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Strage del bus di Avellino (incidente del viadotto Acqualonga): le sentenze di primo e secondo grado

Segnaliamo ai lettori, in considerazione dell’interesse mediatico e giuridico della vicenda – relativa alla cd. “strage del bus di Avellino” (incidente del viadotto Acqualonga) in cui, nel 2013, persero la vita 40 persone – le sentenze emesse dal Tribunale di Avellino e dalla Corte di Appello di Napoli (recentemente confermata dalla Corte di cassazione).


Tribunale di Avellino, Sez. II, 10 aprile 2019 (ud. 11 gennaio 2019), n. 45
Giudice dott. Luigi Buono

Con specifico riferimento alla responsabilità dell’allora Amministratore Delegato di Autostrade per l’Italia – al quale veniva contestato di avere colposamente omesso di provvedere alla riqualificazione delle barriere presenti sul viadotto in occasione dell’adeguamento di tratti significativi di tronchi stradali – il Tribunale di Avellino osservava come, “pur rivestendo Castellucci Giovanni (e gli altri imputati) in considerazione del ruolo ricoperto nell’ambito della struttura organizzativa di Autostrade s.p.a. e dei poteri ad essi attribuiti, una posizione che comportava la gestione dello specifico rischio per la sicurezza e l’incolumità degli utenti della strada connesso ad eventuali omissioni, errori o scelte inidonee nell’ambito dell’attività di riqualificazione delle barriere di sicurezza presenti sui tratti gestiti dalla società, nel caso concreto non si sia verificata alcuna violazione di una regola cautelare nella loro attività e quindi l’evento verificatosi non è riconducibile ad una loro condotta omissiva colposa“.

Nella sentenza di primo grado si leggeva che, coerentemente con l’istituto della cd. delega di funzioni, “permane in capo all’Amministratore Delegato di un’impresa di grandi dimensioni il compito di vigilare sulla complessiva politica di sicurezza dell’azienda e, di conseguenza, non viene meno la posizione di garanzia con riferimento a ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto in ordine all’organizzazione del lavoro, ovvero con riferimento ad eventi lesivi determinati da difetti strutturali aziendali del processo produttivo“.

Con riferimento a scelte fondamentali come quelle oggetto dei piani di riqualifica, dunque, “appare corretto interpretare la presentazione del piano compiuta dall’Amministratore Delegato non come mera attività di presa d’atto, ma come una condivisione, all’esito dell’attività di verifica compiuta nell’esercizio del suo obbligo di vigilanza, delle scelte tecniche in esso contenute elaborate dalle competenti strutture“.

Se, da un lato, “i quattro imputati indicati avevano, per i ruoli ricoperti all’interno della struttura organizzativa della società e le correlative responsabilità, la gestione del rischio connesso alla specifica attività di riqualificazione delle barriere di sicurezza e, quindi, erano titolari dì una posizione di garanzia che si concretizzava nell’obbligo di svolgere l’indicata attività e di vigilare sulla stessa in modo da salvaguardare la sicurezza degli utenti della strada“, dall’altro, “non è emerso che abbiano violato tali obblighi ed in particolare non è stata accertata alcuna violazione di una regola cautelare e, quindi, alcuna condotta colposa alla quale sia riconducibile causalmente l’evento verificatosi“.

La scelta di non sostituire le barriere ubicate sul viadotto Acqualonga – concludeva la sentenza di primo grado – “è stata adottata dal progettista, di concerto con la sua linea, in un momento successivo a quello dell’approvazione del piano di riqualifica nel quale le stesse erano ricomprese, come confermato altresì dalle schede di progetto, nelle quali tali barriere sono riportate ed indicate“.

Pertanto, “nessuna colpa può addebitarsi agli imputati per una presunta individuazione delle barriere da sostituire sulla base della mera appartenenza alle categorie di primo o di secondo impianto, ovvero mai sostituite o già sostituite una volta, in quanto tale scelta non risulta compiuta nel piano di riqualifica e nella delibera di approvazione“.


Corte di Appello di Napoli, Sez. II, 13 maggio 2024 (ud. 28 settembre 2023), n. 11571
Presidente dott.ssa Francica, Estensore dott.ssa Carapella

Di diverso avviso è stata la Corte di Appello di Napoli, la quale ha preso le mosse ricordando come, “secondo quanto indicato anche dal C.T. di parte, le mansioni dell’A.D. consistono nel compito di definire le strategie che la società intende perseguire nel breve e nel lungo periodo e nello stanziamento delle risorse finanziarie funzionali alla realizzazione delle strategie“.

L’amministratore delegato “demanderà poi ad altri soggetti quelle decisioni che, seppur rientranti nel quadro strategico di riferimento da lui individuato, richiedono un giudizio tecnico professionale che esula dalle sue competenze“.

Ebbene – proseguiva la sentenza di secondo grado – “certamente, la riqualifica delle barriere è un intervento che comporta la sostituzione integrale del bene, mira ad ottenere uno standard prestazionale più elevato della infrastruttura e conseguentemente ad accrescerne il valore, cosicché esso rientra nel campo delle strategie aziendali (ciò è decisamente incontestabile se solo si tiene conto del fatto che, per l’entità del relativo finanziamento (138 milioni), doveva esser portato all’approvazione del Cda)“.

Secondo i giudici di appello, la stessa lettura dei verbali del Cda – da cui emerge che vi erano temi su cui, al termine dell’eventuale dibattito, nessuna determinazione doveva essere assunta dal Cda (il quale si limitava alla presa d’atto) e temi, tra cui la programmazione della riqualifica delle barriere di sicurezza, su cui veniva conferito dal Cda mandato in forma disgiunta a Presidente, A.D. e responsabile della competente Direzione – “rende davvero arduo condividere l’opinione del C.T. che ha descritto l’A.D. quale “portavoce” delle istanze della Direzione Tecnica cui, secondo lo stesso consulente, dovrebbe esclusivamente essere imputata la decisione in materia di programmazione della attività di riqualifica“.

E’ chiaro, d’altronde, “che una decisione di tal fatta non poté che essere il frutto della previa concertazione da parte del vertice aziendale con la struttura tecnica“.

Ne consegue – secondo la Corte di Appello – che “non appare condivisibile la definizione che ha liquidato come mera formula di rito il mandato conferito all’Ing. Castellucci, né può condividersi l’opinione dello stesso imputato che nelle spontanee dichiarazioni ha sostenuto che l’attuazione della delibera non rientrava nelle sue competenze dirette“.

Al contrario si ritiene – si concludeva – “che la programmazione in materia di riqualificazione delle barriere bordo laterale atteneva proprio alla “area strategica” della politica societaria (ovvero alla definizione degli obiettivi della sua gestione) in special modo ove si consideri che la gestione della rete autostradale in concessione costituiva l’attività principale del concessionario e che nessuna norma di legge o regolamentazione interna esimeva dal corretto adempimento di tali obblighi l’A.D.

Redazione Giurisprudenza Penale

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