ARTICOLIDIRITTO PENALEIN PRIMO PIANO

Insulti via social e diritto di critica: l’ordinanza del GIP del Tribunale di Torino in una nota vicenda di cronaca

Tribunale di Torino, GIP, Ordinanza, ud. 14 gennaio 2025
Giudice dott.ssa Lucia Minutella

Segnaliamo ai lettori, in tema di diffamazione in relazione ad una recente nota vicenda di cronaca, l’ordinanza con cui il GIP del Tribunale di Torino ha ritenuto fondata l’opposizione presentata dalla persona offesa avverso la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura, disponendo lo svolgimento di nuove indagini

Quanto all’esimente del diritto di critica, il GIP ha ricordato come “i commenti attengano tutti, in buona sostanza, alla morale sessuale femminile“, essendosi in presenza di “fenomeni inquadrabili nell’ambito di comportamenti sessisti e discorsi d’odio realizzati con l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), cui la normativa comunitaria dedica particolare attenzione, ritenendoli forme di manifestazione del più ampio concetto di violenza sulle donne“.

La Convenzione di Istanbul – si legge nel provvedimento – “fornisce, infatti, una definizione di ‘violenza contro le donne’ assai ampia, che ricomprende qualsiasi atto di violenza di genere perpetrata nei confronti di donne o che comunque colpisce le donne in modo sproporzionato, che provoca o che possa provocare danni o sofferenza fisica, sessuale, psicologica o economica, incluse le minacce di compiere tali atti“.

I commenti in esame “proprio perché volti a stigmatizzare la parte lesa in funzione del genere, appaiono marcatamente discriminatori: essi non sono espressione di un giudizio meramente critico, ma appaiono basati su stereotipi di genere animati, in via esclusiva, da finalità offensive“; il che “rende arduo, già dal principio, ravvisare un legittimo esercizio del diritto di critica“.

Ciò premesso – prosegue il GIP approfondendo il tema dei limiti all’esercizio del diritto di critica secondo l’elaborazione giurisprudenziale – “gli utenti che scrivono i commenti sopra ricordati non spiegano gli elementi fattuali su cui basano il loro convincimento, ma si limitano ad insultare senza che l’offesa possa essere ricollegata ad un evento verificabile. Anche assumendo che il nucleo fattuale possa identificarsi, come sostenuto dal PM, con la verità raccontata dalla controparte nel video, i commenti si collocano su un piano assai distante dall’evento concreto, dal quale finiscono per restare del tutto sganciati“.

In altri termini, “se mi limito ad offendere una persona omettendo di indicare quale sia il fatto storico su cui fondo il mio giudizio, l’offesa resta tale; la critica presuppone pur sempre un ragionamento logico, ma se insulto immotivatamente, senza indicare il presupposto di fatto del mio giudizio, la frase resta diffamatoria“.

Da ultimo, quanto al criterio della continenza, questo “richiede sempre una forma espositiva funzionale alla finalità critica che si intende perseguire e i toni non possono esorbitare in invettive sproporzionate o in espressioni gravemente infamanti“. Nel caso di specie, “pur concordando, in linea generale, sulla necessità di adeguare la valutazione del requisito della continenza al mutato contesto sociale e al luogo ove il commento viene espresso (Facebook), le parole scelte dagli autori appaiono oggettivamente sopra le righe e inutilmente umilianti. Sono veri e propri insulti. I termini scelti non sono semplicemente inurbani o forti, ma volutamente e inequivocabilmente offensivi“.

Redazione Giurisprudenza Penale

Per qualsiasi informazione: redazione@giurisprudenzapenale.com