La Corte di Cassazione ha annullato sul punto con rinvio la sentenza della Corte di Appello meneghina, aderendo a un diverso orientamento giurisprudenziale secondo cui “integrano il reato di maltrattamenti in famiglia, e non quello di atti persecutori, le condotte vessatorie nei confronti del coniuge che, sorte in ambito domestico, proseguano dopo la sopravvenuta separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge resta “persona della famiglia” fino alla cessazione degli effetti civili del matrimonio (o allo scioglimento del vincolo matrimoniale), a prescindere dalla convivenza”.

La Corte di Cassazione ha così annullato la sentenza di secondo grado nella parte in cui non aveva tenuto conto del vincolo coniugale tra l’imputato e la persona offesa ed ha rinvenuto nel divorzio (e non nella mera interruzione della convivenza) la linea di demarcazione tra il reato di maltrattamenti e quello di atti persecutori per le condotte vessatorie subite da uno dei due coniugi.

La separazione tra i coniugi, motiva la sentenza, deve essere considerata “una condizione che incide soltanto sull’assetto concreto delle condizioni di vita, ma non sullo “status” acquisito con il matrimonio, dispensando dagli obblighi di convivenza e fedeltà, ma lasciando integri quello di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale, e collaborazione nell’interesse della famiglia, che discendono dall’art. 143, comma 2 cod. civ.”

Inoltre, la Corte ha precisato che “l’interpretazione costante di questa Corte, secondo cui le condotte violente, psicologiche e/o fisiche, consumatesi in fase di separazione dei coniugi vanno qualificate ai sensi dell’art. 572 cod. pen. è ulteriormente rafforzata quando si condivida un rapporto genitoriale (art. 337-bis e ss. cod. civ.)”:

Tale principio di diritto, peraltro già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, è stato confermato anche dalla più recente pronuncia della Cassazione penale, Sezione VI, del 30 luglio 2024, n.31178.

La Suprema Corte, con la sentenza in commento così come in quella successiva sopracitata, ha adottato l’interpretazione più ristretta sia del concetto di “famiglia”, che di quello di “convivenza”, di cui all’art. 572 c.p., ritenendo quest’ultima una “condizione di fatto” che, pertanto, deve assumere rilievo per le sole condotte che si instaurano nelle famiglie “di fatto”, “in relazione ai maltrattamenti di persona “comunque convivente””.

Per i casi di cessazione della convivenza “more uxorio”, la ormai sedimentata giurisprudenza di legittimità, venendo meno qualsivoglia obbligo giuridico, ha ritenuto che le condotte moleste, persecutorie e vessatorie possano al più, sussistendo i requisiti strutturali di fattispecie, essere ricondotte entro i lineamenti di tipicità del delitto di atti persecutori.

La Sezione III Penale, con la sentenza di legittimità in commento, si è però espressa su casi particolari di cessazione della convivenza, specificando che deve ritenersi “configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia e non invece quello di atti persecutori, quando tra i soggetti permanga, comunque, un vincolo assimilabile a quello familiare, in ragione di una mantenuta consuetudine di vita comune o dell’esercizio condiviso della responsabilità genitoriale ex art. 337 ter cod. civ.”

In tal modo, la Corte ha precisato i confini da adottare al termine dei rapporti di mera convivenza, lasciando, però, irrisolte situazioni analoghe, soprattutto di condivisione del rapporto genitoriale, nei casi di intervenuto divorzio, che sono rimaste escluse da entrambi i principi di diritto sopra menzionati.

Prediligendo il divorzio come limite superato il quale rinvenire la fattispecie di atti persecutori tra le coppie coniugate, la Cassazione ha, infatti, omesso di considerare i contesti in cui i doveri reciproci tra ex coniugi permangono per l’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale ex art. 337 bis e ss. c.c..

Si tratta di situazioni in cui la persona offesa, nonostante il divorzio e le continue vessazioni, resta costretta a collaborare per la famiglia, co-esercitando con il maltrattante la responsabilità genitoriale, occupandosi dei propri figli in contesti fortemente pregiudizievoli, fino al raggiungimento della loro maggiore età ed eventualmente della loro indipendenza economica, stante la perdurante necessità di adempiere agli obblighi di mantenimento, educazione, istruzione ed assistenza morale.

Sono, quindi, rimaste aperte le questioni riguardanti i contesti di responsabilità genitoriale post-divorzio, negando la maggior tutela offerta dal delitto di maltrattamenti, procedibile d’ufficio, rispetto a quella minore conferita dal delitto di atti persecutori, procedibile a querela di parte.

Un criterio unico per delimitare l’ambito applicativo delle due fattispecie criminose in questione, che riconoscesse per tutte le tipologie di famiglia la continuità dei vincoli di solidarietà familiare, peraltro già utilizzato dalla giurisprudenza (vedi ad es. Cass. Pen., Sez. VI, 19.5.2021, n.30129), avrebbe sicuramente potuto fornire una maggiore tutela alle vittime di tali condotte, eliminando ogni differenza tra famiglie fondate o meno sul matrimonio.

Come citare il contributo in una bibliografia:
C. Gatti, La delicata distinzione tra il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi e quello di atti persecutori aggravati da una relazione affettiva, in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 10