Introduzione del delitto di femminicidio: il testo della proposta presentata al Senato e il dossier dell’Ufficio Studi
Segnaliamo ai lettori la pubblicazione, sul sito del Senato, del testo del DDL e del dossier dell’Ufficio Studi di Senato e Camera relativo alla proposta di legge A.S. n. 1433 in tema di “introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime” (qui commentata dal Prof. Pulitanò su questa Rivista).
Ai sensi dell’art. 1 del provvedimento, dopo l’articolo 577 c.p. è inserito l’art. 577-bis (rubricato “Femminicidio“), ai sensi del quale:
Chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità, è punito con l’ergastolo. Fuori dei casi di cui al primo periodo, si applica l’articolo 575. Si applicano le circostanze aggravanti di cui agli articoli 576 e 577.
Quando ricorre una sola circostanza attenuante ovvero quando una circostanza attenuante concorre con taluna delle circostanze aggravanti di cui al secondo comma, e la prima è ritenuta prevalente, la pena non può essere inferiore ad anni ventiquattro.
Quando ricorrono più circostanze attenuanti, ovvero quando più circostanze attenuanti concorrono con taluna delle circostanze aggravanti di cui al secondo comma, e le prime sono ritenute prevalenti, la pena non può essere inferiore ad anni quindici.
Tale norma – si legge nel dossier – «prevede una fattispecie autonoma e speciale di omicidio, incentrata sulle qualità della persona offesa. Infatti, l’articolo 577-bis, comma 1 c.p. sanziona, con la pena dell’ergastolo, le condotte preordinate a cagionare la morte di una donna, realizzate attraverso atti di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna, nonché la condotta omicidiaria orientata a perseguire la repressione dell’esercizio dei diritti, delle libertà o della personalità della donna».
Quanto al riferimento contenuto nel nuovo art. 577-bis agli atti di discriminazione nei confronti della persona offesa in quanto donna – prosegue la relazione – «può evidenziarsi che se, da un lato, il principio di uguaglianza formale di cui all’articolo 3 Cost. impone la parità di trattamento tra uomo e donna in presenza di situazioni giuridiche omogenee; dall’altro lato, la disposizione in commento fa riferimento alle qualità soggettive della persona offesa e non del soggetto agente, attribuendo un preciso disvalore alla condotta omicidiaria al fine di rispondere alle esigenze di tutela contro il fenomeno della violenza nei confronti delle donne».
In merito alla nozione di donna “in quanto tale” – si legge sempre nel documento – «bisogna, inoltre, richiamare quanto disposto in materia di rettificazione di attribuzione di sesso dalla L. n. 164/1982. L’articolo 1 della suddetta legge sancisce che la rettificazione avviene “in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali” (comma 1)».
Sul punto, «la Corte Costituzionale ha rilevato come la legge n. 164/1982 accolga un concetto di identità sessuale nuovo e diverso rispetto al passato, nel senso che ai fini di una tale identificazione viene conferito rilievo non più esclusivamente agli organi genitali esterni, quali accertati al momento della nascita ovvero “naturalmente” evolutisi, sia pure con l’ausilio di appropriate terapie medico-chirurgiche, ma anche ad elementi di carattere psicologico e sociale. La Corte continua sottolineando come la mancanza di un riferimento testuale alle modalità (chirurgiche, ormonali, ovvero conseguenti ad una situazione congenita), attraverso le quali si realizzi la modificazione, porta ad escludere la necessità, ai fini dell’accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, del trattamento chirurgico, il quale costituisce solo una delle possibili tecniche per realizzare l’adeguamento dei caratteri sessuali. Ciò premesso, concludono i giudici costituzionali, rimane così ineludibile un rigoroso accertamento giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e del suo carattere definitivo (Corte Cost. sent. 221/2015)».
Tali principi – prosegue il dossier – «sono stati recentemente ribaditi nella sentenza n. 143/2024, in cui la Corte ha riaffermato che “agli effetti della rettificazione è necessario e sufficiente l’accertamento della “intervenuta oggettiva transizione dell’identità di genere, emersa nel percorso seguito dalla persona interessata”. Il percorso di transizione può dunque avvenire anche solo mediante trattamenti ormonali e sostegno psicologico comportamentale, senza la necessità di un intervento di adeguamento chirurgico, che rappresenta solo una delle modalità possibili».
Il documento conclude evidenziando, alla luce delle considerazioni svolte, «l’opportunità di precisare l’estensione del riferimento alla persona offesa “in quanto donna”».