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Caso Alex Pompa: depositate le motivazioni (di assoluzione) della Corte di Assise di Appello di Torino in sede di rinvio

Corte di Assise di Appello di Torino, Sez. II, 7 aprile 2025 (ud. 13 gennaio 2025), n. 1
Presidente dott.ssa Alessandra Bassi, Relatore dott. Giacomo Marson

Segnaliamo ai lettori, con riferimento al processo penale a carico di Alex Cotoia (già Pompa) – il ragazzo imputato per l’omicidio del padre violento (assolto in primo grado e condannato in appello) –, la pronuncia con cui la Corte di Assise di Appello Torino, giudicando in sede di rinvio, ha confermato la sentenza emessa dalla Corte di Assise di Torino il 24 novembre 2021, con cui l’imputato era stato assolto (essendo stati ritenuti sussistenti i presupposti della legittima difesa).

Ricordiamo che, nel luglio 2024, la Corte di Cassazione aveva disposto l’annullamento con rinvio della sentenza con cui la Corte d’Assise di Appello di Torino, in riforma della sentenza di primo grado, aveva condannato l’imputato alla pena di anni 6, mesi 2, giorni 20 di reclusione ritenendo insussistenti i presupposti per invocare la legittima difesa.

L’applicazione dei principi di diritto fissati dalla sentenza rescindente – si legge nella pronuncia – “lascia ben poco spazio a una valutazione della vicenda posta all’esame di questa Corte d’assise d’appello difforme rispetto a quella compiuta dal primo giudice“.

Sul piano storico fattuale, “non vi sono elementi che consentano di smentire, anzi, semmai, inducono a ritenere almeno in parte confortato, il narrato di Alex COTOIA, confermato dal fratello, quanto al fatto che l’imputato si trovasse quella sera nella necessità di difendersi da un’aggressione al bene primario della vita, propria e dei familiari. A loro volta, le dichiarazioni dei fratelli sono confermate anche da quelle della madre, che, pur non avendo assistito alle ultime fasi della vicenda, ha confermato che la sera del fatto il marito era animato da una rabbia incontenibile“.

Del resto – proseguono i giudici – “la ricostruzione del contesto in cui è maturato l’omicidio del padre trova numerosi e significativi riscontri anche al di fuori del più stretto ambito familiare, come le pagine che precedono si ritiene dimostrino ampiamente“.

Il padre – si legge nella sentenza – “è stato attinto da trentaquattro coltellate e si è già evidenziata la clamorosa sproporzione fra questo dato e quello relativo alle ferite riportate dall’imputato. In realtà, la portata dimostrativa di questi elementi deve essere ridimensionata imponendo di ravvisare, anche sotto questo profilo, ragionevoli conferme dell’esistenza dello stato di legittima difesa in cui versava Alex COTOIA al momento del fatto“.

Come acutamente osservato dalla difesa dell’imputato, “il tema rilevante non è tanto quello del numero delle coltellate inferte dall’imputato alla persona offesa, la quale lo stava aggredendo, ma piuttosto quello dell’individuazione del momento in cui la minaccia costituita proprio da questa aggressione è cessata“.

Secondo la Corte, “estremamente rilevanti si ritengono al riguardo le dichiarazioni del consulente di parte medico – legale nominato dalla Procura della Repubblica, il quale in sede di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale del giudizio di appello ha avuto modo di riferire: “l’infiltrazione di sangue delle ferite è un segno, direi il segno principe tipico di vitalità della lesione, è quello che ci consente di dire che una lesione è stata inferta con il soggetto ancora in vita. È una caratteristica che avevano sostanzialmente tutte le ferite che ho esaminato, alcune avevano una maggiore infiltrazione, alcune un’infiltrazione minore, ma su questo possono influire diversi fattori. Tutto ciò induce a pensare che la successione dei colpi, che io ritengo non sia possibile definire nel dettaglio come successione cronologica, però sia stata relativamente rapida, nessuna ferita tra quelle esaminate ha rivelato caratteri chiaramente post-mortali, cioè di completa assenza di reazione vitale”.

Tale considerazione risulta particolarmente utile – conclude la pronuncia – “in quanto consente di affermare in maniera ragionevole che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, l’imputato non era affatto mosso da odio, frustrazione e rabbia nei confronti del padre, ma si è difeso fino a quando ha constatato che il proprio aggressore era inerme e non costituiva più un pericolo“.

In ogni caso, “permanendo una situazione di incertezza soltanto con riguardo all’ultimo quarto d’ora di vita della persona offesa, in quanto non è stato possibile ricostruire la dinamica della colluttazione con l’imputato culminata con la sua morte, risulta evidente la sussistenza dei presupposti dell’art. 530 comma 3 c.p.p., che impone di pronunciare sentenza assolutoria se “vi è dubbio sull’esistenza di una causa di giustificazione“.

Redazione Giurisprudenza Penale

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