Caso Impagnatiello (omicidio di Giulia Tramontano): le motivazioni della sentenza della Corte di Assise di Milano
Corte di Assise di Milano, 17 febbraio 2025 (ud. 25 novembre 2024), n. 7/2025
Presidente dott.ssa Bertoja, Relatore dott.ssa Fioretta
Segnaliamo ai lettori, con riferimento al procedimento nei confronti di Alessandro Impagnatiello – imputato per l’omicidio di Giulia Tramontano – un estratto (limitato alla sola parte in diritto) della sentenza con cui la Corte di Assise di Milano ha condannato l’imputato alla pena dell’ergastolo.
Quanto al riconoscimento della aggravante della premeditazione, la Corte di Assise ha ricordato come “la giurisprudenza più evoluta non abbia escluso che l’intervallo temporale fra l’insorgenza del proposito criminoso e la sua attuazione possa essere anche soltanto di poche ore: è questo il caso dell’agguato che costituisce, in astratto, indice rivelatore della premeditazione, siccome sinonimo di imboscata od insidia preordinata che postula un appostamento, protratto per un tempo più o meno lungo, in attesa della vittima designata ed in presenza di mezzi e modalità tali da non consentire dubbi sul reale intendimento dell’insidia, sicché già il pur breve arco di tempo dell’attesa può valere a soddisfare gli elementi costitutivi della premeditazione“.
Nel caso di specie, in ogni caso, “ritiene la Corte che il proposito omicidiario sia maturato in modo irrevocabile e definito in Impagnatiello quantomeno alle ore 15,00 del 27 maggio, allorché è stato informato dalla compagna di essere stata contattata via chat da e dell’ appuntamento fissato con lei quel pomeriggio presso l’Armani Hotel, nel quale le due donne si sarebbero reciprocamente rivelate le bugie con le quali l’imputato era riuscito a tenerle in scacco in tutti quei mesi“.
Dopo avere realizzato, già a quell’ora, che “il proprio castello di menzogne stava crollando […] Impagnatiello non è più uscito ed ha preparato l’agguato che avrebbe portato due ore dopo all’omicidio della compagna“.
La Corte prosegue osservando come “tutta la condotta successiva all’omicidio, relativa all’occultamento del cadavere, sia stata dominata dalla improvvisazione e dalla occasionalità: l’imputato ha tentato – assai malamente e senza successo – di gestire l’ imprevisto della mancata combustione del cadavere, sicché il suo originario piano criminoso è fallito, e in soli tre giorni gli inquirenti hanno scoperto che Giulia non si era affatto allontanata spontaneamente da casa, ma era stata uccisa e tenuta nascosta nelle pertinenze dell’abitazione“.
Peraltro – proseguono i giudici – “l’improvvisazione ed occasionalità della condotta di occultamente del cadavere non elide la circostanza aggravante della premeditazione, che ha ad oggetto non l’occultamento del cadavere, ma l’omicidio come sopra descritto“.
In ogni caso – si legge nella pronuncia – “gli inquirenti dopo la convalida del fermo hanno acquisito diversi elementi indiziari, che consentono di affermare con tranquillizzante certezza che il proposito criminoso di uccidere Giulia sia sorto in Impagnatiello ancor prima di quel pomeriggio del 27 maggio: vale a dire a far tempo dal 12 dicembre dell’anno precedente, allorchè per la prima volta l’imputato ha accarezzato l’idea di sbarazzarsi della compagna – che pochi giorni prima gli aveva rivelato di aspettare un bambino da lui -, digitando sul web la seguente ricerca di sostanze venefiche veleno topi“.
Quanto alla somministrazione del veleno, appare irrilevante – prosegue la Corte – “la circostanza che il quantitativo di veleno contenuto nelle pasticche somministrate alla compagna fosse decisamente molto basso ed obiettivamente inidoneo a cagionare la morte di un uomo. Quello che rileva, infatti, ai fini del riconoscimento della sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione, è il fatto che somministrando tale sostanza alla compagna l’imputato abbia mostrato di avere maturato e conservato dentro di sé, dal punto di vista soggettivo e psicologico, il proposito criminoso di ucciderla, come poi di fatto avvenuto, sebbene con altri mezzi e a distanza di diversi mesi“.
Nemmeno elide la aggravante della premeditazione “il fatto, pacifico in atti, che Giulia nelle prime settimane di gravidanza, non sentendosi supportata dal compagno, avesse deciso di interrompere la gravidanza, e il 5-1-2023. giorno fissato per l’intervento, sia stato proprio Impagnatiello a impedirlo“.
Quanto al riconoscimento della circostanza aggravante della crudeltà, la Corte di Assise ha osservato come “quello che emerge e connota di particolare disvalore la condotta, e la qualifica come manifestazione di efferatezza, non siano soltanto i 37 fendenti inferti sul corpo della vittima, ma il fatto che ben 11 di essi siano stati inferti allorchè la vittima era ancora viva, nonché il fatto che la stessa fosse in stato avanzato di gravidanza, e portasse in grembo il figlio dello stesso reo“.
Non solo: “nel momento in cui è stata attinta dai primi fendenti, mentre si trovava ancora in vita e comprendeva che il compagno la stava uccidendo, Giulia ha senz’altro realizzato, sebbene per una manciata i secondi, che insieme con lei moriva anche il nascituro che portava in grembo. Consapevolezza, questa, che ha senz’altro provocato nella donna una sofferenza ulteriore rispetto a quella provocata dalla aggressione da parte del compagno“.
Da ultimo, è stata invece esclusa la circostanza aggravante dei motivi futili, “non essendo possibile ritenere che la determinazione criminosa sia stata causata da un motivo futile: quello che è accaduto nel pomeriggio del 27 maggio, infatti, ha determinato una svolta nella vita dell’imputato, che certo non può essere definita di scarso rilievo“.
I giudici hanno ritenuto di non poter riconoscere all’imputato le circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. “sebbene una giurisprudenza ormai consolidata abbia evidenziato la funzione correttiva e mitigatoria svolta da tale istituto, che ha anche la funzione di adeguare la sanzione finale all’effettivo disvalore del fatto oggetto di giudizio, nella globalità degli elementi oggettivi e soggettivi“.
Se, da un lato, “è ben vero che l’imputato è integralmente incensurato e solo tre giorni dopo la denuncia di scomparsa della compagna, schiacciato dalle plurime prove acquisite a suo carico dagli inquirenti, ha ammesso l’addebito, confessando l’uxoricidio appena commesso e dando precise indicazione agli inquirenti per ritrovamento del corpo della compagna“, dall’altro è anche vero che “durante il suo esame dibattimentale reso avanti alla Corte, l’imputato ha mostrata scarsa resipiscenza per il fatto commesso, tentando altresì – in modo grossolano e contraddittorio – di attenuare la propria responsabilità, negando di avere teso un agguato alla compagna e di averla aggredita appena entrata in casa, ridimensionando le pregresse condotte di avvelenamento e riconducendole dal punto di vista temporale all’ultimo mese di gravidanza (mentre i medici legali hanno precisato come dall’esame del capello della persona offesa risultasse evidente come l’avvelenamento fosse ben più risalente nel tempo)“.