Il diritto all’affettività ristretta. A quasi un anno dalla pronuncia della Corte Costituzionale in materia di colloqui intimi
in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 12 – ISSN 2499-846X
Quella che stiamo vivendo si tratta senza dubbio di una stagione che ha di fatto considerato nel diritto penale e in particolar modo nella detentività della pena la risposta ad ogni esigenza di difesa sociale. Le pene detentive hanno come principale effetto quello di privare della libertà personale la persona che vi è sottoposta; tuttavia, questa non è l’unica conseguenza: la Corte costituzionale ha affermato che «chi si trova in stato di detenzione, pur privato della maggior parte della sua libertà, ne conserva sempre un residuo, che è tanto più prezioso in quanto costituisce l’ultimo ambito nel quale può espandersi la sua personalità individuale».[1]
Infatti, essendo ricompreso nel catalogo aperto di diritti fondamentali sancito dall’art. 2 Cost., ha un profilo di assoluta preminenza, a causa del fatto che la sua limitazione si riverbera anche su altre persone, ossia sui familiari del detenuto, che sono assolutamente estranei al motivo per il quale il loro congiunto è ristretto. Difatti, il diritto all’affettività si declina in una pluralità di posizioni soggettive e in virtù di ciò, può considerarsi una pena accessoria anacronistica. Di questo era consapevole Michel Foucault, il quale, in Sorvegliare e punire, afferma che attualmente “il rapporto castigo-corpo non è identico a quello che era nei supplizi. [Oggi] il corpo è irretito in un sistema di costrizioni e di privazioni, di obblighi e di divieti. Il castigo è passato da un’arte di sensazioni insopportabili a una economia di diritti sospesi”.[2]
È indubbio che tali criticità si registrano in particolar modo nella tutela dei legami affettivi in carcere. È indubbio, infatti, che la pena detentiva incida negativamente su quei diritti che costituiscono espressione della libertà della persona a livello fisico e psichico, e, quindi, sulla possibilità del detenuto di coltivare relazioni, condizione irrinunciabile per la costruzione di un percorso individuale nel corso dell’esecuzione penale. Ma cosa si intende per diritto all’affettività? Il diritto all’affettività – inteso come possibilità di coltivare in senso ampio i rapporti che conformano la sfera intima dell’individuo – si manifesta in due specifiche aree, vale a dire: il diritto alla genitorialità e il diritto alla sessualità. Proprio su quest’ultimo aspetto recentemente la Corte costituzionale, con la sentenza n. 10/2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede che alla persona detenuta sia consentito, quando non ostino ragioni di sicurezza, di svolgere colloqui intimi, anche a carattere sessuale, con la persona convivente non detenuta, senza che sia imposto il controllo a vista da parte del personale di custodia. Fino a questo momento il diritto alla sessualità intramuraria è stato completamente ignorato, se non per la disciplina sui permessi premio, nell’ambito delle vigenti norme in materia di ordinamento penitenziario. L’ultima volta che la Corte costituzionale si è pronunciata sul tema è stato con una sentenza di inammissibilità su una questione di legittimità costituzionale sollevata dall’ufficio sorveglianza di Firenze nel 2012. La Consulta, in quella occasione, nonostante la pronuncia, affermò che la possibilità per i detenuti di avere relazioni affettive intime, anche a carattere sessuale, è un’«esigenza reale e fortemente avvertita [..] che merita ogni attenzione da parte del legislatore, anche alla luce dalle indicazioni provenienti dagli atti sovranazionali [..].[3]
Oggi, sempre la Corte invita l’amministrazione penitenziaria all’ipotesi di una “creazione all’interno degli istituti penitenziari di appositi spazi riservati ai colloqui intimi tra la persona detenuta e quella ad essa affettivamente legata”. In virtù di queste circostanze sorge la necessità di porre delle riflessioni sul tema, in particolare sulla discrasia dell’attuale normativa di riferimento e l’applicazione della stessa. Sono trascorsi circa 10 mesi dalla pubblicazione della sentenza ma sembra che, allo stato attuale, non sia stato ancora autorizzato alcun colloquio riservato.
Il 27 marzo 2024 durante la quinta interrogazione parlamentare il Ministro Carlo Nordio ha dichiarato che è stato istituito “un gruppo di lavoro multidisciplinare, che prevede come componenti degli appartenenti del nostro ministero, del Garante nazionale per i detenuti, della magistratura di sorveglianza, dell’architettura penitenziaria, appartenenti del Consiglio nazionale forense e Consiglio nazionale degli psicologi”.
Le ragioni di tale situazione, almeno fino ad oggi, non si rinvengono più in resistenze di tipo giuridico ma piuttosto sembra che gli ostacoli siano solo di natura organizzativa degli spazi. In attesa degli esiti dei lavori di questo folto gruppo di studio ministeriale in alcuni istituti, tuttavia, basterebbe oscurare le finestrelle sulle porte delle stanze dei colloqui con i gruppi familiari per consentire la riservatezza degli incontri. Questo chiaramente per andare incontro alle condizioni precarie in cui il sistema carcere versa sistematicamente. [4]
È comprensibile da un certo punto di vista l’intento del Ministro Nordio di centralizzare e dunque garantire l’esigibilità del diritto a tutti gli istituti penitenziari presenti sul territorio. Ma da un altro è richiesta celerità nell’attuazione. Ad ogni modo sono convinto che tali ragioni non posseggano una forza tale da poter giustificare la disapplicazione di un diritto costituzionalmente garantito ma che nella prassi accusa innumerevoli lacerazioni. Per riprendere le parole della Prof.ssa Silvia Talini: la mancanza di risorse e spazi “non potrà rappresentare un “alibi” per la negazione del diritto”.[5]
Se riavvolgiamo l’orologio noteremo che la Corte Costituzionale già nella sentenza 10 dicembre 1987, n. 561, aveva affermato che «[e]ssendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’art. 2 Cost. impone di garantire». Tornando ad oggi particolare interesse ha destato la decisione della magistratura di sorveglianza – competente per le circoscrizioni dei tribunali di Torino e Asti in materia di colloqui intimi. La stessa sostiene che all’esito della lettura della sentenza della Corte Costituzionale la fruizione dei colloqui non potrebbe essere considerata alla stregua di un diritto soggetto perfetto.
E dunque non essendo tale, non sarebbe di conseguenza attivabile il rimedio giurisdizionale di cui all’art. 35 bis, declassificando quello che è indiscutibilmente un diritto ad aspettativa legittima. Marco Ruotolo, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l’Università degli studi di Roma Tre, ospite di Riccardo Arena nel programma “Radio Carcere” condivide la seguente considerazione: “La Corte nelle sue parole tiene conto delle difficoltà strutturali ed ammette chiede un certo tipo di progressività nella sua attuazione. Un eventuale diniego dell’amministrazione penitenziaria deve tuttavia esser accompagnato dalla chiara indicazione di progetti esistenti per la realizziamone delle stanze dell’affettività e dei relativi tempi realizzazione”. Aggiunge, il Prof.re Rutolo: “La Corte costituzionale non ammette che l’amministrazione possa ad libitum – fino a quando vuole – non dare seguito alla sua pronuncia sul diritto all’affettività. Qui assumiamo che l’inerzia dell’amministrazione diventi condizione sufficiente per il mancato inveramento di un diritto. Altrimenti si rischia di ricadere nell’effettività rinnegante di cui parlava Franco Bricola, il quale sosteneva a sua volta che il diritto penitenziario fosse molto esposto alla manipolazione amministrativa delle norme”.[6]
La riflessione sul diritto all’affettività-intimità non si può esaurire non considerando la molteplicità di elementi. “Ulteriore problema riguarda la tutela della salute del detenuto (sia fisica sia psichica): il ripensamento degli spazi risulta, quindi, fondamentale per il recupero dell’equilibrio psichico del detenuto e il mantenimento di quel livello minimo di benessere che gli permetta di sviluppare la propria personalità, nonostante la privazione della libertà ed il contenimento (o, annientamento, quanto meno nel primissimo periodo di carcerazione) dei propri sensi, sentimenti, emozioni e reazioni spontanee e sentite.
Dunque l’intervento rischia di fossilizzarsi esclusivamente sulla sessualità ristretta. Ma non dimentichiamo che nella definizione di affettività è ricompresa anche l’elemento della genitorialità. L’amministrazione penitenziaria non solo dovrebbe creare degli spazi – sia dentro che fuori dell’istituto penitenziario – da destinare ai colloqui riservati ma prestare attenzione all’intero percorso riabilitativo della persona detenuta: “e ciò vale sia per gli spazi per il passeggio e per le aree all’aperto, […] le aree di accesso, di primo ingresso, soprattutto nella misura in cui vi accedono bambini, oltre che alle zone riservate per gli incontri con i familiari.[7]
Lo ricordiamo con forza: non c’è incompatibilità tra esercizio della sessualità inframuraria e regime penitenziario né esistono insuperabili difficoltà di ordine operativo per rendere tutto questo possibile. Semmai, sopravvivono forti resistenze – ideologiche e culturali – all’introduzione di una sua disciplina costituzionalmente orientata, ripetutamente espresse attraverso prevedibilissimi argomenti contrari. La necessità che la pena in carcere conservi il suo «carattere di austerità e di moralità». Qui ad entrare in gioco sono le reazioni dell’opinione pubblica convinta che dentro «si deve stare peggio» che fuori: altrimenti che galera sarebbe? [8] Ecco perché la proposta del sesso in carcere verrebbe vissuta come un’inaccettabile provocazione. E se considerassimo la relazione sessuale «come ad un consumo di lusso», sarebbe inaccettabile comprendere che lo Stato ne faccia “regalo” alla persona, a cui – è doveroso ricordarlo – è sottratta una singola e non l’intera quota di libertà.[9] Oltre a dover ribadire che il carcere non può essere inteso quale luogo di annullamento dei diritti e delle emozioni, andrà costruita una soluzione ordinamentale che eviti la sovrapposizione automatica tra affettività e sessualità, riconoscendo in quest’ultima una scelta possibile per il detenuto, non un obbligo. Sempre in attesa dell’applicazione della pronuncia della Corte Costituzionale da parte della maggioranza, sarà fondamentale tenere a mente che le future unità abitative familiari intramurarie andranno quindi pensate quali luoghi adatti alla relazione personale e familiare, non solo all’incontro fisico. Inseriti così in un percorso di umanizzazione della pena e di risocializzazione del detenuto, la loro gestione non comporterà alcuna metamorfosi dei compiti istituzionali dell’amministrazione e del corpo di polizia penitenziaria, né alcuna degradazione per la dignità di ciascun attore istituzionale.[10]
Nel 2022 viene presentato dall’allora ufficio del Garante nazionale al Parlamento la sesta relazione sui luoghi di privazione di libertà, dal titolo “Il tempo non si Conserva”. Al suo interno e cito testualmente possiamo leggere che: Il tempo sottratto deve avere sempre significato e deve essere chiaramente orientato alla finalità che tale sottrazione ha consentito. La storia ci ha insegnato che la sofferenza non sta solo nella restrizione dei corpi ma anche della mente e che un trattamento contrario al senso di umanità può consistere anche per l’ipotesi di tardive o peggio ancora mancate risposte. Nel frattempo il 2022 si è distinto come l’anno dei record con ben 85 suicidi. Nel 2023 sono state almeno 70 le persone che si sono tolte la vita all’interno di un Istituto di pena. Mentre allo stato attuale, anno 2024, siamo a quota 80 con diversi casi di decesso ancora da accertare. Un numero, dunque, destinato ad aumentare. È giunto il momento di dare applicazione alle parole della Corte.
[1] Corte cost. 24 giugno 1993 n. 349.
[2] FOUCAULT Michel, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione [1975], Einaudi, Torino, 2014, p.13.
[3] Corte cost. 11 dicembre 2012 n. 301.
[4] Camera, Nordio risponde in aula al question time, Ministero di Giustizia, in www.gnewsonline.it, 27 marzo 2024.
[5] CIMINO Ferruccio, Prospettive del diritto all’affettività ristretta in Italia. Intervista alla Prof.ssa Silvia Talini, in www.extremaratioassociazione.it, 21 marzo 2024.
[6] RUOTOLO Marco, Radio Carcere: “La Corte Costituzionale e i colloqui intimi nelle carceri? Non una concessione, ma un diritto” – Dialogo col Professore Marco Ruotolo, in www.radioradicale.it, 12 novembre 2024.
[7] AMERIO Lucilla, MANCA Veronica, Dalle mure esterne, alle barriere interne: lo spazio della sessualità in carcere, in Giurisprudenza penale web, 2-bis, 2019, p. 207.
[8] MAISTO Francesco, Afflittività e affettività, in Stefano ANASTASIA, Franco CORLEONE, Luca ZEVI (a cura di), Il corpo e lo spazio della pena. Architettura, urbanistica e politiche penitenziarie, Roma, 2011, p. 180.
[9] SOFRI Adriano, Le braci del sesso in carcere, in Adriano SOFRI, Francesco CERAUDO, Ferri battuti, p. 116.
[10] PUGIOTTO Andrea, La castrazione di un diritto. la negazione della sessualità in carcere come problema di legalità costituzionale, in Giurisprudenza penale web, 2-bis, 2019, pp. 39-40.
Come citare il contributo in una bibliografia:
F. Cimino, Il diritto all’affettività ristretta. A quasi un anno dalla pronuncia della Corte Costituzionale in materia di colloqui intimi, in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 12