La Cassazione si pronuncia sulla natura (istantanea) del reato di illecito trattamento dei dati personali
Cassazione Penale, Sez. III, 21 ottobre 2024 (ud. 18 settembre 2024), n. 38511
Presidente Sarno, Relatore Corbetta
Segnaliamo ai lettori la sentenza con cui la Corte di Cassazione, accogliendo un rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione per questioni di competenza territoriale ex art. 24-bis c.p.p. sollevato dal Tribunale di Perugia, si è pronunciata sulla natura giuridica del reato di illecito trattamento dei dati personali.
Preliminarmente, la Corte osserva come mediante il nuovo istituto di cui all’art. 24-bis c.p.p. “viene offerta la possibilità – al giudice procedente, che si trovi a dirimere una controversia inerente al tema della competenza per territorio – di rimettere, d’ufficio o su istanza di parte, la relativa questione alla Corte di cassazione” e come “tale rimessione precluda la possibilità di prospettare nuovamente la medesima questione nel corso del procedimento penale“. Si tratta, cioè, “di un nuovo mezzo impugnatorio per la risoluzione in via preventiva dei potenziali conflitti di competenza, attraverso cui si è voluto evitare casi, che si sono verificati, in cui l’incompetenza, tempestivamente eccepita, è stata riconosciuta fondata solo in Cassazione, con conseguente necessità di dover iniziare da capo il processo“.
Ciò premesso, “la questione sollevata dal Tribunale di Perugia concerne la corretta individuazione dell’Autorità giudiziaria territorialmente competente con riguardo al reato di illecito trattamento dei dati personali di cui all’art. 167 d. lgs. n. 196 del 2003, allorché sia dubbio il luogo di consumazione dello stesso e pertanto non sia applicabile la generale regola di cui all’art. 8, comma 1, cod. proc. pen.“.
Il Tribunale – si legge nel provvedimento – “nel solco del principio espresso da questa Sezione, secondo cui il reato di illecito trattamento dei dati personali ha natura permanente – caratterizzandosi per la continuità dell’offesa arrecata dalla condotta volontaria dell’agente, il quale ha la possibilità di far cessare in ogni momento la propagazione lesiva dei dati medesimi – osserva che il giudice territorialmente competente potrebbe essere individuato secondo il disposto normativo di cui all’art. 8, comma 3, cod. proc. pen., ai sensi del quale «se si tratta di reato permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione»”.
Ritiene, tuttavia, “il Collegio che il reato di cui all’art. 167 d.lgs. n. 196 del 2003 sia un reato di evento, di natura istantanea”.
Come autorevolmente affermato dalla Corte costituzionale – prosegue la sentenza – “il reato permanente si caratterizza come illecito di durata, nel quale l’offesa al bene protetto, diversamente che nella figura antitetica del reato istantaneo, non si esaurisce nel momento stesso in cui viene prodotta, ma si protrae nel tempo per effetto del perdurare della condotta volontaria del reo, esaurendosi, sul piano della rilevanza penale, soltanto con la cessazione di quest’ultima”.
Orbene – affermano i giudici di legittimità – “il delitto in esame ha natura di reato istantaneo, in quanto esso si perfeziona con il verificarsi del “nocumento” – da intendersi come un pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura, patrimoniale o non patrimoniale, subìto dal soggetto cui si riferiscono i dati protetti oppure da terzi quale conseguenza dell’illecito – che, per la sua omogeneità rispetto all’interesse leso e la sua diretta derivazione causale dalla condotta tipica è un elemento, è elemento costitutivo del fatto – e non una condizione oggettiva di punibilità; di conseguenza, il verificarsi dell’evento segna la consumazione del reato”.
Peraltro, “gli effetti del nocumento conseguente all’illecita diffusione di dati personali possono prolungarsi nel tempo, il che si verifica, quando, come nella vicenda in esame, i dati siano illecitamente divulgati tramite un social-network; anche in un caso del genere, tuttavia, il “nocumento” si realizza istantaneamente e, dunque, nel momento e nel luogo in cui i dati sensibili diventano fruibili, sulla rete, da parte dei terzi, e, dunque, nel luogo e nel momento in cui il collegamento viene attivato, e ciò anche nel caso in cui il sito web sia stato registrato all’estero, purché l’offesa sia stata percepita da più fruitori che si trovano in Italia; gli effetti nocivi riconducili alla divulgazione del dato sensibile, che rappresentano unicamente il risultato dell’azione criminosa, si protraggono fino a che il dato non viene rimosso”.
Una soluzione del genere – conclude la Corte – “è in linea con quanto affermato da questa Corte nell’ipotesi, affine a quella qui al vaglio, di diffamazione commessa tramite la rete internet; anche in tal caso, infatti, le frasi offensive dell’altrui reputazione producono gli effetti fino a che esse non vengono rimosse dal sito web in cui sono state pubblicate; nondimeno, non si è mai messo in dubbio la natura istantanea del reato di diffamazione, e, ai fini della determinazione dell’A.G. territorialmente compente, si è fatto ricorso ora al luogo in cui sia stato caricato il contenuto diffamatorio come dato informatico – ove ciò sia stato accertato – e quindi ai sensi dell’art. 9, comma 1, cod. proc. Pen., ovvero, in difetto di tale accertamento, al criterio del luogo di domicilio dell’imputato, in applicazione della regola suppletiva stabilita dall’art. 9, comma secondo, cod. proc. pen.”.